Un genio peloso, due campari, un pollo sbucciato.


Una mela sbucciata mi appare davanti alla torta nuziale per augurarmi il peccato mortale se mi piego alla stanza del figlio crocifisso nell’unità di una croce uncinata. Melograno e melo gratto per meglio sentire il prurito di un’urna funeraria di peni e patate al forno. Mentre le farfalle ridacchiano al sole.
Ofelia si batte contro un pigiama a fiori senza chiedersi il senso delle carote finché un fulmine a ciel sereno non inchioda il padre alle sue responsabilità elettive. Un sindaco che piange è come un chiodo che caga. Entrambi hanno la puzza sotto il naso. Per cui Ofelia si ritira di buon grado col suo nuovo consorte nell’ascensore di una rolls-royce a fare un sabba di pippistrelli e marmellate marcate Ovidio.
Parloti d’amore Marilù. E ti dico e ti chiedo di darmi un pezzo del tuo stivale per pulirmi le gengive da tanta cioccolata che sfregiò la tua vagina infernale e la tua pedicure così ben attillata. Ti amo e ti proteggo dalle mille sventure di una vita piazzata in telefiga col Cristo che ti ama anche lui dall’alto di una baracca che crolla su effluvi di diluvio universale siccome anche oggi piove. E torna a battere che voglio comprarmi una WII.
Un abbraccio stretto stretto alla scopa mi riporta in una Terra focosa e gioconda dove il Carnevale del cuore equivale ad un pollo scotennato e ridente, ma sdentato.

Un fiato tutto d’un fiato.


Il fiato di un pesce lesso puzza. Non lo sapevo, ma è così. Se ti rutta addosso diventi blu cobalto. Tutto è dovuto al piombo che si masticano con i chewingum americani in palestra. Anche Donatella credeva che la pizza fosse fatta di pomodoro ma ha dovuto piangere lacrime feroci scoprendo che il giudizio universale è solo una barzelletta per froci adulteri.
Sedici mazzette al pio Greganti che difende con onore il comunismo dei pescivendoli. Ma votiamo uniti davanti a dio e alla corona che difendiamo con orrore dalla Svizzera. Con una mano antropomorfa mi seggo davanti alla luna e leggo pezzi di poesia marittima alla Musa che mangia un piatto di pastasciutta col ragù che le cola dagli angoli delle labbra e si pulisce con la sottana liquida. Votiamo e vogliamo e gorgogliamo nel mare della puzza sotto il naso i rappresentanti del mondo dell’aldilà per andare all’inferno con convinzione democratica. E tanta, tanta, rinnovata speranza in un mondo migliore che si rinnova a ogni nuova elezione.
Per perpetuare il ciclo occorre grattarsi la panza con stuzzicadenti carnivori ed è quello che faccio davanti al consolato delle pere tirolesi che mi sorridono suadenti togliendosi la minigonna dalla faccia. Mi butto in un lago di ceretta e pesco il mostro di loch ness che si era perso e stava annegando. Per cui mi premia con un annegamento rapido in questo cesso di verità a poco prezzo per te amico mio e per lei tua moglie che è un finocchio come te, ma oramai siamo moderni e dipingiamo tele di televisione spastica a olio extravergine.
M’ingarbuglio e m’intruglio con sommo piacere
In questa estate
Mai cominciata
Ma sempre
Partorita

Una mattina con brio.


Era una triste giornata di sole passata sotto il bianco bosco della Russia innevata da funghi nucleotidi che spuntavano come funghi da foglie di pelle umana sparsa qua e là insieme a pupille Stradivari che fissavano attonite un luogo di magia macabra per farne un rave party che celebrasse la voce del silenzio.
Battiamo le mani e balliamo al ritmo di un tamburo che risuoni nella savana e nella steppa e nella tundra fino alla foresta nera egiziana passando per un deserto libico e per un cuore a rischio d’infarto che non smette di battere ballando al ritmo di uno spazio cosmico. Erigiamo salive di castello. Che venga ripulito dall’onda del mare non appena un comico si erga a rappresentante dell’Unione Europea che vaga, isola nell’oceano del suffragio universale.
Tutti in fila per tre legittimiamo l’oligarchia ed esportiamola con lo sforzo di un rutto rettale. Dolore intestinale che soggiace alla lingua di un bacio in bocca. Tutti in fila per tre a obbedire ciecamente e ad esprimere il nostro languore con la forza del cerume che soffrigge in profondità nella alte sfere che temono l’attacco alla cittadella che non è mai stato così lontano, o così vicino.
Se non hanno pane, date loro brio.

