Vedo nel porcile una distesa di modelle in pantofole e pigiama al cioccolato che guardano la tele in una cascata di promesse non mantenute ma interposte a biscotti al sesamo che non può parlare per un ascesso dentale non ben curato. Cado e vedo luci a corrente alternata in mezzo a giornalisti assassinati dalla mafia russa. Ferdinando Imposimato si alza e regge una croce di struzzo davanti al cortile della macelleria urbana e chiede a gran voce un’inchiesta sulle origini delle aragoste cinesi.
Peccato che il fango lo abbia inghiottito e ora sia diventato cibo per gatti in vendita al Pam di Treviso. Un bocconcino unto all’olio di oliva di primo pelo. Una ragazza tenebrosa guarda attraverso gli occhi di una telecamera e spia il kgb in una guerra delle vergini incantate che pregano a Messa, e pregano una vergine di tenerle in grembo fino alla crocifissione dell’economia italiana che avverrà quando crescerà il pil, già nel prossimo anno.
Fumo una sigaretta alla nicotina canina perché ha un ottimo sapore di peli di cane sulla pelle e mi serve come deodorante anale. Metto in scena la drammaturgia di un palo che si chiede a cosa serve passare la vita a scrivere a un computer e mandare la roba via e mail. Serve mio caro a farti passare la voglia di giocare che avevi da piccolo quando ti divertivi a organizzare delle storie e a giocarci dentro.
L’apoteosi di un’informazione gettata in una macchina che non prova più orgasmi e decide di sposarsi finché morte non ti separi getta contro la tua faccia una maschera di dolore che fa sì che tu smetta di vivere e ti trasforma in uno zombie che è convinto di essere vivo.
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Me olvidaras
Un giorno saremo insieme a Barcellona e poi mi dimenticherai. Perché sei troia. E io coglione. Ma non ci farò una canzone. Ci farò una sega. E magari più d’una. E entrerai nel libro dei guinness. La ex a cui sono state dedicate più sedute autogestite.
Mi dimenticherai. Ma io non sono un pentolone bollito di escrementi di scarafaggio. Io sono qualcosa di più sottile. Io sono un paio di occhiali che si scioglie in una lava gelida di pesci lessi che cantano in coro una canzone lucida in stato post vegetativo da assunzione di stupefacenti. I Pesci Liquidi, si chiamano. Siamo una combriccola da bar. Una band posticcia come una parrucca su un cervo con le vene varicose. Di giorno suoniamo il clavicembalo e di notte non ci caga nessuno. Ma noi siamo convinti di essere grandi palcoscenici dove prima o poi suoneranno i falò delle vanità.
E costruiremo dighe di spermatozoi accumulatisi negli anni dalle radici degli alberi. E pagheremo le tasse a Tarzan. Noi insieme ai coleotteri di Odissea 2001 marceremo su Marte e instaureremo la dittatura liquida. Nel senso che oltre a suonare il clavicembalo berremo coca cola e ci laveremo con le mascelle di tricheco in polvere adiacentemente. Sii felice lettrice di balocchi stronzi. No, non sono volgare. Sono vero. Sono un microfono che scivola sulla spiaggia della fantasia e dà voce ai tuoi pensieri turpi. Quelli colorati di pece puzzolente. Quelli che il fango pregherebbe di tenere lontani da lui per non sporcarsi.
Il caso magnifica la fonte della vita finché il delirio non prenderà il sopravvento. E il delirio rivolterà il potere come il cacio sui maccheroni. Come la trippa sullo strutto di maiale. Come la vacca sul toro da monta.
Come cazzo finisce? Boh, per ora finisce e basta. Ciao.
Alieno
Una vita passata tra voci incallite di nicotina ingiallita. Una punta di diamante che rimbomba nella tomba delle scale a ritmo hip hop. Un urlo si spande. Una sigaretta tra le dita di un ippocampo. Cade insieme alla pioggia dal tetto di un uccello deforme. Scorie nucleari attingono risorse alla fonte di un cancro che si espande insieme a gocce di lacrime e al sale di una stagione televisiva che finisce e ricomincia sempre uguale, sempre diversa, sempre e per sempre. Mi dispiacerà morire solo perché mi perderò il seguito della mia serie preferita. Solo per quello. E voglio fare l’amore con Miley. Dalla torre di Babele. Perché mi difenda dalle ire di Dio. Che balbetta parole sconnesse.
Sono fratello delle tribù d’Israele. E ora parte la pubblicità di una nave aliena, da comprare perché è la versione 5s. Quella con il motore antimateria e i cannoni di nocciole e proiettili di prugna secca. Che fa andare a cagare velocemente. Controllo il pannello di controllo. Chiamo Schettino e gli dico che va tutto in malora, ma lui è già lontano, col corpo, non con lo sguardo e mi saluta con il suo famoso saluto “Vabbuo’” e io lo saluto col mio famoso ditino verso l’alto.
Una mezza sega che ha sulle spalle il destino del mondo. Una difesa che lo reintegra nel corpo di un verme gli permetterà di pregare il suo Dio per il fango che ha digerito.
La pelle mi si squama e il rettile prende il posto del ragno.
Sento che il sonno ipnotico sta finendo. Prendo coscienza in un mondo alieno.