L’immagine di una lacrima


Il genocidio della poesia s’ingegna sulla misura della primavera per capire la guerra delle api. Si’, davvero arriva alla giustizia della politica Andreotti s’immolo’ sulla Costituzione perché aveva bisogno di una regola per masturbarla fino a ridere a crepapelle. E’ cosi’ che ha amato l’Italia. Ho paura. Ho paura della fine. Forse vivro’, ma la fine arriverà prima della morte. Perché la fine è antecedente. Anche il divo Giulio era antecedente. E cosi’ vinse la fine, morendo dopo. Ma diventando Papa. Divento una custodia dell’arte per essere prigioniero del sesso giocando a calcio in una comunità di maestre che uccidono la poesia guardandosi allo specchio. Una lacrima scende da un nesso che collega il rumore dei bambini e il corpo dei pompieri che fa un pompino alla pompa dell’anima, dall’interno. Pensiamoci. Perché la poesia abbraccia il papa come un handicappato. Ed è cosi’ che io la ricordo, pregando alla fine di una chiesa.
Non è vero che non c’entra. C’entra. Per chi crede tutto c’entra, c’entra ed è cieco, questo è il re. Questo è il re dei non vedenti che non vede perché è lui che non vede. Io mi concentro, ma non capisco. E allora applaudiamo. Perché non siamo ciechi. Ridiamo e vediamo l’immagine di noi stessi riflessi nelle labbra di una lacrima che scende senza fede. Ora è mezzanotte. Testimonio che ho visto uno che osserva un tempo che non c’è in un’isola che non ha alibi per non esistere, ma c’è. Io no. Non ancora. E ci saro’ quando esistero’. Ma prendo decisioni. Collegando i nessi tra i cani e i ciechi.

Armi e bagagliaio, fritti c’incamminiam


Un’america di superpolli reagisce alle filippiche della branzina al vapore e gode di una pancia ripiena di spermatozii nell’accarezzare penne nude in nuova guinea. Una sfrappola si lascia leccare a Carnevale per scherzo e una nuova speranza le nasce nella magia di orecchini dorati al polso della regina di Svezia mentre bacia la turca nel bagno. Mi piacciono i Maya, specie in brodo, un popolo mitico specie perché estinto se no sarebbe in via di sviluppo. Una sensazione gratta le palle alle gonadi della prostata in calore, mentre la micetta si lecca una passera ringalluzzita dalle corna dell’unicorno impazzito. Aristotele mangia un budino alla crema mentre scodinzola davanti alla ciotola in cucina e io preparo i garganelli allo stracchino di cioccolato triste, ma ganzo.
L’unione delle repubbliche socialiste sovietiche è stato un sogno di una notte di mezza estate che ora si scioglie di voti a Renzi che ronza in una banana di crediti e debiti. All’armi cittadini. Possa tu credere che dio esiste e vivere nella matrice interna del suo sfintere finché morte non vi separi e ti permetta di tornare allo stato liquido.

Conati? Sì, dica trentatré.


Ammazzo un cavallo e torno. Mentre mio marito si trastulla il pene con una sudafricana di cape town io posto un importante fiume congolese sul mio blog e decifro le tredici bare che volteggiano sulla mia testa per atterrare in una capanna solitaria e fare l’amore col pastore di anime. Una vulgata che si adegua al matrimonio delle cause civili non può dirsi veramente surreale se non lecca i piedi alle suole ammattite di una capinera.
Trentatré gatti si masturbano in coro sui tetti di una parrucchiera mentre prova le parrucche alle malate di troppa carità per affondare un martello sulle spalle di Batman prima che si trasformi in un vampiro e poi in un pipistrello sorridente che fa il ditino.
Una nuova Zelanda vogliamo. Che ci protegga dal massacro che si prefigge la baronessa rossa che ci guarda dall’alto del cosmo in tunica e mutande dal cui buco passa una lunga coda da lucertola marrone e nera.

Attenti al lupo


Un bonzo d’oro mi parla dalle similitudini dello spazio e prega affinché la specie umana si perpetui nel tempo e si diffonda nello spazio. Una pace profonda regna nelle profondità dell’animo e s’impegna affinché l’ibrido risalente alla notte dei tempi maturi la coscienza di sé in una botte di vino. Una luce accompagna il bonzo mentre si allontana dal viscido reame di seta gialla. Nella scrofa di lupo che si rotola in un turgido rosa pallido, Alonso gioca a rubamazzo col morto e indovina la crosta terrestre tra un grillo pasquale e l’altro e si tuffa in un lago di midollo spinale.
Nevica. Nelle sale cinematografiche un batuffolo di cotone esige la tangente dai nuovi primi ministri dalle bretelle larghe. Charlie Chaplin governa un gruppo di burattini senza fili e si fa il bagno in una tinozza nella capanna natalizia insieme a galline dalle uova d’oro e frattali universali.
Le gonadi pesano fluttuanti in episodi di terrore alieno per scovare il buco del culo dell’universo nella cantina sotto casa insieme a un pozzo di petrolio che parla di penisole infuriate e repubbliche cisalpine che si masturbano insieme a regine asburgiche e pere cotte.

