Lacrime di Nutella


Ma ti pare che un indiano cherokee si serva del cucchiaio per mangiare la nutella? Un olio di palma che cola lentamente dal seno della donna fino alla vagina e che lubrifica un’anima gemella col collo dell’utero.
Scendiamo una scala di vetro per riunirci col dio del vento. Non piangere, non piangere più. Il cielo si è aperto per mostrarti il video della tua vita. Guidavi in un’auto nera. Posso appena vederti, in trasparenza, attraverso un vetro rotto. Fino a quando una magia si rompe contro il tuo cuore e un orso scannerizza i tuoi capelli. Mentre viaggi in Spagna e purgi la tua pena contro i sogni del passato. Non piangere amore mio, non piangere più. Fai straripare il mio cuore come un violino impazzito. Posso appena sentirti. Una madre cavalca sull’oceano. Lei sente il tuo dolore. Finché non diventerai più forte per volare. Un’onda cavalca fino a te. Non piangere. Sette sfumature di blu colorano il tuo respiro. E il mio. Non cantare quelle note, non cantarle più. Toccano la mia anima. E fanno risvegliare i miei sogni. Posso appena sentirli. Non suonare più quei violini. La loro eco sibila sul pavimento e mi pervade e mi uccide.
Gli indiani attaccano. Attaccano la mattina per difendere la loro terra dai barbari conquistatori. Nomadi contro contadini. Numerosi come api. Spietati come vespe. Non piangere piccolo barbaro. Un giorno vendicherai il sangue dei vinti. Un giorno partirai per lo spazio infinito e insieme ai topi addestrerai astronauti sul pianeta di Hallowen.

Il grande spirito morde l’acqua


Lo spirito della santa sede fischia tra i rivoli dell’inferno. E butta le proprie scarpe rotte in mezzo alla gola profonda di un coro dell’antoniano che urla le proprie urla al ritmo di un tamburo col raffreddore. Sento una voce rauca dentro le mie corde vocali sotto un tetto di stronzi col riflusso acido.
Scende un’acqua azzurra e allora mi chiedo Perché ? perché le aquile volano di sbieco e noi camminiamo in un altro posto libero dalla fortuna e riempito di sfighe che ci fanno volare da un becco di canarino all’altro là dove volano le aquile, ma perché poi. Non si sa. Se si sapesse. Ma non si sa. E le parole sostituiscono i pensieri che colano da un barattolo di Nutella riempiendoci la bocca e lo stomaco di essenza divina.
Benzine liquide s’incendiano nei miei timpani che rimbombano di cerchi acustici sotto sottane di ricotta di pus di bubboni di peste. Divento una cozza liquida in un oceano di stucchi e cerbottane che usavamo quando eravamo piccoli per farci la guerra e crederci pirati di capitan uncino in un sogno che diventa realtà solo quando l’hai persa dietro lo schermo a cristalli liquidi. E diventi la cerbottana di qualcun altro.

Una breccia brilla brulla e luminosa


Passo da una montagna incantata a una spazzatura riciclata tra diverse esalazioni di muffa di pecorino con la diarrea. Perché in fondo la dicitura “torno subito” non specifica quando è che le normative europee non lo richiedono con sufficiente accento sul PIL e sul POL che è aumentato considerando anche droga e prostituzione, e magari il traffico di organismi umanoidi modificati geneticamente.
Una musica inossidabile fa breccia nella mia mente di neonato asmatico e ritrovo il polmone d’acciaio che mi permette di urinare in faccia ad un dinosauro zoppo, ma è una bambola di mia sorella. Una musica latente fa breccia nelle mie vene auricolari e mi chiede di essere più produttivo ma senza sottolineare che mi piace sciare. E pisciare.
Volo in una bara splendente e rido nelle nuvole di fumo di marijuana statale che si leva da ciminiere di cani drogati di spine dorsali di elefanti mai nati. E le nevi del kilimangiaro si sciolgono nel bacino di una prostituta che vuole i soldi di uno scudiero gobbo. E flirtano con le acque di scarico di un ospedale di gravidanze indesiderate. Lasciate stare i bambini e non montate le scimmie in una giungla di discariche illegali. Mangio il fumo di una droga rilucente che brilla nel mio cervello. Ed esplode in mille pozzi di fango chimico. Che cola dal mio naso in un fazzoletto griffato. E si addormenta al suono della Turandot. E dolcemente. In silenzio. Muore.

