La villeggiante prona un rigore spirituale d’invidiabile cortesia mentre un idraulico installa tubi di marmitte catalitiche nella gola di un antropomorfo femmina per fare esperimenti alieni.
Mento sulla spazzatura e ti dico che era oro colato dalla bocca di un serpente di giada.
Per questo ti prendo per mano e ti porto tra le botteghe oscure di una ellissi adiacente a baciarti lungamente mentre il sapore di cipolla invade le mie papille gustative che ballano.
Ballano e muovono gocce di pioggia di lacrime condensate dal gelo di una stazione termale in fondo al mare. Là dove le tenebre sono ridotte a spazi pesanti tra i quali nemmeno una scarpa può camminare senza essere risucchiata dallo spazio tempo dei buchi neri.
Buchi di culi alieni.
Una pioggia radioamatrice porta via gli escrementi alieni e li deposita nella gola urbana di extracomunitari extraterrestri per il riciclaggio del composto appiccicoso.
M’illumino d’immensa gioia nel vedere il belvedere di un battello dipinto di orologi che si sciolgono nel burro irradiato e luminoso.
Un bramino indiano lecca i bordi della nave che sogna intrecci solidari con le banche che gracchiano solitari impedimenti lenti e svolazzano girando intorno alla preda moribonda come condor che aspettano che si cucini il pasto.
Temo di essere dipinto sugli allori di una vela che naviga verso l’imbecillità dall’altra parte dell’universo alla scoperta di nuovi mondi e nuove specie e nuovi mostri uniti dallo stendardo stellato della federazione galattica. Per riunirci con i nostri amici alieni e poter stringere loro la mano, se ce l’hanno.
Dormi piccolo infante. Dormi e cullati il dito.
Cullati e succhiati il pollice fermo al semaforo del tempo in una rotondità maschile segnata dalle cicatrici del parto.
Nuova vita al creatore.
Nuova vita al fumo.
Una nuova via sottende la cannabis.
Nuove specie renderanno grazie nell’alto del cielo e guarderanno in basso verso i serpenti che strisciano brucando le sementi di un dio culattone per ingravidarsi e generare una nuova civiltà di aborigeni spaziali tra canguri superstar e rockabilly antincendio.
Archivio mensile:aprile 2013
Gola profonda
A piedi nudi in centro città. Piange una capinera d’agosto. Tra trote selvagge che si urlano dietro rimpiange il tempo di una cantante lirica che dominava gli spalti di uno stadio gremito di giraffe e tacchini mentre gli uccelli divoravano le sue note e si nutrivano di radioattività genitale.
Prega Ira di un Dio a forma di pioggia che lavi questa fogna di color satellite e irradia il pane dei giusti. Arlecchino ride e salta da una tetta all’altra pieno di rane gravide che da un momento all’altro erutteranno una volontà di pietra dalle lucciole del suo cervello.
Bevono gli dei una coca a forma di cola liquida perché cola dal lavandino un liquido appiccicoso e verdastro che assomiglia allo sperma di rana ruvida e insaziabile.
Vogo una gondola attraverso l’oceano indiano. Mi sono perso. Ma finché il mare è calmo non mi preoccupo. Questione di fortuna. In rotta per l’Australia. In effetti British Airways mi costava un po’ troppo. Meglio un oceano d’ippocampi per ascoltare la musica del cuore di un delfino zoppo. E occorre camminare sulle acque di tanto in tanto per mantenere l’esercizio e allora amen agli dei dell’Olimpico.
Il clavicembalo monocorde
In un grigio fetore di sabbia gli ultrasuoni mi trapassano la minestra di salsedine neuronica e mi nutro di cibo nucleare senza pinoli.
Davanti a me un pino storto che soffre di priapismo circolare si chiede se l’ascesi al cielo dipenda da una meringa al cioccolato amaro. Rincorro una pietra che fugge dalle barricate della primavera di Praga tra siluri e sigarette elettroniche che rischiano di accentuarle la gastroenterite.