Un pozione di urna funeraria


Urlo un urlo di pomodoro al basilico nel caos primordiale di brodo di gallina. Bonanno si fida di una marionetta lesbica per i suoi giochi di sadofrutta al dente cariato. Tra galli cedroni Bonanno sferra il suo attacco all’arma bianca e perde. Come sempre e per sempre. Sia lodato. Gesù Cristo. Ma è un perdente nato perché l’anima è fatta di frattali che guardano alla finestra un pesce africano che si butta in mare. Bonanno è un mitra, fatto di merda. Bonanno guarda la fuga delle patate fritte e si consola con un mantra cantato a squarciagola davanti ai campi Flegrei. Si ripulisce la vernice dalla faccia prima di consolarsi con una manica di spugna passata sulle lacrime di gioia per la morte di una capitale dei barbari con un occhio solo.
Bonanno si tinge la faccia di rosso e gode alla vista di una politica frangente bandiera bianca tra votanti infuriati e un generale Custer che prega per l’anima sua e quella dei suoi soldati. Bonanno si avvicina e gli si attacca alla gola e succhia. Bonanno è un cattolico e beve il sangue di un figlio di dio. E prega a squarciagola con inni imbevuti di sangue. È una minestra riscaldata, dice mentre si confessa al selvaggio cadavere di Custer e gli toglie lo scalpo, ma non è una cattiva minestra. Sa solo di rospo.
Bonanno si rimpinza e segue la galera che lo porta in sud Africa per una partita di Porto di Tamerlano, una regione della Cantabria meridionale. E lì, riposa in pace, in un’urna funeraria, tra vermi calabresi e tarantole di giada comprate dalla regina delle nevi che passava per caso a farsi una canna ebrea tra gomitoli di cioccolata calda e erotismi di piume affumicate.

Mi piego in un canovaccio di mutande


Scenari di peti all’aria aperta inalano l’aria pulita e soffocante del deserto africano. Il sole fiammeggia e ride solitario di barzellette che si racconta da solo. Giuda si sfrega il naso contro tette moribonde piangendo e scopando mentre una rachitica Madonna gli solletica il piede con l’alluce e gli dice “Amore succulento portami nelle grandi praterie a sollazzarmi di fieno ” e lui le sussurra “Certo cara stronza che ti appendo per le gengive e ti colo lentamente nel brodo di carne”. Entrambi mancano l’orgasmo di un soffio e si accendono una sigaretta di crine di cavallo giocando a carte con bertucce nigeriane.
Propendo in effetti per una cornamusa d’avorio e silicone, mentre mangio i pezzi di una banana raggruppata intorno a graffiti di metallo e rame in una grotta del Kentucky egizio dove i celti hanno imparato a suonare il mandolino e a ballare la tarantella napoletana in mutande di stirpe ascellare.
Negri sudati mandano effluvi di mango a vestali che ballano in girandole di fieno nell’unica grotta a disposizione del Neanderthal per i suoi libri e videogiochi. Ma è una festa se ti pare.

Ma Tarzan è nato in Tanzania?


Voci mi parlano dal nero di una gola profonda ficcata nel cervello da gallina di una puntura d’insetto. È Alice che dal mondo del bianco coniglio mi dice “Voglio un panino arabo per annegarmi nell’oceano indiano” “Ficcatelo da qualche parte” faccio io mentre digerisco una palla di zanzara con la malaria e viaggio tra dimensioni di merda nella disciplina militare di un Gergo etiope.
La Somalia rutta una lattina di cocacola tra le vestigia di un impero ormai trascendente con nostalgia violenta. Arcimboldo mi guarda dall’alto dell’impero austriaco della Tanzania e Renzi si prepara a governare l’impero Italico ridotto in briciole che servono da nutrimento per gli uccellini del lago Trasimeno.
Mani rapaci costituiscono il ventre solido della barriera corallina che risiede al centro del tempio di Salomone custodito dai cavalieri del Tempio della Passera Australe che vola e passa come l’uva al centro della tavola rotonda in un mondo di fiabe come la legge finanziaria che risolleverà le sorti della patria. Forza Inter?

