L’anno del carciofo


Mi annego in un pozzo di birra per unire i punti dei satelliti che volteggiano tra i miei capelli e i pidocchi creatori del cielo e della terra, ma soprattutto della forfora grassa. Un volteggio da farfalla e mi incuneo tra il rubinetto e la sala parto di una clinica per cervelli bucati. Verifico i punti che uniscono i satelliti e mi buco una vena per iniettare la droga ogm che viaggerà a velocità sub luce e arricchirà gli atomi di birra per darmi sensazioni spaventose. L’unico rischio è che il corpo esploda. Ma è ok. Il pusher mi ha assicurato che è roba di qualità DOP e viene direttamente da Monsanto.
Mi lecco un orecchio sporco di sangue di bue macellato da mio zio ieri pomeriggio e tutto sommato avevo voglia di un po’ di cioccolato giallo che sa di sudore di gallina. Per quello che il brodo di oggi è così buono. Ho mangiato quintali di tortellini alla crema pasticciera che nuotavano allegramente tra pesci palla e orgasmi di brodo primordiale al sugo di carciofo. Mi sono tagliato la pancia per asciugare al sole il soffritto di burro che fuoriusciva dalle budella color pece e ho goduto del vomito della Carmela che si asciugava le labbra col lenzuolo mestruato.
Sono state feste festose per gli abitanti della Terra di mezzo. E di sopra. Ma non per quelli Di sotto. Loro hanno pasteggiato con ossa di bambino e peli di gatto. Hanno mangiato panettoni di scarto di cuoio e si sono bevuti sangue di Befana dell’anno passato. Si sono rotolati tra dolori e auguri di buon anno sapendo che si tratterà di arrivare vivi al prossimo, ma di lotta di classe non si parla più. Si parla solo di guerra tra poveri.
Il futuro dell’umanità dipende dalla riforma della legge elettorale. È a questo che tengono gli abitanti del calcio in culo. È da questo che dipendono i clienti dei ristoranti romani e i loro dipendenti. Tutto dipende dalla riforma delle circoscrizioni, anche il tuo mutuo. Se si cambierà questa sola legge allora sarà una grande vittoria. La testimonianza che i nostri dinosauri possono presentarsi agli elettori cantando vittoria. E pretendendo altri cinque anni per parlare della prossima ventura. Buon anno a voi, che possiate gemere di miseria al nostro posto. E noi dirvi che abbiamo cambiato la legge elettorale.

Rabbia


Un vago trigonomio mi parla e mi dice “Pentiti degli zigomi di un’argilla vivente”. Peccato, perché guardavo la mia serie preferita di due zii che dormono tutto il giorno. È un grande fratello che si masturba le pere grigie. E adora il rigurgito senile di una prostituta dorata di greggio. Eloina sogna elefanti d’oro che celebrano matrimoni senza tappeti e l’immagine della Madonna che scende da una montagna su una pista da sci di fondo e si trasforma nella valanga azzurra.
È per quello che è apparsa alle pastorelle di Fatima. Che anche loro quel giorno avevano di meglio da fare che guardare una zia che faceva loro la paternale dalla luna. Il clitoride zodiacale della Madonna si situa tra labbro polare e la stella del punto G. Un santo protettore per i cornuti e le luci della metropolitana. Una corsa all’interno del treno si costituisce davanti alla polizia e finisce in prigione. Per sempre.
Aspettando i re magi. Ora è Natale. Ora arriveranno i tre stronzi. E ci martelleranno le palle fino al giorno del giudizio. A Natale saremo fuori dal tunnel. A Natale vedremo la luce. A Natale il bambin Gesù dirà Porca Madonna. A Natale succederà che i pesci faranno giardinaggio pascolando le vacche. A Natale conteremo i cadaveri. L’ultimo Natale poi la fine del tunnel. Vedo la luce diceva Monti.