Forche caudine esulano dalla mia comprensione che giudica e beve alla salute della foresta amazzonica e dei suoi rinoceronti froci. Esalando l’ultimo respiro Attila mi spiega il segreto della serie di Fibonacci. Allora il nodo di petali di rose rosse fende l’aria in una fucina di pere mature che si ammorbidiscono le labbra con una divisa da militare.
In quest’ottica Ausilio guarda l’aria e vede atomi che lo osservano con occhi da pescatori che cercano di gettargli l’amo nell’ano. Il gioco non vale la candela amico mio. Il tempo non ti lascerà più e ti costringerà a filtrare una caraffa di sberle attorno alle gonadi di una cerbiatta in calore.
Erigiamo una statua nel centro città e sbarchiamo insieme ad una spremuta d’arancia per liberare il pollo Arena dalle grinfie del supermercato cinese. Evitando così le ultime volontà di un satrapo orientale che espelle le tossine dalla gola di un serpente a nove code usato come frusta per Gesù.
Ausilio si gratta la trippa di gatto e si masturba con la coda pelosa. Un porno gatto che ai tempi d’oro faceva impazzire le gatte e le trasformava in cagne adoratrici di Osiride.
Per questo cancelliamo la lavagna e disegniamo un pene su un altro pianeta con la nostra jeep spaziale facendo concorrenza alla Nasa col nostro Naso a canappia.
W il Bronx di una volta.
Specchio delle mie brame
Specchio delle mie brame
Un urlo spacca i codici genetici di una squadra di capi cantiere e azzanna il marcio generale della repubblica della pera matura. Da lì nacque …
Rana, questo è il suo nome, non è stupida, anche la mattina marcia al suono delle trombe sulle uova marce, ma ha una sua intelligenza. Specie quando balla il flamenco con i suoi cento chili, rotondi, rotondi. In sottofondo una voce di donna mi dice che è pronto il pranzo.
Ma Rana mi parla di un deserto di dolore e di una vita di sopravvivenza che le hanno insegnato a fregarsene del dolore e dell’angoscia e fraternizzare con il nemico per usarlo e abusarlo.
Mi parla, Rana, con la sua facciona da pesce palla triste con gli angoli della bocca che piegano all’ingiù. Con i suoi capelli neri e grassi e grossi e corti in quello che normalmente sarebbe un “caschetto”, ma che su di lei sembra la caricatura di un maxi toys.
E sento una voce rotta come un gesso che stride sulla lavagna.
E allora sono io che piango.
Ma senza lacrime.
E allora ci scherzo su e le chiedo come va la sua bambina, sì perché diversamente da me, è anche riuscita ad averne una con qualcuno, ma chi?
In teoria io non sono così brutta, anzi, né ho una voce così stridente e non ho vissuto una dittatura militare, no, sono anche bionda, però quando i nostri occhi s’incrociano non vedo una persona tanto diversa.
Vedo la mia stessa paura farsi persona e mi spavento ancora di più.
Forse per quello che anni fa non potevo neanche sopportarne la presenza.
Ieri, bevendoci un caffè negli uffici asettici della Federazione guardavamo giù dalla finestra e ho avuto un vento gelido nella schiena dopo che ci siamo guardate sorridendo.
Avevamo guardato giù e, inutile mentirsi, avevamo pensato tutt’e due a come sarebbe stato bello farla finita. L’idea, solo l’idea di essere così intima dello Specchio di Tutte le mie Angosce mi dà l’insonnia, che già non basta quella che ho.
E mi vedo già volare nella nebbia grigio nera della notte passata a guardare il soffitto e a sentire l’amore sbocciare per lei.
Croc’n’go
Un coniglio pesca dalla subasside della cripta peschereccia e pesca un tonno liquido. Si erge esterrefatto dall’alto delle sue zampe alte circa un metronotte e fissa una sostanza gelatinosa che continua ad urlargli “SONO UN TONNO” “VA BENE SEI UN TONNO, MA ALLORA USERO’ UN APRISCATOLE LIQUIDO”. Non è facile, infatti, giocare con le flatulenze veneree.