Accarezzati lo spermatozìo


Settecentosette più tredici morti cantano una vittoria sulla campana che suona a morto nella valle di un campo di zingari drogati di sesso all’aria aperta in una comunità di S. Tarchignano sulla vetta del Colle insieme a Napolitano. Che quando muore finisce l’Italia con tutti i filistei al rabarbaro. Anche la Gillette ha una quotazione tra le stalle dell’inferno. Se ci fosse veleno nelle sue lamette saremmo tutti morti. E i polli riderebbero a squarciagola.
Dov’è finito Tonino? Era simpatico quando non azzeccava un congiuntivo. Ma che dico, manco la punteggiatura. Il nostro parlamento è sempre ben dotato di rutti liberi. E le stelle in fondo, sono tante, milioni di milioni. Di dollari sonanti. In tasca alle regioni di una lega nord morta dal ridere per un federalismo che ha ingrassato i maiali e ammazzato i polli.
Bisogna fare Tesoro degli errori passati e continuare a ripeterli. Voliamo su paradisi fiscali e consumiamo ostie dei piedi di Maradona. Per un negozio in cima alle scale dove vendere ciabatte e telefoni di una volta. In cima a una torre. Da cui buttarsi insieme a Icaro, ma in fondo che fine ha fatto Minosse in tutto questo? Morto di vecchiaia? O perso nel labirinto della vergogna insieme a un Grillo parlante che conquista un’armata Brancaleone in preda a manie fiscali di compulsivi spermatozoi alla ricerca di una boccata d’aria.
Ma con qualcosa dobbiamo pure pulirci i denti, no?

Un ciodo del ferovecio dela meccanica quantistica


Il vallo marocchino mi inquieta perché non finge di essere una palla turchina. Se non fingi, non sei, gli dico, ma lui non mi ascolta. Anche il lieto fine. Non c’è mai nella realtà, ma è per questo che si mette sempre. E lui mi guarda in silenzio. Mi chiamo Vallo Marocco mi fa fumando un sigaro nero cane, e faccio l’indiano. Il cielo si fa rosso e i miei coglioni si fanno in quattro per accendere un motore tematico che schiaccia le differenze di sesso trans.
Volevo dire solo che due più due non fa solo cinque. In due parole. È la teoria della foglia di fico. Perché anche i fichi cadono dagli alberi. I quali invece prosperano anche senza i fichi. Segui? Insomma anche se sei un gran fico prima o poi scenderai giù dal pero. Ma questo succede a tutti perché siamo tutti teste matte un po’ fuor di cotenna alla milanese. È così che vedo una barca che affonda poi riaffiora perché le gomme di scorta prima o poi vengono a galla come le balle fuori che quelle di Andreotti, quelle no. Perché sono bugie a fin di bene. Cose che non si devono sapere perché sono benedette dalla giuria popolare.
Capito mi hai? Insomma Vallo Marocco mi riguarda, si pulisce i jeans dal pomodoro della pizza alla bolognese e manda giù un grumo di vermi da pesca come dessert. Solo dopo si riallaccia la cintura e parte in moto salutandomi con un peto verde tamarindo.

