Un fiato tutto d’un fiato.


Il fiato di un pesce lesso puzza. Non lo sapevo, ma è così. Se ti rutta addosso diventi blu cobalto. Tutto è dovuto al piombo che si masticano con i chewingum americani in palestra. Anche Donatella credeva che la pizza fosse fatta di pomodoro ma ha dovuto piangere lacrime feroci scoprendo che il giudizio universale è solo una barzelletta per froci adulteri.
Sedici mazzette al pio Greganti che difende con onore il comunismo dei pescivendoli. Ma votiamo uniti davanti a dio e alla corona che difendiamo con orrore dalla Svizzera. Con una mano antropomorfa mi seggo davanti alla luna e leggo pezzi di poesia marittima alla Musa che mangia un piatto di pastasciutta col ragù che le cola dagli angoli delle labbra e si pulisce con la sottana liquida. Votiamo e vogliamo e gorgogliamo nel mare della puzza sotto il naso i rappresentanti del mondo dell’aldilà per andare all’inferno con convinzione democratica. E tanta, tanta, rinnovata speranza in un mondo migliore che si rinnova a ogni nuova elezione.
Per perpetuare il ciclo occorre grattarsi la panza con stuzzicadenti carnivori ed è quello che faccio davanti al consolato delle pere tirolesi che mi sorridono suadenti togliendosi la minigonna dalla faccia. Mi butto in un lago di ceretta e pesco il mostro di loch ness che si era perso e stava annegando. Per cui mi premia con un annegamento rapido in questo cesso di verità a poco prezzo per te amico mio e per lei tua moglie che è un finocchio come te, ma oramai siamo moderni e dipingiamo tele di televisione spastica a olio extravergine.
M’ingarbuglio e m’intruglio con sommo piacere
In questa estate
Mai cominciata
Ma sempre
Partorita

Il piacere del cane


Sotto la notte va la ronda del piacere, al suono del pianoforte sterza in un’autostrada di pongo. Il giorno si scioglie lentamente e si lascia spalmare insieme alla panna montata. Così mi si definisce la mattinata di un personaggio storto. Albino si chiama. Come una vernice bianca, si chiama. Come le sue mani. Dalla nascita c’ha mani bianche come il grasso di maiale. Perché così era piaciuto a me. E ora si alza dalla sua branda, si mette la sua divisa e incomincia una normale giornata di perlustrazione e combattimento, come un soldatino. E indossa mutande a pois. Controlla muscoli e capelli. Si rade il suo bel viso di pongo, barba ne ha proprio poca, ma si taglia, e si ripara con un po’ di carta igienica.

Le sue mani bianche si sono sporcate di sangue e il sangue, il suo, non gli è mai piaciuto. Fa freddo in caserma.

Fa freddo e puzza. Fa freddo, puzza e fa pure schifo. Grigio metallica.

Fa freddo, puzza, fa schifo, ma in compenso c’è un paio di stronzi che sparano heavy metal a tutta birra per svegliarsi meglio. Non c’è modo di farli smettere. Oggi Albino non c’ha coglioni da starsi a sorbire ‘sta merda.

Oggi combatterà e sparerà come ieri e come domani e forse oggi toccherà a lui. Se l’è sognato e i suoi sogni, quelle poche volte, ci hanno sempre preso. I due stronzi hanno aumentato il volume e la gente deve urlare per parlarsi. Sono le sei di mattina in un cielo di nuvole basse ad altezza uomo che sembrano blocchi di ghiaccio pronti a schiacciarli se la temperatura si abbassa ancora un poco.

Si guarda le mani. Gli sono sempre piaciute. Specie quando è abbronzato. Ora quelle belle mani che hanno sempre suonato il pianoforte a casa le avrebbe lasciate andare per conto loro. Ora le sue mani agivano in nome e per conto dei suoi timpani. Ora le sue mani sparavano, sparavano e ancora. Quattordici colpi di pistola avevano ridotto ipod e stereo a un grumo di transistor e vetri. E soprattutto le sue mani erano ancora pulite.

Another brick in The Wall


Mi fai schifo. È la verità. Tu che mi guardi mentre deformo i puntini neri davanti ai tuoi occhi. Mi fai vomitare. Sei una merda. E lo sai. In questo momento quello che ti interessa è solo sapere se sto meglio o peggio di te. Dentro di te posso sentire palpitare la paura che io possa leggere nella tua anima. Che possa leggere la tua paura. Di vivere. E di morire. Quell’angoscia che ti marcisce dentro. Che non vuoi sentire. E più marcisce e più puzza e non sai più come nasconderne il fetore. Per quello mi fai schifo. Perché puzzi. Sei un vigliacco. E non vedi l’ora di scappare via e voltare pagina. E allora vattene. Scappa. Vai a masturbarti da un’altra parte dove qualcuno ti faccia godere dell’oblio. E mi raccomando, non farti più vedere e non guardarti più allo specchio.

Perché quando lo farai ti ritorneranno in mente le mie parole e sarai costretto a pensare. A sentire. A odorare i miasmi che emetti. E diventeranno insopportabili. E avrai voglia di scoppiare. Ma non ci riuscirai. Dovrei vomitarti in bocca perché tu senta quanto fai schifo. Sei una fontana di odio e lo sai, ma non lo vuoi sapere sul serio, vero? Hai paura del diavolo, no? Hai paura di quel demone che si aggira là dentro, senza guinzaglio. Ed è per quello che ti comporti come gli altri, e stai al gioco. Che succede se gli altri scoprono quello che sei veramente? Hai paura di scoprirlo, vero? Scoprire che nessuno ti ha mai amato per quello che sei, nemmeno tu. Paura di essere solo? Abbandonato? Povera stellina, piangi, coccolino, piangi. E muori senza aver mai vissuto veramente. Senz’aver assaporato il piacere della verità, l’amore vero. Muori nel tuo fetore. Muori ora. Falla finita se tanto sai già che non ce la farai. O tutto o niente. Domani rompilo quello specchio e tagliati le vene. Vattene alla grande in una pozza di sangue che inonda le scale. E ringrazia me. Che per la prima volta ho parlato alla tua pazzia e l’ho amata come tu non hai mai saputo fare.

 

Odo un urlo

di gioia di vita

 

Odio un pazzo che m’a insegnato ad amare

 

Alzati e cammina o buttati via

nella fiera feroce

delle vanità

nascoste

dentro il muro di facebook