Il matrimonio di un papa


Un crogiolo di strofili s’innalza nel buio di una sinfonia d’autore sifilitico. Estraniamente si gode lo spettacolo di zombie che orgiano ecletticamente in una discoteca di provincia e fornicano in maniera cattolica per un’evangelizzazione universale. La terza guerra mondiale si gioca in camera da letto. Ma non mi ricordo più l’ultima volta. Non mi muovo ma mi rallentano i riflessi che pietrificano le corna represse. In ogni coppia c’è un terzo incomodo che a volte fa comodo, ma che anche lui fa parte dell’amore.
Sciogliamoci in quest’anello di congiunzione astrale e riflettiamo sulle comuni. Case di villeggiatura anni settanta. Oggi meta attrattiva di turismo sessuale o amore turistico. Una favola in un meandro della fantasia che risiede in ogni famiglia e santifica il gestore di un fondo comune. Non nego la difficoltà di essere Papa, ma molto superiore è quella di essere papà anche se si scrive, non so perché, con la minuscola. In fondo di papà ce n’è uno solo. Mentre, morto un Papa, se ne fa un altro.
Eccoci tra tarantole in un consesso episcopale a fare l’amore con la decisione di un’orgia papale e incularci a vicenda per un posto al sole di Marte sotto l’egida di un bravo pranoterapeuta morto in croce. Per questo mi chiedo, ma siamo fatti di cioccolato? Oppure lo zenzero ci ha dato alla testa? In fondo, per quanto filosoficamente importanti queste domande, l’importante è che abbiano dato un nome a Jack lo squartatore, il solito idraulico polacco, in pratica, ma almeno uno. Ora attendiamo il muratore italiano per l’omicidio di Yara e poi potremo finalmente dormire in pace, almeno fin quando non faranno fuori Putin. Tipo.

Rogna sogna una fogna incantata di Nuova Delhi.


Una Santa schiera di angeli si appresta a friggere il brodo di spugne di latta e bevande fresche di lattice bianco appena spremuto da un arrosto caldo di seni appesi alla campana della chiesa. Un gregge fedele si appresta a intonare l’Ave Maria in una spiaggia nudista e assolata della bassa ferrarese e s’inoltra in terreni molli e sconosciuti di gravità zero. Mi sposto di lato e cado su un arbusto sottile che mi attraversa la spina dorsale.
L’interstizio di una duna grigia mi guida nell’antro di un supplizio tra croci uncinate e rivoli di metallo pesante. Il prurito solletica la mia Rosanna nell’alto dei cieli e una matassa inviperita si snoda lungo tutto il mantello di Batman, mentre le lodi di colletti bianchi s’innalzano nell’alto del girovita di una baldracca putrefatta. Ridiamo in coro per una grigia cornacchia che monta le spalle di un damerino di corte del sole e scivola in un selvatico torrente di macchie di troie al pascolo in un fango che luccica di diamanti e perle non commestibili.
Svengo dolcemente in questo lago di trote e lucciole che illuminano la specie in via di estinzione di un umano con le pinne che esplora l’Atlandide dei suoi sogni erotici. Un posto dove l’amore trionfa sulla guerra e il pane sulla mignotta. Sento un coccodrillo sulla mia pelle e l’attrito mi eccita e gode della progressiva bruciatura sullo scroto di un pappagallo in calore sulla padella di una frittata immensa di gioia e scatenaggio infrapalle. Prego che una ludica essenza di farfalle non mini nell’interiorità la solida definizione di deretano che ci gira e rigira tra vortici di centrifughe cumuliformi che cantano in coro l’abolizione della schiavitù.