Delirio di Natale


Un panico mi fissa mentre intingola le dita nel pomodoro natalizio. Hallowen è solo un antipasto. Sta arrivando il temutissimo Natale. Un grande pasto si prepara. Una intingola di prosciutti e considerazioni personali sull’anno passato. E un altro anno che arriverà. Di peste nera. Ma festeggiamo. Spendiamo. Guardiamo la pubblicità della famiglia felice. Serena. Contenta. In cui tutti, dico tutti, ridono e sorridono. La festa della sincerità. In cui tutto sarà rosso.
Rosso fuoco.
Il rosso in cui Nerone vide bruciare Roma.
Tutta roma. In un rosso Natalizio da cui la gente scappava. Il Natale è morto. Il Natale scappa. Il Natale si toglie le vesti e mostra la coda e il pelo del lupo cattivo.
Baciamoci e scambiamoci il segno di pace. La colomba che toglie il peccato. La lasciva che scorreggia via tutto lo sporco. E Roma brucia. Buon Natale amico mio. Buona fortuna. Festeggia un anno d’incazzi con lo zampone e il cotechino. Abbuffati fino a scoppiare perché grasso è bello. Grasso è spensierato. Grasso è Babbo Natale. Devi sedimentarti intorno a una spugna color Arlecchino prima di capire che la peste nera non conosce mutande a pois. Quelle rosse che la tua fidanzatina ti regala l’ultimo dell’anno e che fa tanto culattone. E soprattutto fa’ vedere agli amici quanti soldi puoi spendere, quanti ne hai. Fa’ che la tua fidanzata possa vantarsi con le amiche del tuo regalo.
Questo è il delirio del capodimonte. Un ballo del quaqua. Che finirà con i fuochi d’artificio perché un anno possa morire e uno nuovo cominciare, come prima, più di prima, finché morte non ci separi.

Uova


Bevo una birra in cima ad una montagna incantata e mi chiedo se il mondo sopravvivrà. Poi penso che è una domanda cretina perché non ha risposta. Poi penso che tutte le domande più importanti non hanno risposta. Quindi le domande più importanti sono cretine. Forse è cretino cercare risposte a tutti i costi, ma non farsi domande. Ed è cretino non avere le palle di vivere nel dubbio costante. Quindi è intelligente porsi domande cretine se non si pretende di trovare una risposta. Quindi la risposta è nella domanda stessa. O, meglio, la risposta è la domanda.
Tutto questo per dire che saremo sempre più poveri. E che in fondo il mondo non è altro che una palla che gira, se a noi ne girano due, tanto peggio, tanto meglio.
Ho un amico che si libra costantemente nelle palle (e nei cazzi) degli altri per evitare di scornarsi contro le proprie. Utilizza un fraseggio arcaico e una generosità ultra-cristianoide. Ma in fondo, la domanda è: meglio avere palle che girano o stare senza e immergersi in quelle di un altro? Dipende dalle palle di ciascuno. Il che dimostra che la domanda è cretina.
Ho un’amica incazzata con se stessa per il fatto di non avere palle e tende a scontrarsi contro gli specchi che le riflettono il suo senzapallismo. Chiaramente rimbalza e si fa male. Ma continua così, indefessa e più lo fa e più riesce a ferirsi e quindi trovare ragioni per scagliarsi contro gli specchi senza mettere in dubbio, chiaramente, il suo senzapallismo, perché se lo facesse avrebbe palle e quindi ammetterebbe di non averle avuto fino ad ora, il che è una contraddizione in termini. Quindi, ancora una volta una domanda colta: nasce (e muore) prima l’uovo o la pallina? Ancora una volta la domanda è nella risposta che non c’è, quindi è una domanda cretina.

Scaccola pelosa


Un canto peloso si erge dalla lirica delle mutande e scopre avvenenti ore che passano senza lasciare tracce nel tempo.

Una bella castana passeggia per le strade dello spazio e urina allegramente tra una nave e l’altra sollevatasi la gonna e inquinato il mare un po’ di più mentre i pesci aspirano liquidi genitali. Ella parla con un pallone aerostatico che scende pelosamente dal gatto spaziale satollo di piramidi egizie e di bruschette al basilico.

Piove. E l’aria si solleva. E la pioggia si distende sollevata da un materasso rock.

I battelli applaudono una scena fantozziana e si sbattono le vele, domani chatteranno su facebook ringraziando i polipi marinati delle loro cortesi barzellette sporche d’inchiostro simpatico.

Dodici pulegge si dilettano con pulzelle di altri tempi e inondano di bianca panna montata le montagne aderenti il sole caduco e cadente.

