Un bacio al giorno toglie le braghe di torno e suggerisce un capotondo sporco a una valletta impunita che vuole essere picchiata per eccitarsi. Nuove tecniche di analisi virtuale si affacciano nel mondo del sesso dove la produttività è costante. Nella neve di Natali fruttiferi di emozioni ingessate che vogliono amarsi in un mondo notturno ma alla luce del sole. Aliene speranze di un mondo lontano. Animali ogm che migrano da un tumulo di rocce scoscese vi augurano buon anno e tante lacrime, sangue e rock crocifisso in un tubo in muratura armata. In fondo è per questo che i droni non sognano pecore elettriche. Hanno nostalgia della mamma.
Perifrasi che non aiutano la comprensione del testo di Dio. Morali che fanno seghe ai paradisi fiscali dove giacciono i tesori dei pirati. Un’economia basata sull’armonia di cielo e terra e biscotti al gianduia che solleticano il pisello di un castoro sfigato.
Mi riverso la saliva in un fiume di sangue che cola e sprizza desideri dalla lampada di un genio rammollito. Isidoro mi chiama dal fondo di una pizza alla mozzarella di bufala e mi sfregia un occhio per insegnarmi ad amare il mio nemico e soprattutto il mio amico. “Così taglierai una fetta di prosciutto per l’aria che tira in un concetto sopraffino di feci che piovono dal cielo in burrasca”. Ci baciamo in bocca perché l’amore oltrepassa i confini di un corpo frocio. E ci auguriamo buon natale.
Archivi categoria: scherziamoci
Justine
Una notte stellata mi circoncide attorno a un circo di capinere che mi parlano un linguaggio watusso e saltano da un ufficio all’altro per gabbie elettroniche che rispondono al nome di bit. Sparo a uccelli di manzo argentato e mi masturbo pensando alle rogne di Calcutta. Lebbrosi masticano chewingum acetato. Una bolla di sapone si sfrega contro una vagina epilettica e gusta il succo di limone di vacca boia. Mi strizzo il pene per guadagnare un tozzo di pane per guardare dalla finestra Justine. Sono Justine De Sade e vengo dal fornaio per mungere la moglie in cambio di due cornetti alla crema.
Prego la santa saporita perché mi dia la forza di far fiorire petali d’argento da culi di stronzi. Ma non sarà facile, perché? Una ruota di scorza mi pone l’ardua sentenza tra una jeep cherokee e un indiano pelato che suona l’arpa e il mandolino acerbo. Elisa si bene una frutta sciroppata, uno schifo di stufato che si agita nel suo stomaco peloso di zitella ripiena di kebab. Essa soffia e stuffa come uno stantuffo suonato in pieno oceano mare che recita una poesia di comodo per evaporare decine di miliardi di interessi sul debito.
Mi impicco come un derivato sfittico e m’inginocchi davanti a una banca centrale egiziana che sforna piccoli dinosauri sull’altare dell’unione mondiale delle scorze di limone e getto un tappeto in direzione della Mecca in cambio di due cammelli.
Tra gli anelli di una figa acida
Una galassia di trichechi rompe l’onda di una prostituta mestruata. In un girotondo al mandolino secco mi masturbo la gonna svolazzata in un tubo in miniatura mentre il nord Italia è flagellato dalla tarantella. Giro attorno al gatto che miagola in casa mia ma non riesco a tagliargli i baffi e un cordone suona la campana a morto per i topi del vicino mentre un effluvio al cioccolato mi ricorda che la vita finirà presto ma una morte finirà tardi.
Un fiume bussa sempre due volte prima di esondare, ma prima non straripava semplicemente? Comunque una musica gipsy si scalda lentamente per parlare di maionese e mi attizza le braci nella mente per un fuoco ripido e una discesa tra le cascate di merda io esco e matto tra questioni di pipistrelli che succhiano sperma dal collo di vespe che sanno di miele caldo e moscano nel brodo di lucciole per fare sesso a pagamento.
Batto e ribatto tra scorregge di spazzatura e gas di scarico per farmi ascoltare in un muro di silenzio: facebook. Ridiamo tra rivoli di merovingi e scorie radioattive per auscultare un Tribunale di meningiti acute in principio di peritonite. Che Dio ti salvi, ma ti si perda in una giornata di sole tra Tritone e Saturno, dove le stelle diventano stalle e la pelle eiacula schizzi di latte acido che compone la materia oscura finché dio non dirà di nuovo “luce”.
