Croc’n’go


Un coniglio pesca dalla subasside della cripta peschereccia e pesca un tonno liquido. Si erge esterrefatto dall’alto delle sue zampe alte circa un metronotte e fissa una sostanza gelatinosa che continua ad urlargli “SONO UN TONNO” “VA BENE SEI UN TONNO, MA ALLORA USERO’ UN APRISCATOLE LIQUIDO”. Non è facile, infatti, giocare con le flatulenze veneree.
Lo getta quindi in mezzo alle mosche affumicate da trasformare in chips alla paprika e cipolla per bambini allergici alla patata. Era un business che aveva aperto tre anni prima quando si era sognato di essere un disco volante e si era messo di traverso a un ponte sospeso che era entrato in risonanza ed esplose.
Miliardi di dollari in frantumi, si disse mentre assaporava gli umori di una vagina in calore e il grasso di una fetta di mortadella. Poi si svegliò dal sogno con in bocca il sapore di mortadella e l’uccello che stava per esplodere come il ponte. Fu lì che si disse “Il mondo si divide in due, i conigli e i pazzi e visto che coniglio non sono…”.
Cosi fu, e iniziò a delirare che anche i matti lo presero per pazzo, ma è così che si ha successo e così fu perché fu votato dal 51% degli aventi diritto e diventò eurodeputato. Da lì tutti cercarono di diventare conigli e delirare sempre di più.
Finché non s’innamorò di Vaccaboia. Vaccaboia non era una santa come le altre, no.
Lei ne aveva due. Di vagine.
Una al solito posto, l’altra sotto l’ascella.
Non riusciva più a lavorare dato che non faceva che pensare a lei e scopare e quando cominciò a fare sesso durante i comizi elettorali lo cacciarono a pedate e si diede alla pesca di salmoni. Da lì alle chips per bambini il salto è stato breve, dato che quasi non c’è differenza.
Gli è bastato saltare dal muretto della scuola di suo figlio e atterrare in un formicaio per associare le mosche alle chips e via.
All’inizio aveva pensato di ricavarne una crema spalmabile da far concorrenza alla Nutella, ma poi pensò che, dato che le mosche affumicate erano leggermente croccanti meglio le “Pisichips”.
Sì perché lui si chiama Piside.

Il mago Baol


Il mago Baol si siede sulla sua cantina e ammira la sua creazione. Una torre di cioccolato color oro purissimo. Ride a crepapelle e si abbronza il viso. Il mago è grasso. E ride grassosamente. Ha uno smoking e una tuba bucata. Il bastone col pomello di pelle umana gli serve per comandare le forze del creato. Nel buio della sua cantina sotto metri di torba sgorga una fontana di luce blu e viola che inonda i giardini di terra inglese. Il mago Baol è soddisfatto.
La torre resterà nei millenni e ascolterà e invierà messaggi in altre dimensioni di insetti volatili.
Prega il mago. Prega Dio di dargli la forza di vegliare sulla sua opera affinché la pazzia umana non la distrugga. Selvaggi si aggirano già attorno alla sua cortina fumogena, attratti dall’odore di qualcosa di nuovo e strano. Hanno paura, e sono curiosi. E affamati. Dove c’è qualcosa, c’è qualcuno e dove c’è qualcuno c’è carne, questo sanno.
Il mago si prende gioco di questi esseri infernali, volando sopra di loro a un’altezza superiore a quella che loro possono raggiungere con le loro pietre. Ma se che loro sono tanti. Lui è solo. E ogni tanto deve dormire. E allora loro si avvicinano di più. Ma lui non dorme tanto, due o tre ore alla volta.
Ma sta invecchiando. Sa che non lo prenderanno mai vivo. E lo sanno anche loro. Ma non importa, la pazzia e l’istinto sono più forti. E la sua torre resterà. Dovrà solo imparare a difendersi da sola.
Ci vuole tempo. Prega il mago Baol di avere questo tempo. Di essere forte ancora per un po’. Un po’ di più. Poi tornerà da dov’è venuto, per ricominciare un’altra avventura.

Il piacere del cane


Sotto la notte va la ronda del piacere, al suono del pianoforte sterza in un’autostrada di pongo. Il giorno si scioglie lentamente e si lascia spalmare insieme alla panna montata. Così mi si definisce la mattinata di un personaggio storto. Albino si chiama. Come una vernice bianca, si chiama. Come le sue mani. Dalla nascita c’ha mani bianche come il grasso di maiale. Perché così era piaciuto a me. E ora si alza dalla sua branda, si mette la sua divisa e incomincia una normale giornata di perlustrazione e combattimento, come un soldatino. E indossa mutande a pois. Controlla muscoli e capelli. Si rade il suo bel viso di pongo, barba ne ha proprio poca, ma si taglia, e si ripara con un po’ di carta igienica.

Le sue mani bianche si sono sporcate di sangue e il sangue, il suo, non gli è mai piaciuto. Fa freddo in caserma.

Fa freddo e puzza. Fa freddo, puzza e fa pure schifo. Grigio metallica.

Fa freddo, puzza, fa schifo, ma in compenso c’è un paio di stronzi che sparano heavy metal a tutta birra per svegliarsi meglio. Non c’è modo di farli smettere. Oggi Albino non c’ha coglioni da starsi a sorbire ‘sta merda.

Oggi combatterà e sparerà come ieri e come domani e forse oggi toccherà a lui. Se l’è sognato e i suoi sogni, quelle poche volte, ci hanno sempre preso. I due stronzi hanno aumentato il volume e la gente deve urlare per parlarsi. Sono le sei di mattina in un cielo di nuvole basse ad altezza uomo che sembrano blocchi di ghiaccio pronti a schiacciarli se la temperatura si abbassa ancora un poco.

Si guarda le mani. Gli sono sempre piaciute. Specie quando è abbronzato. Ora quelle belle mani che hanno sempre suonato il pianoforte a casa le avrebbe lasciate andare per conto loro. Ora le sue mani agivano in nome e per conto dei suoi timpani. Ora le sue mani sparavano, sparavano e ancora. Quattordici colpi di pistola avevano ridotto ipod e stereo a un grumo di transistor e vetri. E soprattutto le sue mani erano ancora pulite.