Divertiamoci ad impazzire, lentamente degustiamo questo piatto fusion dove il cervello fonde l’atmosfera lounge di mille zanzariere

Dottore è grave?

No si figuri, un cancrino capita a tutti. Uno starnuto e via.

Ah beh si beh. Ah beh, sì beh.

E avanti un altro cretino

Aissa


 

Aissa, una pelle di un nero ebano che riflette la luce della luna come fosse uno specchio, si siede in cima ad una scala e sogna. Guarda davanti a se il torrione di legno e scale sgangherate. Ripensa al falò delle vanità che consuma sua mamma e che la spinge a svendere la carne e l’anima per vivere in un castello come quello.

 

Un marchio d’infamia la perseguita per ogni dove e le rende la vita da adolescente più un inferno che un piacere. “Ci sono tanti modi di prostituirsi – pensava tra lacrime che riflettevano la luce della luna piena che entrava dalla finestra – e mia madre li usa proprio tutti”.

 

Nel silenzio della notte, persino l’essersi rifugiata in cima al castello non le impediva di udire le grida di godimento. “False come Giuda” pensava.

 

La madre, fotomodella di origini congolesi, le spargeva senza pudore in ogni sala e camera disponibile. Dormire era possibile solo tra un assalto e l’altro.

 

Il nuovo compagno era un ex pugile olandese, che aveva vinto tre titoli europei e ora gestiva società sportive.

 

Aissa l’odiava per l’odore acido che le lasciava sulla pelle di giorno, quando la madre era fuori. Era comunque decisa a partire alla ricerca del suo vero padre. Non appena finiva di studiare. Era per quello che la madre stava con quel bestione. Era quello che le diceva lei. Aissa non vedeva il senso di tutto questo, ma voleva fidarsi.

 

Another brick in The Wall


Mi fai schifo. È la verità. Tu che mi guardi mentre deformo i puntini neri davanti ai tuoi occhi. Mi fai vomitare. Sei una merda. E lo sai. In questo momento quello che ti interessa è solo sapere se sto meglio o peggio di te. Dentro di te posso sentire palpitare la paura che io possa leggere nella tua anima. Che possa leggere la tua paura. Di vivere. E di morire. Quell’angoscia che ti marcisce dentro. Che non vuoi sentire. E più marcisce e più puzza e non sai più come nasconderne il fetore. Per quello mi fai schifo. Perché puzzi. Sei un vigliacco. E non vedi l’ora di scappare via e voltare pagina. E allora vattene. Scappa. Vai a masturbarti da un’altra parte dove qualcuno ti faccia godere dell’oblio. E mi raccomando, non farti più vedere e non guardarti più allo specchio.

Perché quando lo farai ti ritorneranno in mente le mie parole e sarai costretto a pensare. A sentire. A odorare i miasmi che emetti. E diventeranno insopportabili. E avrai voglia di scoppiare. Ma non ci riuscirai. Dovrei vomitarti in bocca perché tu senta quanto fai schifo. Sei una fontana di odio e lo sai, ma non lo vuoi sapere sul serio, vero? Hai paura del diavolo, no? Hai paura di quel demone che si aggira là dentro, senza guinzaglio. Ed è per quello che ti comporti come gli altri, e stai al gioco. Che succede se gli altri scoprono quello che sei veramente? Hai paura di scoprirlo, vero? Scoprire che nessuno ti ha mai amato per quello che sei, nemmeno tu. Paura di essere solo? Abbandonato? Povera stellina, piangi, coccolino, piangi. E muori senza aver mai vissuto veramente. Senz’aver assaporato il piacere della verità, l’amore vero. Muori nel tuo fetore. Muori ora. Falla finita se tanto sai già che non ce la farai. O tutto o niente. Domani rompilo quello specchio e tagliati le vene. Vattene alla grande in una pozza di sangue che inonda le scale. E ringrazia me. Che per la prima volta ho parlato alla tua pazzia e l’ho amata come tu non hai mai saputo fare.

 

Odo un urlo

di gioia di vita

 

Odio un pazzo che m’a insegnato ad amare

 

Alzati e cammina o buttati via

nella fiera feroce

delle vanità

nascoste

dentro il muro di facebook