Il commodore


Una lucertola guarda nell’occhio del silenzio mentre una partita a poker si gioca tra pavoni allupati di gioia elettrica. Una sirena si staglia nella notte della foresta. Un antifurto o un urlo disperato? Il gioco va avanti e impone ai giocatori di spurgarsi dalle loro fatiche finché non passeranno al livello successivo dopo la morte del personaggio. Supermario si raggomitola in un angolo perché non ne può più di giocare, ma è programmato per continuare ed è meglio far finta che dire la verità. Lo spettacolo deve continuare per il divertimento di Capitol City.
E tu Mario? Che fai? Ne è passato di tempo da space invaders e il commodore 64 ma il gioco continua come prima, come sempre e tu ora devi giocare. Per 300 euro al mese magari, ma a tempo pieno. Ora sei tu nel videogioco e giochi la vita. Non preoccuparti. Un giorno finirà. Quando sarà troppo tardi, ma finirà. Hai voluto diventare un burattino senza fili? No, non volevi, ma è così e basta. Mentre la lucertola si toglie la benda e vede attorno a se i fili neri della morte smette di sorridere e se la rimette e continua a ridere come prima. Cieca ma beata.
Una sessione di vene sanguinolente succhiano linfa vitale da canali scoperchiati di lingue violente che amano la tortura e guidano contromano. Un paesaggio presente, ma lontano e passato che non conosce colori ma ama, dicono, e parla d’amore, e compenetra anime e corpi di colori che non restano dipinge la nostra anima e la lascia assetata di nuovo. Ominidi in giacca e cravatta osservano stupefatti, pietrificati su trespoli di sterco essiccato e ululano alla luna un posto al sole per dimostrare che anche loro meritano il bonus di fine anno e quindi esistono.
Benvenuto tra gli insetti.

Strutti e ristrutti in cerca d’autore


Una bomba di cenere mi è cara in questa solitudine color arlecchino. Simpatico Arlecchino, una testa che gira e un bottone premuto sull’ombelico del mondo. Tu credi che avesse sale in zucca? Sì, perché un asfalto ben oliato richiede un condimento sano e nutriente in linea con i rendimenti finanziari. Dice lo sciamano. Saggio quanto il petrolio santo. E il vino. Dillo che anche tu alzi il gomito per sentirti uomo. È per questo che credo che alla fine soccomberai davanti alla spada di una seggiovia ipergarantista.
Mi piego davanti al falco cadente in una valle di lacrime ossigenate. Un velo di strutto migliora il sapore della povertà e il ricco stride davanti alla paura di una rivoluzione rotatoria. Ti mando un abbraccio lettore della malora affinché i tuoi baci possano accarezzare il suono di un bastardo nato nella selva amazzonica. Che dici? Possiamo sturarci il naso nascosti dallo schermo di un computer? O masturbarci in videoconferenza in sessione plenaria del parlamento europeo? Certo perché siamo pompieri della democrazia. Strutti distrutti da illusione, speranza ed evasione accompagnate da farina, festa e frusta.
L’incompetenza della democrazia legittima un’oligarchia di colabrodo missilistico che accantona i polli scatenati di un orrido occhio guercio che ti guarda da una webcam dicendoti che lo fa per prevenire i tuoi infarti. Un malato è una merce che si compra e che si vende diceva Mitterrand senza un minimo di rispetto per la menzogna di Stato e per i suoi milioni di elettori sani. Liberati dalla pastasciutta e passa alla pasta bagnata. Uccidi il padre, il figlio e lo Spirito Santo affinché la pace regni ultraterrena e ultras della curva sud.
Una nuova locanda apre nel Texas della valle del silicone.
Vero, ma falso

L’ira del delirio.


L’ira del delirio è una vacca boia che si accoppia con dodici fatiche e pesa un catetere pieno di carne e vene varicose. Il pianto del delirio è diverso. Seducente e incazzato. Ti violenta con debolezza. Ti ama e non ti succhia. Ma erode l’anima di lucida droga che penetra i capezzoli tra fumi di sperma ipocondriaco e larghe intese.

Ma non è una cosa seria. È una cosa dovizia. Una di quelle che tu pensi che sia e non è proprio. Ma fatti sentire. Che ci vediamo per una pizza. Mi faccio sentire io. Tra pesci azzurri e pescherecci targati Armani. Su cui saliamo sopra a una bicicletta sfittica per pedalare in mezzo a piogge di acidi digestivi.

Mi ritengo. Dal soffiare su una testiera di testicoli triturati con pepe e cipolla. Per una luce di lucertola che morde il freno di una Ferrari che luccica ignobile e arrogante. Con quella pelliccia che ricopre sedili e anime di locuste. Austria e Francia sedute a guardarsi nella spiaggia della costa d’Avorio in un pianeta disperso e solo nella galassia di Andromeda dove soffia un vento caldo.

E buio.