Alberi di gomma africana
Se una giornata di ottobre parla con gli alberi raccontando loro lo stato dell’arte della Terra e gli alberi hanno una faccia preoccupata, una ragione ci sarà? Non se ne occupa Annapina mentre cucina il suo arrosto di metallo lucido. Si gratta la testa con una pistola e spara a una mosca sul bordo della pentola del brodo fumante. Ma la sbaglia. E elimina un metacarpo ad un ospite seduto sul davanzale della finestra mentre si fuma una sigaretta. Una docile cagnetta fuma petardi di fieno in una nave spaziale e beve il brodo di metallo di Annapina che glielo serve in una ciotola di fango lunare.
Mentre alieni verdi e scheletrici si mescolano ai rami degli alberi di un paesaggio marziano e si godono una meritata siesta messicana i cowboy americani si divertono a passeggiare mucche beatificate da secoli di comunione ecclesiastica e godono a masturbarsi su selle di pelle umana di operai dell’ex unione sovietica.
Presi per il collo e impiccati a una stagione troppo secca per sopravvivere a pannolini sporchi lasciati imputridire in mezzo a una strada che si lecca le proprie ferite per redimersi dai peccati di una storia imbruttita dal sangue del parto. Una docile cagnetta fa i suoi bisogni accompagnata dalla nonna e dalla nipotina in una latrina metallica per cani modificati geneticamente in ambienti siderali.
Una coreografia al cioccolato
Vedo nel porcile una distesa di modelle in pantofole e pigiama al cioccolato che guardano la tele in una cascata di promesse non mantenute ma interposte a biscotti al sesamo che non può parlare per un ascesso dentale non ben curato. Cado e vedo luci a corrente alternata in mezzo a giornalisti assassinati dalla mafia russa. Ferdinando Imposimato si alza e regge una croce di struzzo davanti al cortile della macelleria urbana e chiede a gran voce un’inchiesta sulle origini delle aragoste cinesi.
Peccato che il fango lo abbia inghiottito e ora sia diventato cibo per gatti in vendita al Pam di Treviso. Un bocconcino unto all’olio di oliva di primo pelo. Una ragazza tenebrosa guarda attraverso gli occhi di una telecamera e spia il kgb in una guerra delle vergini incantate che pregano a Messa, e pregano una vergine di tenerle in grembo fino alla crocifissione dell’economia italiana che avverrà quando crescerà il pil, già nel prossimo anno.
Fumo una sigaretta alla nicotina canina perché ha un ottimo sapore di peli di cane sulla pelle e mi serve come deodorante anale. Metto in scena la drammaturgia di un palo che si chiede a cosa serve passare la vita a scrivere a un computer e mandare la roba via e mail. Serve mio caro a farti passare la voglia di giocare che avevi da piccolo quando ti divertivi a organizzare delle storie e a giocarci dentro.
L’apoteosi di un’informazione gettata in una macchina che non prova più orgasmi e decide di sposarsi finché morte non ti separi getta contro la tua faccia una maschera di dolore che fa sì che tu smetta di vivere e ti trasforma in uno zombie che è convinto di essere vivo.
Un grano di polvere grande come una mano di vernice
Una piscina aleggia sul cielo di Bologna e accende una speranza per l’umanità. Un tuffo nel vuoto molleggia la pinna. Molleggia una spanna di panna di perle che scendono per la mia fronte tra gocce di sangue e preghiere di cori gregoriani, mentre balliamo la salsa la mattina in riva al mare di Comacchio. Resta con noi, non scender dal cielo. Resta lì e non ti muover o dio beato. Che stavamo meglio prima. Ma se non puoi proprio farne a meno non raccontarci che c’hai fatto un piacere.
Meglio l’urina di un sacco di merda. Meglio la merda di un oro colato. Meglio la rita pavone che la diga di un gattopardo in calore. Metti poi che ci si frigga lo sperma ed ecco fatto il becco a l’oca. Giuliva. Nella grande schiera delle gatte delle nevi ci fregiamo di caldi arrosti che scendono a valle e mangiamo grandini di pettini argentati che pattinano violenti in un’aura di stroboscopi illuminati. E’ lì che Artisia si masturba in mezzo a tanti bambini che scivolano via urlando a mosca cieca tra musiche colorate e gomme da masticare a culo sul ghiaccio ardente.