Ruota


Mi rifocillo di coccodrilli melensi a passo di danza del ventre mentre mosche velate s’insinuano nella mia testa e la fanno a pezzi. Piedi cornuti si girano e applaudono per uno spettacolo da fine del mondo. Il mio. Clicco sul Galaxy per trovare pezzi di porco per ospedali che volano tra gli anelli di Saturno e amo follemente la femmina dell’arco coassiale. Giuda giudicò Cristo per un peccato carnale perché Maddalena piaceva a lui. Nella fossa dei leoni si penti prima di esser sbranato e il suo occhio fa parte della mia collana. La Sacra Sindrome.
Una maglia azzurra ho comprato per lo spettacolo del Carnevale. Per indossarla sopra mia moglie di centottanta chili di grasso stupefacente tra fumi di oppio e fritto di maiala. Incido sull’anello di fidanzamento i nostri nomi per giocarli alla ruota della fortuna e accoppiarci insieme al Berlusconi caprino in un giro di mazzette e pantegane al prosciutto. Nella notte di Natale ti amo mio amore cornuto. E prego per te affinché la neve scenda sui tuoi piedi scalzi e ti mostri la tenda di Toro Seduto nelle fresche vallate di pandoro Bauli. Perdonami sconosciuto lettore per i salti neuronici che ti fanno giocare con la panna montata e gettano fango in faccia alla stupidità di mamma tua. Sii una merda ogni giorno di più e vantatene. Siamo spazzatura divina. Urina di Dio che gioca con ellissi vagabonde. Materia oscura per scienziati quantici. Ma vino per i miei occhi. Che sanno perdere con estasi teutonica davanti alla Merkel al prosciutto e bacon.
Un gran finale. Una grande folla di nani inzuccherati e filati a fiato fino al collo. Un applauso scrosciante nella tempesta di martiri della grande chiesa. Un Bloody Mary che scende nelle mie vene. E diventa spirito santo.

Fiori e cascamorti


Intreccio le dita di file di fiori su catene spezzate e una voce da bambina mostra il suo corpo nudo sulla catena appesa da una prigione di cacca.
Novecento si immerge nell’ultima onda d’acqua e nuota con i folli presagi di un pianoforte che lo insegue e lo suona alla velocità di una sciarada di vespe che cantano una lirica di parrucchiere.
Intreccio peni e salami in un salumificio giapponese dove scorrono le rotaie dei sensi sottoforma di peli pubici attaccati a manette che pendono dal soffitto e fruste che accompagnano dolcemente le fusa di una gatta strabica che non riesce a leggere i promessi sposi senza piangere di gioia durante la peste bubbonica e spera che muoiano tutti i personaggi tra urla e spasmi notturni.
E urlo svegliandomi all’imprevisto in mezzo a saggi urlanti che urlano in coro un Amen alla prateria notturna e vagano lentamente con la coda a forma di cactus tra porcospini e iettature di zenzero a pomice atomica
Funghi si spargono in tutto il mio corpo e prendono possesso dello Stargate del senso, ma no, non cercare di trovarne uno, no, non farti venire il mal di testa, no, non uno, ma centomila, centomila lire, ti ricordi? Quando eravamo ricchi con centomila lire? E un ghiacciolo enorme ne costava cinquanta? Medioevo dice Felice e ora siamo costretti a comprare lo smartphone per risparmiare sul computer, e lecchiamo l’i-pod al limone e scarichiamo una app per farci avere un orgasmo così risparmiamo sui ristoranti di S Valentino. Sbattiti una lacrima amore mio.