Lo getta quindi in mezzo alle mosche affumicate da trasformare in chips alla paprika e cipolla per bambini allergici alla patata. Era un business che aveva aperto tre anni prima quando si era sognato di essere un disco volante e si era messo di traverso a un ponte sospeso che era entrato in risonanza ed esplose.
Miliardi di dollari in frantumi, si disse mentre assaporava gli umori di una vagina in calore e il grasso di una fetta di mortadella. Poi si svegliò dal sogno con in bocca il sapore di mortadella e l’uccello che stava per esplodere come il ponte. Fu lì che si disse “Il mondo si divide in due, i conigli e i pazzi e visto che coniglio non sono…”.
Cosi fu, e iniziò a delirare che anche i matti lo presero per pazzo, ma è così che si ha successo e così fu perché fu votato dal 51% degli aventi diritto e diventò eurodeputato. Da lì tutti cercarono di diventare conigli e delirare sempre di più.
Finché non s’innamorò di Vaccaboia. Vaccaboia non era una santa come le altre, no.
Lei ne aveva due. Di vagine.
Una al solito posto, l’altra sotto l’ascella.
Non riusciva più a lavorare dato che non faceva che pensare a lei e scopare e quando cominciò a fare sesso durante i comizi elettorali lo cacciarono a pedate e si diede alla pesca di salmoni. Da lì alle chips per bambini il salto è stato breve, dato che quasi non c’è differenza.
Gli è bastato saltare dal muretto della scuola di suo figlio e atterrare in un formicaio per associare le mosche alle chips e via.
All’inizio aveva pensato di ricavarne una crema spalmabile da far concorrenza alla Nutella, ma poi pensò che, dato che le mosche affumicate erano leggermente croccanti meglio le “Pisichips”.
Sì perché lui si chiama Piside.
Mangia marmellata di spine di rosa pallida
Un letto di spine s’eleva sul mio sogno mattutino e cola sangue nel gabinetto elettrizzato di ricevere la musica di un sitar.
Vedo cumuli di terra viaggiare nella moltitudine di carte credito scadute e grandi chiavi grandi come bambini di dodici anni godere di bambine cadute dal cielo da paracaduti a forma di feti multicolor comprati a una bancarella del mercato delle pulci dell’aviazione.
Vedo. Vedo luci abbaglianti sulla testa di Cordero, il mio collega d’ufficio, alto un metro e un tappo e che come al solito compensa l’altezza con la carriera. Ha degli occhi che mi ricordano Tom Cruise, ma si chiama Chris Pioggia. Come nome potrebbe far carriera in politica o nella mafia americana. Come tipo ha voglia di tirare cazzotti a destra e a manca ed è divertente anche quando s’incazza. Che ti azzanna la caviglia e non la molla più. Cerca di sedurre un’altra collega la quale gli ha fatto capire che non cerca uomini sposati. Ma mi chiedo cosa gli avrebbe detto, o dato, se fosse stato uno e ottanta.
E piove miopia in un ufficio che suona chitarre rock da mane a sera. E dove ciascuno mangia briciole di potere come formiche affamate che cercano di costruire il proprio feudo. OMMMM my friend.
OMMMM anche a te. Che leggi e che speri. Che preghi e che non sai dove andare e cerchi come me. Un dio o una banana che ti guidi in una foresta di Satana tra una sniffata di cocaina e un capo in giacca e cravatta. Inginocchiati davanti ad un cantante di pietà e puttana. OMMMM amico mio.
Che il sitar dell’attenzione discenda su di te e risvegli la fortuna delle larghe intese per colmare il deficit di attenzione che caratterizza il tuo cervello mentre ti masturbi guardando una lingua di bue a doppia coda e frustandoti con un gatto a nove.
Apri il frigo e gli animali morti ti salteranno addosso mentre una voce indiana ci masturberà i timpani. Solenne stupido che ti gratti mentre leggi e mangi polpette di calli e duroni divertiti di essere stati allevati a grasso alcolico e canti d’opera fiamminga.