Ma riesce a venire dopo tanto masticare le gocce di tempo che non sembrano voler darle tregua mentre fuori impervia la tempesta di sassi e preservativi contro le finestre di sale del palazzo dello sport che non lascia spazio ai neuroni di Godzilla anche perché non ci sono senza sberle. Vedi? È per questo che cerco di spiegarti l’origine della vita. Per sapere dove finisce anche se prima che finisce campa cavallo che non storna perché anche se storna non incorna nemmeno a pregare in greco. Che tra Atene e Sparta ne hanno fatte di cotte e di crude come la bresaola che non è come la mortadella, anzi. Che poi, anche se lo fosse, ma comunque.
Mi crogiolo al chiaro di luna
In mezzo a una spiaggia di testicoli in calore Anissa si siede e mostra il pomo d’Adamo alla selvaggina carente di antibiotici ormonali. Esige una mano sul corpo da schiava. Esige un sogno e una chimera che la porti su draghi di cartone in un’isola di porcini. Esige che la scatola di froci si apra e una bomba scoppi per dirigere il traffico di risotti. Gode al caldo sapore del mare. Nella fretta di un orgasmo con altri pianeti che gravitano intorno a lei dimentica di mettersi il preservativo e rischia di mettersi incinta da sola. Potere dell’immaginazione. Un bug nella matrix. Un bug che striscia sotterraneo in una casa fatta di piole e zanzare.
Corcina 86 anni si masturba nella sua casa nella prateria australiana davanti ad una sequoia alta 180 metri immaginando che sia un fallo di toro. L’orgasmo la vede rotolare in mezzo alle radici di iguana verde.
Caterina 18 anni fa l’amore col suo ragazzo in una cascina diroccata nella pianura statunitense ascoltando shakira nell’ipod dopo aver preso medicine antidepressive e senza sapere che di lì a poco ci sarebbe stata l’esplosione di un reattore nucleare a poca distanza.
Padre Alonso si fa masturbare da una signora di mezza età nella cucina dell’asilo di St Eusebio di Catalonia nel sapore stantio della mensa. Le mani di lei erano appena affondate nelle frattaglie di pollo e coniglio. Anche lei si eccita. Ma nel bel mezzo vengono scoperti.
Mi piego in un canovaccio di mutande
Scenari di peti all’aria aperta inalano l’aria pulita e soffocante del deserto africano. Il sole fiammeggia e ride solitario di barzellette che si racconta da solo. Giuda si sfrega il naso contro tette moribonde piangendo e scopando mentre una rachitica Madonna gli solletica il piede con l’alluce e gli dice “Amore succulento portami nelle grandi praterie a sollazzarmi di fieno ” e lui le sussurra “Certo cara stronza che ti appendo per le gengive e ti colo lentamente nel brodo di carne”. Entrambi mancano l’orgasmo di un soffio e si accendono una sigaretta di crine di cavallo giocando a carte con bertucce nigeriane.
Propendo in effetti per una cornamusa d’avorio e silicone, mentre mangio i pezzi di una banana raggruppata intorno a graffiti di metallo e rame in una grotta del Kentucky egizio dove i celti hanno imparato a suonare il mandolino e a ballare la tarantella napoletana in mutande di stirpe ascellare.
Negri sudati mandano effluvi di mango a vestali che ballano in girandole di fieno nell’unica grotta a disposizione del Neanderthal per i suoi libri e videogiochi. Ma è una festa se ti pare.
Il presidente felice
Piersilvio si mangia un piatto di tagliatelle alla puttanesca ripensando alla domenica di sesso sportivo sulle sue reti da pesca di triglie televisive. Uno stupro punitivo di capre indiane si allinea con la visione di una democrazia diretta alla famiglia di pescatori uccisi dai pirati malesi. Ci masturbiamo sul treno dell’italicum che collega Arcore con piazza Fontana e Emilio Fede con la femmina rubacuori del grande fratello della sorella della zia di mio nonno.