Una troika batte le spade di lana sulla faccia del morto


Una Madonna grigia sputa sentenze in questo giorno di letizia. Silvia butta l’ancora al di fuori di una saetta mobile di batman per svenire e farsi soccorrere dal pirata della strada. All’attacco miei prodi e mostrate tatuaggi con l’insegna della cocacola. Anche tu beone da strapazzo. Un’arpa di gioia mi strappa dai miei sogni. Incubi di piacere scorrono tra le tue braccia mentre ti distendi su di me per penetrare le molli carni di un sospiro d’amore.
Un’ansia che origina da Saturno gode della tua verginità e desidera il tuo timore di essere giudicato per rifarsi una dormita tra le braccia della luna incostante e lunatica. Dormi bambina mia tra le braccia di una suora vergine e di quante come lei decidono di vivere una vita tra le braccia della morte abbandonate su prati e toilette da madri drogate e batuffoli di cotone.
Piango per la morte della mia anima e soffoco in uno spazio tempo che non è il mio ma dell’imprinting ricevuto finora in una marcia funebre che esplode nei piedi di un gallo d’oro senza incidenti spaziali. Woody Allen abbraccia una pecora per fottersela ancora in piedi davanti alle bianche scogliere di Dover. Insieme camminano mano nella mano per non pestarsi i piedi in un tango argentino che mangia la polenta.
Buona notte amore mio.

Un’aperitivo stabico


Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.

Amore mio


Scontrandomi contro un delfino lotto contro la povertà di un derelitto senza dimora appariscente. Ma con un Samsung note 3 e mi vanto del mio gsm di dodici anni fa. Mi metto un mantello di dolore e sapore di ragù che pende dalle auliche presenze olografiche dell’illusione del Paradiso di sette anni fa. Un toro cornuto si lamenta del regime di separazione dei beni che non gli conviene più. Pungolo un dirigibile in Marocco che prega il dio musulmano in ruote circolari dei maestri tibetani della vita e della morte. Un fungo arabo si è insediato nel mio naso di nascente luna piena e cerco di spurgarlo con le unghie e coi denti per assimilare un posto nel letto matrimoniale senza accendere di nuovo la televisione al plasma e fare un’altra donazione di sangue.
Sedicenti preti che lavorano come dentisti ma sono odontoiatri curano carie dell’anima tramite il sangue secco degli animali mangiati sull’altare dell’agnello che copre i peccati del mondo. Giochiamo così a carte per un ramino sbevazzato di poker di cuori e amiamo l’amore tra nuvole di peccati e colpe che non abbiamo. Ti amo Magnolia e sento per te un effluvio anale che m’inebria il cervello e voglio darti la bandiera della mia virilità affinché tu riproduca il frutto della banana in senso orizzontale.
Ti dedico una macedonia di peli di frutta fresca e coriandoli di universo per ripercorrere la strada della vittoria. Una vittoria che sa di sformato di polipo e lascia l’amaro in bocca che va giù con un bicchiere di Dom Perignon del ’54.

Una canzone per Dolly


Cara Tilla ti mando un elogio funebre dal tavolo operatorio di un salice argentato in questa porta dell’inferno che sibilla attentamente alle mie orecchiette al ragù. Un batuffolo di cotone ci unisce in questa sedia che troneggia in un mazzo di rose rosse e vola in una nuvola di pidocchi blu seduti su un mazzo di carte argentine che ballano il tango con barbablù e la Canalis. Preghiamo insieme tra un piatto di sigarette affumicate e il paiolo di due seppie triturate di fresco che si sono fatte operare all’anca da un chirurgo con la scogliosi deformante che ora canta con una giacca rossa e il cranio pelato.
Sai che una cosa bella è guardare i film senza il sonoro mentre tuo marito ti spacca la testa a martellate? Ecco la bestia che si è risvegliata dai meandri dell’Apocalisse e evapora al ricordo del miglio d’oro tra una riunione di dirigenti color dell’acciaio fuso e una colata di burro di cacao che ammanta di cacao fuso le nostre membra semoventi.
Lecco l’odore della vagina di una pentola a pressione distesa sul tavolo dell’ufficio davanti alla finestra che dà sui santi uffizi di Firenze e si droga con le vene di una coca cola e ne parla in un gruppo di alcolisti anonimi.
Mi friggo una pizza e ti mando un saluto col becco e colbacco.