Mucche elettrolitiche
Pollici versi s’incrociano le dita per succhiarsi a vicenda la cataratta dal naso. Il muco scende e discende dall’intestino per trovare una valvola di sfogo nel marasma di diodi cibernetici che affogano una madre in dolce attesa di un i-pad per il figlio cerebrolitico. Arturo si inceppa la scarpa per la discesa su una scarpata che predica un battito ritmico che gli mangia il cuore. Pezzi di anima gli svolazzano sulla testa come nuvole prese da un uragano di denaro. Argento vivo che si spella le mani piangendo di sesso in cima ad una collina. Arturo spaventato si guarda allo specchio. Lo specchio si angoscia dal vedere una faccia diventare verde, poi blu, poi nero, nero bruciato e infine spegnersi come la brace di un camino, lentamente emanando calore alle lampadine che restano a bocca aperta per l’emozione inaspettata.
Api e zanzare si cibano di barbabietole da zucchero e spingono camion nel senso opposto alla scarpata di un fesso che sta precipitando. In questo modo Dio parla alla gente e suona un tamburo o le campane per chiamare a raccolta i fedeli di un tribunale dei minori divorato da milioni di patatine fritte in aglio e rosmarino.
Eolo evoca i bei tempi ma poi si taglia il viso con la lametta e urla un porcoddio che si sente fino all’Africa dove tumuli di negri stanno ballando sopra una roccia nera perché è piena di petrolio malato di AIDS. Arturo si lecca i baffi e torna dall’Africa con la febbre giallorossa e un’auto da corsa targata Bali.
Piange la sua donna che lo aspetta in una capanna di fiori e gerani che cantano note che stridono contro un uragano di nubi di cartapesta e Arturo si taglia i baffi. Una scuola guida li usa per la propria pubblicità e per non farsi fotografare la targa in eccesso di velocità. Ma quante streghe, ma quante cazzate. Ma perché volano i santi? E quando ci toglieranno l’elettricità, come faremo a fare l’amore? È un dilemma o un dramma? In fondo potremo sempre dipingerci le ossa attraverso un microscopio di carta carbone. Le sopracciglia di Arturo vengono in mente ad una schiera di Arcangeli che da allora in poi le venererà come peli di agnello sacrificale e le userà per pozioni magiche di sacri sabba usati per fare sesso con minorenni bisex dato che gli angeli non hanno sesso, o sì?
Carico il pisello per sparare oltre il muro di cinta un carosello che evoca ricordi da manicomio criminale. E un sax mi perturba i timpani lasciandosi dietro un violento sapore di sex.
Veterani si immolano e cagano dietro la statua del generale degli angeli sommersi da cumuli di spine e rose rosso sangue
Toro
Un fumo avulso si erge dalla superficie del naso di un conte ombroso. Mentre i suoi capelli s’incazzano di grigio che sembra un bicchier di piombo sprizz. Devono aggiustare la strada mia cara, non ti pare una buona ragione per farmi un pompino? Via non tiriamoci i culi addosso. Non è di cattivo gusto? Il bon ton si apprezza, mentre il vino evapora dallo stomaco di una vacca alcolizzata ma felice di aver fatto la zoccola in una miniera d’oro. Meglio gli uomini dei tori. Si ripete mangiandosi un fico d’india. È la vacca del conte. Si chiama Frigidaire. Anche lui come tanti preferisce l’amore alternativo. Senza impegni. Ma per tutta la vita. Una vita che frana poco a poco addosso ad un aristocratico che conta le pecore per svegliarsi e scopa le mucche pensando di dimostrare di essere un toro.
Callivari s’incolla
Callivari al galoppo vince per un’incollatura. Una magnifica corsa al recupero della velocità si scioglie in un amplesso collettivo, mentre la folla belante porta un cavallo in spalla per massaggiargli la cresta e adorarne la coda.
In un candido sorriso, Callivari si lascia intercalare tra una foto e una magnificenza.
