Api nere


Api assassine vestite di nero scendon cantando dai lobi d’orecchio per amare fottendo girandole di peli. Il calore di Armani si sparge per fonti e sorgenti e sparge zanzare onniscenti in mezzo a ragazzi biondo platino che sfilando imbarazzati sorridono a capinere in calore che si masturbano i denti con gengive soffritte e righelli di birra.
Amami Oriana, di un sonno profondo in questa valle di stronzi, papaveri e rose rosse. Che esprimono il sale espresso decaffeinato in rutti e cammelli che saltano ruscelli e merluzzi spaventati.
Anime spente che spargono urina, giocano a carte per ammazzare il tempo di una candela che cola giù per il water e piange. Asciugamani e salvagenti si calano in una concessionaria di valvole pituitarie e muoiono dal ridere

Tre stronzi


Tre stronzi si guardan negli occhi per non sprecare la voce in seni poco rigogliosi.
Annacquando la saliva mi guardo allo specchio e riattivo neuroni e intestini pigri per fumare fuori dal locale e dalla testa
Sì, sono in un locale di animali che parlano con insetti e rane in minigonna e non so se ne uscirò vivo o con il sangue succhiato integralmente da mignotte affamate di sfinteri psicodelici.
Mi uccido toccandomi il seno e scopandomi un blog di farfalle impotenti in una girandola di sperma metallico.
Sudiamo insieme e coloriamoci di santità mentre i padroni dei pollai stramazzano per la perdita delle miniere di carbone e sedano alla puttanesca.
Teodoro non trova pace nel seno della madre;
Si precipita in un tuorlo d’uovo e annega.
È espulso dai villi intestinali

Me olvidaras


Un giorno saremo insieme a Barcellona e poi mi dimenticherai. Perché sei troia. E io coglione. Ma non ci farò una canzone. Ci farò una sega. E magari più d’una. E entrerai nel libro dei guinness. La ex a cui sono state dedicate più sedute autogestite.
Mi dimenticherai. Ma io non sono un pentolone bollito di escrementi di scarafaggio. Io sono qualcosa di più sottile. Io sono un paio di occhiali che si scioglie in una lava gelida di pesci lessi che cantano in coro una canzone lucida in stato post vegetativo da assunzione di stupefacenti. I Pesci Liquidi, si chiamano. Siamo una combriccola da bar. Una band posticcia come una parrucca su un cervo con le vene varicose. Di giorno suoniamo il clavicembalo e di notte non ci caga nessuno. Ma noi siamo convinti di essere grandi palcoscenici dove prima o poi suoneranno i falò delle vanità.
E costruiremo dighe di spermatozoi accumulatisi negli anni dalle radici degli alberi. E pagheremo le tasse a Tarzan. Noi insieme ai coleotteri di Odissea 2001 marceremo su Marte e instaureremo la dittatura liquida. Nel senso che oltre a suonare il clavicembalo berremo coca cola e ci laveremo con le mascelle di tricheco in polvere adiacentemente. Sii felice lettrice di balocchi stronzi. No, non sono volgare. Sono vero. Sono un microfono che scivola sulla spiaggia della fantasia e dà voce ai tuoi pensieri turpi. Quelli colorati di pece puzzolente. Quelli che il fango pregherebbe di tenere lontani da lui per non sporcarsi.
Il caso magnifica la fonte della vita finché il delirio non prenderà il sopravvento. E il delirio rivolterà il potere come il cacio sui maccheroni. Come la trippa sullo strutto di maiale. Come la vacca sul toro da monta.
Come cazzo finisce? Boh, per ora finisce e basta. Ciao.

Un dio guardone


Una gamba di pezza solletica il mio spirito in fondo a un lago d’argento dove celebro il mio matrimonio tra i fedeli di una chiesa offuscata dal travaso di bile.
Un’operazione costosa per succhiare il liquido giallo dai pori dei muri ha portato all’ustione degli organi interni di un sacerdote dell’urina di Satana. Si è masturbato davanti ad un pubblico di carciofi adoranti mentre cantavano e si toccavano le natiche. Il lato N.
Mitisoara dice che non gli vanno bene i tortellini in salsa di chiesa mentre si tira su i pantaloni dopo aver cagato sulla turca di un effluvio di sodomia affumicata. Con un rutto si libera di anni di frustrazioni matrimoniali e paga un serpente per mangiare la foglia di fico con la quale Adamo ed Eva si sono coperti da un guardone satellitare.
Trema il demiurgo di patatine fritte che mangia in insalata di stronzi che piovono insieme alla manna sugli ebrei in fuga dalla capitale incendiata da un fulmine di sale disceso su Sodoma e gonorrea che emette effluvi di lasciva quando si solletica la sottana. Ma il guardone non demorde e lava l’onta subita con un effluvio universale, una lacrima dall’occhio di Polifemo