Nero d’Avola


Un corno infelice si distacca dalla mensola del ghiaccio e divide i sorrisi tra due ali di api polverose e ridenti.
Mi agito nella culla di un neonato alla ricerca del fallo di Venere.
Il campo minato di un barbiere pazzo si distacca dalla barriera corallina e scivola allegramente tra pali di miele e api polverose.
Dodici cassette spettegolano sulla dodecafonia dell’opera di Vivaldi.
Sei vecchiette fanno a gara per masturbarsi davanti ad un pubblico di mucche.
Il sadico gioca a tressette col morto e mette un accappatoio alla granadina di pulegge e crisantemi prima di andare al cimitero dell’auto.
Un elefante da corsa si cimenta con i Lego e costruisce un pisciatoio a forma di figa di elefantessa tra pulegge di scorta e conifere al sapore di rosa pallida.
Esco dalla fucina di Odino per la pausa pranzo e rammollisco le case di paglia del sedere del cane di Dio.
Pufff.

Una sega di capodanno


Una corsa o no mi vitupera la lingua. Nell’aspetto della sala d’aspetto, aspetto un corvo che non arriverà mai. Aspetto la pensione e vado in riva al mare per aspettare il postino che non ha posta per me.
Aspetto la posta e vedo una prostituta che aspetta sotto il sole di mezzogiorno un cliente che non arriva. In compenso arriva un coccodrillo e la porta via, verso la laguna.
Lo guardo e li guardo e penso che quel rettile non ha pagato un centesimo.
E penso che perlomeno lei ha finito di aspettare
Una nuvola nera oscura il sole. Forse pioverà, finalmente, penso. Ma no, se ne va e si dissolve. E aspiro ancora la polvere della strada, tra case deserte e piante grasse. E donne grasse che guardano dalle verande. E fumano. E aspettano. La fine della giornata. Per dormire e ricominciarne un’altra. E io per aspettare sveglio il prossimo postino.

Sugo di delirio


Un delirio sfugge alla costante di Heysel e volge le sue corna contro un cratere di segatura arrugginita. Mi muovo nell’incomprensione di un cavallo impazzito. I colori del cielo ballano tra presidenti di cartapesta al suono dei violini Stradivari. I colori di un videogioco si baciano i culi senza pudore di storie di pazzia rossa.
Le cheer leader applaudono orchi e draghi che giocano a carte nella cortina di ferro.
Sbadiglia. Tu. Sbadiglia. è un gioco al massacro. Sbadiglia. Di noia. E di sugo di pomodoro che esce dal petto durante un’opera lirica.
Soldi cascano da cuffie radiosferiche che nascono dai tuoi sentimenti verso il Dio delle grazie.
Ti fai la doccia per vedere l’oro colare dai neuroni dopo l’elettroshock e lotti per mantenere un pelo di dignità dovuto alla schiavitù del sale.
Il lavoro rende liberi.
Diabolik ti guarda. Devi essere cauto. Sbadiglia per addormentarlo.
Con la pazzia urinaria di una statua di un principe dei poveri.
Mi succhio l’uccello da un paio di gambe che corrono attorno a un tavolo verde che si muove sulle sue unghie. Una forza muscolosa separa i miei occhi e chiude le palpebre. Sbadiglia. Cucina. E leggi. Il delirio di un sangue fresco che digerisce un pasto copioso.
Suoni rimbalzano nella mia mente.
Venti statuette applaudono sedicenti mausolei che annunciano la fine del mondo.
Angeli sbattono le ali e covano le uova