Cavallina cavallina storna, canta il cantico di colui che non ritorna e leccami l’ascella di mandido sudor che s’incolla, ma non si sforna. E accoppiati col Callivari che fuma un sigaro mentre gioca a poker col cavallo morto d’infarto sul traguardo.
Un traguardo di rabbia e sangue infetto si sparge sulla testa di cavalli e vecchi, vestiti da guerrieri con chewingum nell’orecchio a mo’ di orecchino. Una spremitura di mucca munge il malfattore nell’arena del sole e viola il patto generazionale senza togliere un ragno dal buco e una nuvola nera di fumo allucinogeno si estende dal falò di sterco di pelo nero.
Nuvole di peto di cavallo partecipano alla messa degli spiriti equini che si riuniscono alle nozze di Callivari e della Cavallina storna che formeranno una nuova famiglia di sangue puro per vincere e far impazzire, piangere e amplessare masse di unicorni sotto il sole di un mezzogiorno di fuoco che marchieranno a sangue puledri di un campione vichingo che ora guarda con gli occhi spalancati e sorpresi il tempo che scorre anche per lui e ammazza i suoi amici e fratelli.
Dimmi Cavallina storna dove sta colui che non tornerà, tu che parli con la morte e cerchi le ceneri del tuo defunto marito
in un sonno eterno che tra tre giorni e due minuti ti farà ricongiungere alla nuvola di peto nero e allora saprai, saprò e sapremo cosa cercavamo, ma allora, forse, sarà un po’ tardi.
Chillout
Chillout si distende mangiando una mela in un frattale di marmellata di marionette seducenti mentre la voglia di caffelatte gli attanaglia lo spirito a spirale e lo porta in un tunnel metropolitano per confessare le sue golosità di sodomita. In alto dei cieli un cancello si apre per entrare nella quinta dimensione di una patata al forno. Soffice e imburrata si scioglie nel palato di dei della golosità itinerante.
Chillout si mangia un dente e pensa ai cavoli amari.
Cillout si distende sul letto e balla una musica sincopata pensando di sposarla e fare bambini.
Lei è soffice come una patata al forno, pensa, lei è unica come un diamante grande un cranio, lei. Lei la vuole mangiare pezzo a pezzo fino a riempirsi la bocca del suo profumo di fiore e lo stomaco fino ad avere la nausea dei suoi capelli ricchi di silicio che fa bene alla pelle.
Chillout si masturba ballando una musica sincopata da sdraiato. Nel soffitto ha disegnato Gesù che si masturba anche lui. E anche Maria si masturba anche lei.
È bello, pensa, che madre e figlio si masturbino senza pudore tutti i giorni davanti a me. E viene, ballando sincopato. A letto.
Chillout my friend.
È contento, Chillout, di essere un vagabondo della quinta dimensione e di varcare il cancello con scritto sopra LSD.
Chillout si avvia lentamente al cimitero degli elefanti come una lasagna si avvia verso il forno. Con la stessa speranza di essere digerito senza dolore e senza paura.
E muore.
Oro Pando
Onda lunga in salsa liquida m’interessa la voce della nonna Panda. Nonna Panda soleva flirtare col Carroccio e preparare salse al peperone tamburellando con il fior di cotenna. Condiva sole, luna e stelle condite in salsa di pomodoro. Per portarle in riva a un monte e sedurle con un sitar indiano.
Una voce liquida tramonta sulla Senna e Parigi si sveglia per rifornire la notte di Eros e Marte. E per riformare il sistema sanitario. Rialzandosi con fatica la statua di Arianna si accoppia con Apollo in una discoteca nel quinto arrondissement parigino, là dove una ex maitresse ha aperto le porte alla grancassa della banda di paese per fumare marijuana dalla vagina di un serpente. E suona la marsigliese. Suona e accoppia gli stendardi in moribondi infernali che succhiano la vita da pinoli al peperoncino. E restano aggrappati a divani a molle arrugginite da urine acide ed escrementi rinsecchiti che il Gange benedice. E benedice anche la mia assicurazione sulla vita. Con un sitar indiano. E la musica folleggia nella nuit parisienne, tra trans che abbaiano per la strada e scimmie aureoleggianti che scoreggiano allegria sotto forma di elicotteri ad idrogeno liquido.