Mi succhio un pollice e guido felice nella poltiglia della fantasia mentre un leopardo in doppiopetto riforma il senato e gli italiani in bolletta osservano con orgoglio le psicoseghe di squali che aspettano con rassegnazione l’assalto alla cittadella. Se non hanno pane dategli lasagne, urlò la presidente della Camera alla folla di sedimenti ruttati da un vulcano in calore. Ancora oggi festeggiamo i resti lasciati dai cani affamati che risposero all’appello.
E mi dipingo di blu
E mi sciolgo in una legge elettorale che definisce i limiti dell’assalto alla diligenza. Sacchi di patate vengono messi a dirigere Messe cantate e fiumi di oro liquido e sangue di libertà persa in chiacchiere sul debito fantasma. Un veliero pirata nella notte si aggira furtivo e sagace e libera dalla prua alghe verdi di virus informatico spia. Tra un doppio maggioritario e un ballottaggio di tette del presidente baffuto scommetto che anche il Senato si berrà un the per non morire. Dipingo la faccia di Renzi e mi masturbo davanti a quella di Berlusconi e prego Allah che il netturbino spazzi bene i rifiuti della Repubblica, prima, seconda e anche terza, poi ingraniamo la quarta, ma elettrica.
Giochiamo in un orgasmo tra papa Francesco e i grillini che restituiscono il frutto del loro lavoro, ma quale lavoro? M’impicco nello Ior che parla con una bancarotta fraudolenta e lascio che la SantaChe peschi nel mio lago di struzzi e capinere disinformate. Ave Cesare per la Dora Maltese in un accostaggio forzato nel mar delle sardine sorde che navigano nelle riforme parlamentari senza affogare ma lanciando un urlo disperato che gli elettori sordi non raccolgono e così i Maro’ moriranno. All’interno di una pena capitale che scarica elettricità vengono accusati di un pirataggio dei pirati maltesi e giustiziati con una escort indiana dopo due anni di kamasutra sfrenato in cima alla torre di Pisa.
Me olvidaras
Un giorno saremo insieme a Barcellona e poi mi dimenticherai. Perché sei troia. E io coglione. Ma non ci farò una canzone. Ci farò una sega. E magari più d’una. E entrerai nel libro dei guinness. La ex a cui sono state dedicate più sedute autogestite.
Mi dimenticherai. Ma io non sono un pentolone bollito di escrementi di scarafaggio. Io sono qualcosa di più sottile. Io sono un paio di occhiali che si scioglie in una lava gelida di pesci lessi che cantano in coro una canzone lucida in stato post vegetativo da assunzione di stupefacenti. I Pesci Liquidi, si chiamano. Siamo una combriccola da bar. Una band posticcia come una parrucca su un cervo con le vene varicose. Di giorno suoniamo il clavicembalo e di notte non ci caga nessuno. Ma noi siamo convinti di essere grandi palcoscenici dove prima o poi suoneranno i falò delle vanità.
E costruiremo dighe di spermatozoi accumulatisi negli anni dalle radici degli alberi. E pagheremo le tasse a Tarzan. Noi insieme ai coleotteri di Odissea 2001 marceremo su Marte e instaureremo la dittatura liquida. Nel senso che oltre a suonare il clavicembalo berremo coca cola e ci laveremo con le mascelle di tricheco in polvere adiacentemente. Sii felice lettrice di balocchi stronzi. No, non sono volgare. Sono vero. Sono un microfono che scivola sulla spiaggia della fantasia e dà voce ai tuoi pensieri turpi. Quelli colorati di pece puzzolente. Quelli che il fango pregherebbe di tenere lontani da lui per non sporcarsi.
Il caso magnifica la fonte della vita finché il delirio non prenderà il sopravvento. E il delirio rivolterà il potere come il cacio sui maccheroni. Come la trippa sullo strutto di maiale. Come la vacca sul toro da monta.
Come cazzo finisce? Boh, per ora finisce e basta. Ciao.
Mastico ruggine di seta nera
Un’aria profonda rialza la cresta in una fuliggine sensuale che sale al cielo dalla vulva di un caminetto acceso che brucia vizioso.
Seducentemente mi avvicino. Una gatta maliziosa mi guarda e geme con lo sguardo. Mi lascio avvinghiare dalle sue parole oneste. E una cartolina miliardaria appesa ad un quadro mi avverte della pericolante scala a chiocciola dei suoi pensieri. Eri una cara micetta, pensai dopo lo sparo.