Un cancro animale


Metto nella testa una pallottola spuntata mentre mi gratto il naso con il sedere di una mucca e stappo champagne per la doccia dei girini che cascano a pioggia.
Designo un piede di maiale alla rappresentazione della Ciociara in lingua armena. Pongo in alto il mio vassoio di spermatozoi per offrirne al dio della pioggia.
Enrico a 35 anni era pagato per masturbarsi nella panetteria dello zio, la più famosa della città, insieme ad altri due amici che stavano per sparare a casaccio sui sacchi di farina aperti. Si chiamava Pane Speciale che andava a ruba tra le donne. Quella notte era la notte di Maiale in cui Babbo Maiale distribuisce mortadelle e prosciutti ai bambini coglioni.
Pandora si guarda la tele e fa l’amore con il marito dopo avere pianto e urlato e aver capito che non può fare altro che perdonarlo, almeno per questa volta, perché lo ama troppo per non farlo.
Sergio e Monica si baciano sotto un albero di ulivi per festeggiare la loro passione affinché duri per sempre. Due cani li guardano e si accoppiano.

Pappardelle in calore


Una sirena di pappardelle al cemento si suona una corteccia nasale superando le vanità di un tempo lontano perso nella poesia dei fiori di uranio impoverito dalla crisi. Mentre l’Iran appoggia la proposta di massaggiare la schiena ad un negro che ritorna in una casa bianco lattice. Che sa di preservativo. Singulti di pianto arrivano dalla guerra in Siria mentre roghi di streghe vengono costruiti in tutto il medio oriente e ammazzano la realtà con le esplosioni di vene varicose.
Un guerriero in uniforme nera da beduino si aggira come un ninja tra le rovine di un chiostro da cui sgorgano zampilli di sangue fresco. Ha sete. Se beve un tè di rose ammazzate di fresco. E una zuppa di midolli spinali. Anime abbondanti in questo periodo, pensa. E si macera le palle masturbandosi in un campo di macerie coniugali.
Soffriggo la rosa viscosa per arrivare ad un orgasmo di pollo in mutande. L’emozione mi esplode e il divaricamento mi sovrasta. Mentre l’epicentro della cometa non tocca più il cuore della mia vita e mi fa soffrire di solitudine. Faccio il test alcolico per rendermi conto che squilla il telefono e un caffè potrebbe salvarmi dall’infarto di una macedonia in calore.

Mi scaldo le mani


Una banana si smuove a forma di zingara che mangia un santino. Ha le trecce a forma di tette e le tette a forma di morto che cammina. Maledetti voi siate e benedetta tra le donne.
Così in alto e così in basso tra baffi truculenti e grassi cappelli rosa di bambine che dormono sulla spalla di genitori fosforescenti. Eccola che torna la zingara maledetta. Le trecce sono annodate dietro con un fiocco rosa fuxia. E gli uomini giocano a carte. Le rose camminano tra cammelle truccate a festa per essere guardate, ammirate, seviziate e stuprate da sguardi spermatici di bestie arrapate vestite a festa. Vestite di rosa.
Le vecchie girano. Osservano e ringraziano dio se hanno nipoti da portare in giro.
Dagoberto si pulisce un moccolo con un batuffolo di cotone e sua moglie ripulisce i bambini mentre una balena blu gli sfreccia davanti e sale le scale sinuosamente. Il padrone della locanda fa l’amore con un asparago verde e le luci lampeggiano. Serpenti di lucciole argentate serpeggiano sinuose attorno al fallo eretto di un ramo adiacente alla sequoia gay.
Si amano gli ospiti di un compleanno di cani in tempo di crisi in una villa fiorita di rose e d’incenso. Mentre piove metano liquefatto. E Dagoberto spia dalla serratura una sedicenne che si toglie il reggiseno sapendo che lui la spia. Amiamoci con gli occhi che galleggiano nello champagne. E nuotiamo davanti ad un Dio che parla in diretta alla RAI presentando un marito che picchia la moglie di Dagoberto tutto il giorno.
Mi arroto i baffi. Scendo dalla limousine rapata a zero e scarico sull’hotel un serbatoio di sperma da un I-pod.
Bevilo che ti fa bene.
Bevilo che ti fa digerire.
Bevilo tutto che ti scalda il seno.