Mi dico che posso volare. E la festa di paese si riempie di pane transgenico proveniente dalla Cina, preghiamo quindi per la nostra baguette quotidiana sotto forma di fallo emergente.
Mi mangio un ossimoro di bue e mi unisco alla festa chiassosa, mentre Internet spara bit all’impazzata in cervelli di cuoio tappezzato di blu.
Una colica dormiente si corica su divani brillanti e puliti e schiaccia un pisolino per recuperare le energie per la prossima festa.
Bonne nuit Michelle, ma belle.
Lunedì signor mio
Voci incontrollate nella mistica campestre si gorgogliano sonnolentemente nella mente di una mamma mentre munge una mucca maremmana e ne monda la merda con un secchio d’acqua distillata.
Un forte sapore di cacao aggredisce la mia bocca e penetra dolcemente amaro nelle cavità sotterranee che fumano una canna di marijuana verde comunicando un cartellone pubblicitario nel quale un uomo è seduto sulla toilette di una montagna appuntita.
Diversi cacciatori di monnezza si litigano un sacco della spazzatura che contiene carne di cavallo triste.
Una focaccia alla crema di vitello si sporca di giallo il contenuto di una matita nera. Statica è l’energia di un sole freddo. Contaminato dalla stuoia bianca si muove con la lentezza di un dromedario asfittico e un falco osserva la scena in mezzo ad una poesia di catrame che non gode se non nella lacrima di ghiaccio grasso.
Rosso di sperma bel tempo s’inverna. Nel torsolo di bianco spino un’utilitaria familiare s’incendia e contamina gli alberi del bosco di Hansel e Gretel. In preda alla furia dell’orco restano in gabbia e muoiono. Felicemente, col sorriso di sperma sulla bocca.
Una Fatima fatiscente mi sussurra all’orecchio che non è tempo di Minosse che deve andare in pensione e le grandi manovre di un falco dal nome impronunciabile cozza contro gli scogli dell’isola di Creta. Un’isola affamata di sale e sapore di mare stuzzica un porcospino che cerca una compagna per riprodursi e baciarsi. E anche per farsi fare un pompino. E un po’ di poesia.
Con la borsa a tracolla mi accingo a rovistare tra i miei sentimenti. Per trovarne almeno uno che mi serva per affrontare un’intera settimana.
Balla per me. Balla sopra un tesoro cristallino. Balla in un orgasmo selvatico
Morte che baci il tesoro della castità. Vieni a pregare e a scopare con noi. Dentro una botte di schizofrenia e gas intestinale. Vieni con noi a divertirti per recuperare le forze dopo una lunga malattia. Uno schiaffo si amplifica nell’eco spaziale di una lavastoviglie che sta finendo il ciclo di cottura a freddo. Tra Martina e Ruggero non era mai scorso buon sangue e s’erano sposati proprio per odiarsi meglio. Tra tamburi che lavano i piatti e sigarette che colano sangue il loro amore era rimasto inossidabile e la loro famiglia cresceva tra botti di vino diventato aceto e ammassi di pietra colorata di rosso e profumata di tango argentino.
Fin dal primo mattino si prendevano a schiaffi e a sera andavano a letto con gli occhi gonfi di tanto in tanto si violentavano a vicenda e la cosa rendeva il rapporto più succulento.
Poi un giorno il cioccolato si fuse e inondò la cucina e Martina rischiò di annegare. Ruggero non esitò un istante e invece di salvarla la spinse più giù. E tutto finì in pace. Così com’era cominciato, ma la polizia non riuscì mai a convincersi del fatto che una possa annegare in una pentola di cioccolato caldo.
I loro figli piansero e al funerale si tirarono frecce avvelenate uccidendo la metà del gruppo funerario ossequiante tra cui l’odiato direttore di Ruggero.