Eccomi al porto a pensare ai miei pensieri in un fiume di desideri che pescano allegri banchi di salsicce di grasso di liposuzione acerba. Siamo in una fase beta della nostra vita caro bullone che mi leggi. E nella tua testa svitata s’insinuano pensieri cornuti. E tu sei contento di somministrare alla tua pisella il nerbo aitante di un muschio agitato che ti agita i sogni e ti fa vedere la verità.
La verità fa male. La verità non si dice mai. Perché bisogna vivere col senso di colpa di non dirla. Così si crea la paura. Così si crea il potere. La verità è un clistere di fieno messo a maggese e ruttato fuori con il mosto dell’uva marcia.
Mangia la carota. E vai a dormire.
È Natale sant’Iddio
Pochi minuti al via e esploderemo in un risotto ai funghi atomici che contamineranno le acque giapponesi di radiazioni al ragù. Ci scioglieremo in canditi e uvette e cioccolato e zucchero a velo e diventeremo burro nelle mani dell’agnello sacrificale.
Un grande fusto di benzina urlerà le proprie fiamme al cielo e qualcuno lassù conterà i cadaveri lasciati sul campo da un bulldozer affamato di cinghie affumicate da mettere sotto l’albero. Come Annibale si masturbò con un ramo di pino così noi ci facciamo un’orgia da qualche miliardo di gocce di sangue e libertà.
Sento i prodromi dell’Apocalisse che scenderà con la neve e riderà raccontandoci barzellette all’uranio impoverito per solleticare i nostri enzimi a produrre liquido seminale che giova alla nostra salute di insetti inermi davanti alla natura pietosa e mietitrice. Una grossa grassa risata si spande nella chiesa la notte del Santo Natale con una SS Trinità che emerge da una capra vergine e mai toccata da un pastore sardo o palestinese.
E cantiamo Tu scendi dalle stelle o Dio beeeeeato.
Urka che rutto.
Ho sognato il naso di Cleopatra
Onestamente era spaventoso. Ma me la sono trombata lo stesso. Sogni che non ti lasciano andare, in una notte di morte senza stelle. Sogni che t’inseguono nel riposo più profondo ed evitano di farti vivere nella menzogna. Sogni che ti ricordano che sei un essere umano e non un robot. Sogni che ti fanno star male perché stai male. Sogni che sono i tuoi migliori amici perché non fanno finta di sorriderti mentre le pecore vengono scuoiate senza pietà e smettono di sognare e tu sei una pecora ma perdi i pezzi poco a poco.
Sogni che ti ricordano che forse, forse, anche tu sei una proiezione olografica di qualcuno o qualcosa o qualche punto interrogativo perso nelle varie dimensioni spaziali che giocano a nascondino con le proprie creature che ora festeggiano il Natale e festeggiano il sogno e creano l’illusione della felicità che arriva in slitta a portare felicità a buon mercato. Mica tanto a buon mercato, anzi. Pagata salata. E l’illusione che domani sarà meglio di oggi e quando lo sarà allora sarà troppo tardi.
Ho sognato il seno di Cleopatra e quello era spettacolare. Per quello non ho fatto caso al naso. Non è che il naso lo succhi o lo accarezzi. Quindi non te ne importa niente.
E l’ho baciata, la lingua di Cleopatra ed è dolce come il miele che è dolce come un sogno che poteva essere così dolce come lo sono le cose che non esistono ma per quello mi danno le emozioni più belle e in fondo è un’emozione che ci fa stringere le lacrime che soccorrono un carro di mele rovesciate in cima a un camino lento.
Ho sognato il Natale.
E mi sono svegliato urlando
Black block di tungsteno blu
Pongo si trastulla con l’umanità reggendo un reggiseno con il moccolo di una candela asmatica. Il senso di una trasmissione serale dedicata agli scrittori morde il freno di un gallo redentore di fronte al terzo occhio di un Buddha che pratica sci estremo.
Il mallo elicoidale di una passera cinguettante si stacca provocando uragani sulla Sardegna dove i superstiti si guardano in cagnesco mostrando i segni del tempo che passa e gli affligge col collo di una damigiana con la sottana.