Credo che il colera possa essere una buona filosofia di vita


Una bufala assatanata si lascia colare per lo scarico del waxter senza aprire bocca e scivola via senza lasciare traccia di vita e assurge al rango di martire del gregge greco. Il pastore si toglie una spina pelosa dalla vita adiacente e rutta il folklore per non ridere a crepapelle di una serie di stronzi che si aggirano topamente nella prateria sperando di non essere visti. “Basta l’odore” pensa il pastore Gianni de la Minchiascoperta.
Un guardone s’infuria nello scoprire che la tassa sul massimo scoperto viene cancellata da un toro furibondo con l’IMU sulla prima stalla. Come un padrone di casa vuole appendere una torta di compleanno al naso e portarsela con sé nel montaggio delle vacche di mondo. Provocando così un’incontinenza generale tra stronzi, pastori e paperette di Paperissima.
Un ragioniere guarda attonito il proprio compleanno partire di gran carriera davanti alla banana del cavaliere errante e solitario. Nella notte minaccioso. Si erge nel cielo più nero della notte. Un clima gotico di famiglia Addams che si dà la mano per aprire buste e colorarsi gli occhi di giallo urina. Si siede quindi a cavalcioni di una mutanda saporita e cavalca le onde di un mar dei salmoni tra grida di gloria e schiuma di sapone per lavastoviglie.
Apro una porta nel tubercolo e schiaccio un poro poliforme con lo stucco rosso poliforme.
E mi sturo le dita in un naso.

Prati d’onore


Fatti onore nel campo dei merluzzi che ballano in un gracile filo di patata azalea. Gracchia il paese innevato di fresco mentre una persona passa come una macchia d’inchiostro blu su una pagina bianca. Si tuffa in un lago gelato e scivola per chilometri e arriva in un paese dorato. Là dove le nuvole si attorcigliano in mezzo alla corrente divina risorge una croce di gioielli ricoperti di merda.
Il gigolò londinese si cosparge di acido solforico le unghie che evaporano e si dipinge sulla cresta dell’onda come dice la moda.
Coguare affamate si aggirano nei vicoli ciechi in cerca di carne fresca da mordere. Giovani prede si fanno pagare un prezzo da squalo che rigetta salmone in acqua fresca, mentre polli supremi cucinano speck affumicato di alta montagna al chiarore di una luna nel bosco.
Gatti misogini e assassini affilano i coltelli in salsa di pomodoro ed eruttano polipi di leone africano.
Nuotiamo in questa moto da cross insieme al dio degli avvenimenti stronzi. Mangiamo in un appetito di chiavi inglesi. Mangiamo colli di bottiglia che pisciano. E vegetali bagnati di bigné al cioccolato che petano gas metano di panna montata.
Eoni si baciano sulla lingua e tigri maculate muoiono di lebbra in una foresta che ammazza tra le amazzoni dell’Amazzonia.

Andamento lento


Il ramo pitarro fa una sega alla scopa benedetta mentre prega per la pace dell’anima sua. Vedo un lampione suburbano che naviga bellamente sulle strade di new york e canta le lodi del signore.

Nell’anno duemila dodici si sperava che la fine del mondo portasse almeno ad una eliminazione degli stronzi, invece manco quello.

Mina si suicidava un po’ tutti i giorni tramite l’uso eccessivo delle sigarette e voleva disperatamente morire e cinquant’anni, ma non ci fu verso, e diventò centenaria, quando smise, morì.

Ernesto si masturba davanti ad una colonna in piazza centrale, sotto la cattedrale, mentre il generale a cavallo lo guarda a bocca aperta, lo lascia finire e lo arresta.

Pedalo in una bicicletta d’oro, la quale lentamente comincia a sciogliersi al sole finché non diventa burro e io la lecco sull’asfalto.

Mi addormento lentamente mentre i miei piedi scoppiano caldamente in una ciminiera accesa che scarica bitume diventando olio di frittura.

Il piacere del cane


Sotto la notte va la ronda del piacere, al suono del pianoforte sterza in un’autostrada di pongo. Il giorno si scioglie lentamente e si lascia spalmare insieme alla panna montata. Così mi si definisce la mattinata di un personaggio storto. Albino si chiama. Come una vernice bianca, si chiama. Come le sue mani. Dalla nascita c’ha mani bianche come il grasso di maiale. Perché così era piaciuto a me. E ora si alza dalla sua branda, si mette la sua divisa e incomincia una normale giornata di perlustrazione e combattimento, come un soldatino. E indossa mutande a pois. Controlla muscoli e capelli. Si rade il suo bel viso di pongo, barba ne ha proprio poca, ma si taglia, e si ripara con un po’ di carta igienica.

Le sue mani bianche si sono sporcate di sangue e il sangue, il suo, non gli è mai piaciuto. Fa freddo in caserma.

Fa freddo e puzza. Fa freddo, puzza e fa pure schifo. Grigio metallica.

Fa freddo, puzza, fa schifo, ma in compenso c’è un paio di stronzi che sparano heavy metal a tutta birra per svegliarsi meglio. Non c’è modo di farli smettere. Oggi Albino non c’ha coglioni da starsi a sorbire ‘sta merda.

Oggi combatterà e sparerà come ieri e come domani e forse oggi toccherà a lui. Se l’è sognato e i suoi sogni, quelle poche volte, ci hanno sempre preso. I due stronzi hanno aumentato il volume e la gente deve urlare per parlarsi. Sono le sei di mattina in un cielo di nuvole basse ad altezza uomo che sembrano blocchi di ghiaccio pronti a schiacciarli se la temperatura si abbassa ancora un poco.

Si guarda le mani. Gli sono sempre piaciute. Specie quando è abbronzato. Ora quelle belle mani che hanno sempre suonato il pianoforte a casa le avrebbe lasciate andare per conto loro. Ora le sue mani agivano in nome e per conto dei suoi timpani. Ora le sue mani sparavano, sparavano e ancora. Quattordici colpi di pistola avevano ridotto ipod e stereo a un grumo di transistor e vetri. E soprattutto le sue mani erano ancora pulite.