Un cane bastonato si spara ad un occhio per attraversare il guado dell’inferno dantesco.
Una foglia secca si masturba davanti alla propria terrazza un sabato pomeriggio tra l’indifferenza dei passanti.
Una tromba suona danze ipnotiche e sfoglia giornali di ferragosto. Sabbie mobili che circolano attorno al collo di una giraffa color arlecchino. Con una cravatta lunga tre ore luce.
Un acrobata di circo atterra su una bambagia tra cori di donne che saltano tra muschi e licheni in mezzo a rocche cristalline color rosso corallo. Un sabba sulla spiaggia nera scopre un fungo atomico. Giove osserva dalla Luna la pazzia umana. E si scalda le mani. Prima di iniziare un’orgia con le baccanti.
Odi il profumo di sesso della bestia scotennata
Un fumo di Londra si erge dalla potente voce della soprano che canta l’Aida in mezzo a metalli dissonanti.
L’eccitazione si sparge per la sala come il profumo di gorgonzola affumicato e vulve inconsapevoli cominciano a sentire il calore della voce di Dio che ordina imperiosamente al liquido succulento di emettere le proprie spore mentre Lucilla espande il fuoco del proprio suono al battito dei tamburi.
Violentemente la figlia di Arturo si toglie i collant e pregando il Signore e la Vergine inizia lentamente a farsi possedere da una grande candela accesa e un coro di voci si unisce a Lucilla che come un direttore d’orchestra attribuisce ruoli e compiti ad un pubblico sempre più in movimento.
Baci, abbracci, carezze, movimenti lenti di signore attempate e vecchie galline che allungano le mani su giovani peni induriti dall’esperienza di mani rugose e nostalgiche che in quel momento si riaccendevano in una scossa elettrica della stessa frequenza della voce di Lucilla accompagnata dalle voci degli angeli che con misericordia spargono l’amore su menti fresche ad accettare il calore divino nel sangue che cola come una manna dal cielo.
Un esercito di santi e puttane avanza scardinando i sacri pilastri dell’opera compiuta e mentre la figlia di Arturo si accoppia con i due fratelli e i genitori si compenetrano di un amore dimenticato alle passioni dell’adolescenza.
Tempeste di amore si riproducono in penetrazioni vaginali mentre l’orchestra smette di suonare e nel silenzio si spargono urla di spasmo erotico di donne accovacciate su poltrone e distese sul pavimento.
Quando Lucilla intona l’Ave Maria un’ondata di sangue di Cristo si sparge nell’Opera che prende fuoco.
Un fuoco sacro eleva cinquecento persone in una fumata al di sopra di una città addormentata.
Silenzio.
È l’alba.
Le campane della chiesa suonano per chiamare i fedeli ad adorare e amare e perdonare e confessare.
Finché morte non li separi.
Frangipane di un circo equestre solletichi il biscotto umido di una mia poesia.
L’amore per l’assurdo mi consola nella creazione della vita quotidiana e cambia le sinapsi del beato stronzo che sono mentre bestemmio su un pezzo di carta galleggiante. Galleggia tra la gelatina delle mie lacrime condensate in polli bruciacchiati del barbecue in casa di Gianni. Nome del cazzo, no? Scusa Gianni.
Orfelia, sua moglie, nome del cazzo anche questo no?, si pettina i peli del pube perché a lui piacciono con la permanente.
È seria ‘sta cosa perché se no mica gli si rizza.
Perché siccome gli tocca di fare il salto della cavallina, quando atterra vuole atterrare sul morbido e su un morbido che lo stuzzica e così, sapendolo già da prima, si eccita. Gianni è fatto così.
Quando l’Orfelia si depila lì, o, ancora peggio, si rasa semplicemente, vuol dire che è incazzata. E a lui non gli andrebbe su neanche con un pompino fatto dalla Gigliola, sua amante, che se le cerca tutte con nomi così, insomma.
La Gigliola era una ex escort.
Escortava in strada.
Ma comunque adesso fa l’amante a gratis e il Gianni le piace perché la fa ridere.