Il freddo solare della tundra


Allodole borghesi scendono dalle nocciole per masturbarsi le gengive di rucola e stracchino. Un genio della lampada si abbronza al vento del mistral tra beduini e focacce che scendono dal polo per una vacanza al solare freddo dell’inverno padano.
Una nebbiolina scende mentre mi stuzzico le narici di ricotta pescarese e mi liscio la libido di una libellula in calore tra le mutande e l’arrosto di un governo di burattinai liquidi.
Arista si gratta lo stomaco dopo una messinscena con i suoi genitori per mettere su Internet il suo show porno con il ragazzo e con le amiche di facebook. Originariamente si solleticava da sola sotto le lenzuola della nonna, ma poi la vita urbana di Milano le ha sciolto le emorroidi come burro in padella e ora si chiede se l’Australia non sia un posto per villeggianti della costa romagnola. Mentre balla la Zambia sfoga le sue mirabili conoscenze di ausiliare dell’esercito della salvezza delle scimmie ingravidate da Fantozzi.

Diesel


San Carlo su butta a nuoto nella riforma del titolo cinque della costituzione delle vanità per esercitare il proprio diritto sul nutrimento delle anime. Pensa di essere un ridente scoreggiatore che vaga nel meandri dell’anima mundi ma scopre di avere un diesel al posto del motore a scoppio e piange lacrime di spermatozoi deficienti. Ma non si dà per vinto. Si rialza e pugna dal Manzanarre al Reno e prende a cazzotti i senatori del Paradiso.
Fu così che passammo da una Repubblica all’altra e a un’altra ancora mentre l’ancora di salvezza venne gettata nel mare del peccato. Un pesce palla passava da quelle parti grattandosi i testicoli e mangiando coleotteri giganti e pensando che la moglie lo tradiva con un pescecane guercio. E si ritrovo immerso in guanti di Giamaica e torte di Salonicco mentre san Paolo predicava ai pescatori e alle prostitute di immergersi in acque tropicali. Si mise gli occhiali e votò una serie di referendum sulla modifica genetica della pastasciutta.
Gene gnocchi mi appare in sogno e mi dice che la Madre di tutte le cazzate mi benedice e mi protegge dalle rogne rossonere e tifa per me. Mescoliamo i mondi e puliamoci con la carta igienica per purificare la gotta prima di entrare in chiesa e inneggiare la comunione dei vinti tra strati di bulimia e torte al cioccolato soffritto.

Il gallo canta due volte (e poi rutta)


Mi rachitizzo in una rucola acida di saltimbanchi col palinsesto fuso da orecchioni vampireschi e corna fritte.
Antonia si sforuncola un abito da notte di lino pregiato e condisce la pasta di vermi froci in zuppa di lenticchie lesbiche che sognano di essere un cane pieno di pulci che si masturba davanti a uno specchio deformante. In un’orgia di pleniluni Antonia sfoggia la conturbante pelosa alla festa della civiltà che si tiene due volte l’anno alla faccia della crisi dove il vello d’oro celebra la propria sensualità davanti a una folla affamata.
Urla di avvoltoi piangono gli sfarzi dei tempi andati e rivolgono alla Madonna la preghiera di una dolce gabbana che si satolla la vagina del fuoco dell’inferno e bacia pudicamente la bocca di una vergine sifilitica.
Bravi. Complimenti vivissimi al coro di pavoni sconsiderati e allegri che raccolgono voti per contribuire a spargere la fame nel mondo e ad imbandire la propria mensa alla quale accogliere i poveri a Natale.
Antonia alleva la prole in un pollaio di sterco di bue e gioca al gratta e vinci. E canta.

Mi stiracchio in una giungla disabitata


Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.

Coito ergo sum


Ero su una pista da sci e ruzzolavo a valanga per i sentieri dell’anima di una pantegana strabica mentre i miei occhi rilucevano di bianco latte al cioccolato fondente. Una storta. Una maledetta storta alla caviglia mi sbatte contro un sasso che finisce all’ospedale per trauma cranico. Mi sento responsabile per la vita del mondo minerale. E sono presente al funerale insieme alla vedova e ai parenti. Ma perché la Russia è la terra delle ghiacciate e la Florida la terra del sole insieme al Chad? Perché chiamare Sudan un paese in cui evidentemente si suda? E perché i fachiri sono solo in India? Mentre riattivo la presa di rete delle unghie di tapiro il mondo piove e la zingara balla.
Siamo insieme nella sala da sballo di un limpido oceano pacifico che accarezza il viso di una spiaggia alcolizzata da qualche parte in Nuova Zelanda e uccide il limbo dantesco di Paolo e Francesca per atterrare nella gestione a distanza di un sito web dedicato al delirio senza speranza e senza faccia tra due montagne che si guardano in cagnesco.
Una gatta passeggia sul tetto che eccita i suoi sensi animali e si fa penetrare da un camino spento e sospinto dalla forza del vapore acqueo tra quadri di fiori di loto e gelsomini sdolcinati che profumano di spermatozoi incontinenti. Un urlo e un getto di vapore al vulcano fiorito si sdraiano e si baciano tra effluvi di lava che lava la sporcizia dell’anima in una preghiera al lobo sinistro dell’orecchio della bestia innamorata con un coito vaginale.

Un’aperitivo stabico


Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.