Belando e ridendo Iura Estasi si masturba davanti alla statua di una sega per metallo arrugginito e si passa una lima tra le cosce per provocare più attrito a causa dei calli fosforescenti che le fuoriescono dalle ovaie tentacolari che hanno stritolato più di un pene.
Decomito e Gabbanella si intrecciano i loro rituali amorosi per imputridire gioiosamente nel corso di una manifestazione funebre in piazza Navona insieme a due black block omosessuali che praticano il sadomaso spinto per le scale di una scala antincendio
Non oso vituperare una vecchia assassina di orche e balene mentre parla da un peschereccio di gommapiuma e solca gli oceani bevendo l’acqua del mare come fosse coca cola spremuta da una patatina fritta
Il gallo canta sempre troppe volte
Diversamente sexy
Una troika di salami al formaggio s’imbizzarrisce al richiamo di una sottana sfuggente. Un microscopico anello latente s’intrufola nell’orifizio sacro e masturba un ganglio intestinale. Mario s’incendia in un atto di sodomia fecale seduto sul gabinetto del suo monolocale decadente in cui la toilette si trova tra il forno e il frigorifero. Deve girare un film come attore principale. Quando si presenta sul set è eccitatissimo e non vede l’ora di girare la scena di sesso omosessuale. Chiede al regista il massimo del realismo. E ottiene soddisfazione. Solo che l’altro attore non è gay. Mario esce ancora più eccitato e va in bagno e si fa la scopa.
Anais gira in mutande e senza reggiseno per casa. Da una stanza all’altra e semina feromoni tra le formiche che cominciano a girare vorticosamente tra le crepe dei muri di un appartamento bohèmien che dà sul parvis de St Gilles dove circolano struzzi mutanti che fumano sigari elettronici marcati Coca Cola. Un siero di latte viene spruzzato mentre fa l’amore con una coppia di coniugi che cercano giovani studentesse a pagamento per colmare il vuoto matrimoniale.
Un giro dell’oca si appropria delle mie emozioni che girano a velocità stroboscopica lasciando che un maiale su due zampe paghi il conto del ristorante lasciando una mancia miliardaria. Chiamo il racconto della spirale del minotauro ma nessuno risponde e vaneggio per la strada deserta alla ricerca del sacro Graal. Metto il piede nell’unico tombino senza coperchio e scendo nelle immensità degli inferi inseguito da una barzelletta su S. Pietro. Il cavallo non ci sta Flamenco. Il cavallo è sparito Flamenco caro. Il cavallo è morto nell’ombra di un ulivo senza lasciare tracce di sperma ma ha pisciato sulla Croce e ora vuole governare il mondo dall’alto di una cruna dell’ago diversamente abile.
Il vallo endemico di una minigonna zebrata
Il salice di una morte lenta organizza una struttura carceraria di amare parole d’amore. Il succo della libagione forzata gronda di aceto balsamico per una banda di cerbiatti che urinano sul pesce venduto al mercato mattutino ai turisti di uno zoo safari. Il sabato incontinente degenera in pozzi di fogna arrabbiata e il mio cervello è influenzato dalla sguardo torno di toro seduto che mi guarda e pensa alle studentesse in minigonne affumicate. Mentre il grande martello preme il pneuma dell’aforisma contenutistico io mi passo un rasoio tra i capelli e spargo un unguento lento tra le lenzuola del mio pene animale.
Il tutto mentre il palmo del piede si usura nella stitichezza lenta di un leopardo femmina che cammina con una lancia conficcata nel seno. Entro nel mondo endogeno di un lupo mannaro che confonde le equazioni con la coca cola e chiacchiera ad un bar di corvi imperialisti che danzano rap in un pertugio decorato in stile liberty. Definisco quindi, il sapore di una mucca bulimica e mi lascio ammuffire tra scatole di legno pregiato colorato con merda secca ricca di conservanti e ddt. Mentre cammino nella passerella di una montagna incantata mi chiedo se la vita non nasconda oscuri ossobuchi tra i quali ritagliarsi meandri di stracci tra un cuoio capelluto e un hippy fermo alla stazione ferroviaria.
Una grande luce mi porta assieme al vento di una mela marcia mentre osservo culi in minigonna in una biblioteca reale del reame di Boll.
E ti sputo in bocca.
Perché ti amo.
Mio pertugio incosciente.