Gliela dà per gratitudine. In un certo senso adesso è lei che paga il biglietto, tipo.
È persino lei, l’amante, che gli paga il ristorante perché non ha un centesimo.
È disoccupato e non fa neanche lavori in nero perché non ha voglia di fare un cazzo.
Siccome però ha fatto due bambini con l’Orfelia è a lei che le tocca di mantenerlo.
Comunque tornando a bomba per stasera a Gianni gli va bene un casino.
Permanente a bomba che promette uno di quegli atterraggi su cuscino d’aria e solletichino alla base del pene.
Lo lascio lì così Gianni, mi piace pensare che passerà bene l’ultima scopata prima di essere sbattuto fuori di casa perché durante l’amplesso gli scappa il nome sbagliato.
Tommaso si sentiva colpevole e si bruciò il culo sulla graticola del giardino della luna piena
Mi gratto una fuliggine di scarpe arrostite.
Penetro il segreto magico di una parola.
Faccio l’amore con il suono di Dio.
Entrando nelle spirali del Paradiso dove centosettantasette vergini sono intente a giocare a scacchi, un terrorista islamico esclama “che cozze”.
Mi rinfresco con una soda in un mare tropicale tra delfini azzurri che violentano una foca antartica sbarcata da quelle parti a seguito del riscaldamento climatico.
Un incesto di viti e chiodi, provoca un corto circuito nel cervello di Adorno e lo fa crescere da uno e sessanta a due metri e dieci centimetri. Il che fa sì che deve cambiare letto, auto, vestiti e lavoro dato che lavorava come mummia di Tutankamon in un circo.
Pagherò sedici mila sterline al primo olandese che trova un africano sodomizzare un francese di pura razza ariana durante un’orgia romana seduto su una turca.
Un cowboy del settore interstellare della costellazione delle Pleiadi inforna una serie di biscotti per poi goderseli in pigiama guardandosi Venere contro Urano in uno scontro di satelliti ormeggiati nella laguna di una cadillac cistercense.
E qui sforiamo sui ponti del fiume kway e scendiamo dai monti del Tirolo con una mitragliatrice in tasca che sa di alettoni di un’auto di formula uno, incandescenti e leggeri che volano nello stomaco ridendo incessantemente.
Stride il calore di una mucca in calore sopra il calore di un termoscopio che misura la puzza dei peti delle puzzole.
Una musica jazz mi riscalda le vene di amore, ma cos’è l’amore, è un brivido della paura che qualcuno ci lasci cadere nella palude del nostro inconscio e annegare in una fredda notte d’agosto.
In pratica, nella merda.
Abbaio nello spazio liquido
Abbaio nello spazio liquido
Svetto in una città di luce atrofizzata in mezzo a mummie di seni e guglie ripiene di miseria e di materia duttile come plastica al fuoco di dio. Un vascello spaziale mi porta dritto nella mente degli uomini e personaggi dotati di libero arbitrio dischiudono ricordi programmati da un ingegnere della quinta dimensione. Uova giocano a pallacanestro con bambini che suonano il violino sturandosi le orecchie.
Timpani esplodono tra neuroni fotovoltaici e la luce solare trapassa il mio cervello stanco di pensieri di sangue e cioccolato.
Spazio 1999. Capitano Dirk. Spock.
Pile di neutroni nudi vomitano stelle tra anatroccoli in divisa e si lobotomizzano a vicenda per poter ridere nella pazzia di Abramo l’ebraico.
La Terra Promessa si decompone all’orizzonte desertico e i cammelli pisciano tra le dune che diventano rosse per la vergogna. Alleluia. E avanti così.
Atterraggio tra gli umani. Formiche rosse dipinte sulla Patagonia.
Furetto feroce che abbai alla luna.
Mano sinistra che masturbi una vagina impotente. Con un tubo di metallo inox, e aspiri orgasmi con la bocca di una sfinge. Decomponi il liquido cristallino in alghe rosse e corpi celtici. Per ricreare radici di corpi millenari.