Me olvidaras


Un giorno saremo insieme a Barcellona e poi mi dimenticherai. Perché sei troia. E io coglione. Ma non ci farò una canzone. Ci farò una sega. E magari più d’una. E entrerai nel libro dei guinness. La ex a cui sono state dedicate più sedute autogestite.
Mi dimenticherai. Ma io non sono un pentolone bollito di escrementi di scarafaggio. Io sono qualcosa di più sottile. Io sono un paio di occhiali che si scioglie in una lava gelida di pesci lessi che cantano in coro una canzone lucida in stato post vegetativo da assunzione di stupefacenti. I Pesci Liquidi, si chiamano. Siamo una combriccola da bar. Una band posticcia come una parrucca su un cervo con le vene varicose. Di giorno suoniamo il clavicembalo e di notte non ci caga nessuno. Ma noi siamo convinti di essere grandi palcoscenici dove prima o poi suoneranno i falò delle vanità.
E costruiremo dighe di spermatozoi accumulatisi negli anni dalle radici degli alberi. E pagheremo le tasse a Tarzan. Noi insieme ai coleotteri di Odissea 2001 marceremo su Marte e instaureremo la dittatura liquida. Nel senso che oltre a suonare il clavicembalo berremo coca cola e ci laveremo con le mascelle di tricheco in polvere adiacentemente. Sii felice lettrice di balocchi stronzi. No, non sono volgare. Sono vero. Sono un microfono che scivola sulla spiaggia della fantasia e dà voce ai tuoi pensieri turpi. Quelli colorati di pece puzzolente. Quelli che il fango pregherebbe di tenere lontani da lui per non sporcarsi.
Il caso magnifica la fonte della vita finché il delirio non prenderà il sopravvento. E il delirio rivolterà il potere come il cacio sui maccheroni. Come la trippa sullo strutto di maiale. Come la vacca sul toro da monta.
Come cazzo finisce? Boh, per ora finisce e basta. Ciao.

Una canottiera bucata


Il solletico mi raggiunge nell’intimità di una pandora attinente al genuflesso. Lui o esso attiene al campo della meditazione trascendente. Trascendente il piatto barilla. E prega un quarto d’ora che lo faccia respingere i conati di vomito provocati da eccesso di zuppa di intestino di vacca.
Una ragazza sogna il princi. No. Una ragazza sogna. Ecco. Sogna e si tocca. Si tocca e mostra il ditino bagnato al principe dei suoi sogni. E il cane annusa il fiato che puzza di cagna in calore e si libera dalle catene del senso di colpa e procede all’investitura regale della bella cagnetta. Pensieri che giacciono sotto la sponda di Saturno. Pensieri che si librano in un water che sprofonda nella diarrea di uno stufato di mamma tua. Codici genetici si modificano mentre spediscono il curriculum per diventare dei buoni soldati al servizio di chi li sevizia. Ed è per questo che il lavoro rende liberi. La libertà non si compra. La libertà si soffia su un alito di vento. Quindi la morte in una nuvola di nebbia spiove dolcemente su un sito web e la scorza della casta non serve per fare una spremuta di limoni acerbi.
Guardo la pioggia e penso che non c’è niente da pensare e mi gratto i coijoni sotto quest’afa nordica che sa di puttana soffritta. Una spremuta di tette in bikini. E piove sempre di più. E non penso. E ascolto il trapano che perfora la mia mente senza fare troppo casino. Ma comunque un po’ sì.

Venti agitati di un pasto vecchio.


Il minimo comune denominatore della vacca possidente genera una radice cubica un po’ amara che va mangiata col miele di pelo pubico di passero femmina. Ho la voce metallica ed è per questo che suono il rock come una padella smarrita nei transistor di un bidé di marmo blu elettrico.

Chiedo a Gurlo perché sforna i tricipiti insieme ad una torta alla panna preparata da sua nonna quando era un allievo della scuola islamica dei combattenti di Allah. Lui fa “Perché è così che posso mangiare liberamente un po’ di carne di maiale, se no ti fanno fare un clistere di pungiglione d’ape e allora passi un mese a pregare di morire incatenato ad un toro che sprizza sangue e piscio effervescente naturale” “Capisco faccio io, allora meglio essere cristiani così puoi mangiare caccole di vacca senza offendere né dio né Stalin col suo occhio antropomorfo e mangiare un brodo butterato con vaniglia”. Gurlo mi guarda con occhio pescivero si gira verso la scarpata dov’è aggrappata la sua navicella spaziale e si butta spensierato in questa lavatrice che centrifuga letti di spine. “Un coniglio in meno” penso tirandomi fuori una pizza margherita con salsiccia piccante.

Metalomé lavora alla catena di montaggio e grida. Enoch canta inni al Signore e stira le camicie di un cherubino sdentato. Druido pulisce le scarpe al signor Artù di Reggio Calabria. Vogano così i filopanti morenti che tranquillamente si crogiolano in un mare di salsedine croata tra vampiri e balle meteoritiche. Diversi anni or sono i lupi arborescenti si erano spinti all’estremo oriente fino a lievitare e assaporare i venti trasparenti di sirene spazzine ma poi si resero conto della paga da fame che ricevevano in cambio di servizi di prima classe e vendettero i loro servigi ai manicomi criminali coreani.

Fu così che provocarono le prime esplosioni nucleari nella testa dei pazienti, mentre erano seduti sul bidé piccante al sapore di pesce.

Tanto per cambiare


Aulico bulimico si diverte nella pioggia dei colori bianco e nero in una musica psicadelica che sa di merda. Giuseppe non sapeva che sua moglie lo tradiva e che si faceva di coca. Cola s’intende.
Le erinni consumano il loro piatto abbondante di cevice peruviano e mollano peti senza pudore e sudano senza fetore. Il giro dei venti si interseca al pollo allo spiedo di mia madre che si ritorce le budella dal ridere mentre lei lo spenna lentamente. Penna rossa penna bianca, caro amico mi sento bene oggi, cerca di tirarti su il morale anche se muori in un’esplosione nucleare. Vedi che le cose cambiano prima o poi? Lo so moriranno anche tutti quelli che conosci, poco male, io no, e quello è importante quindi siine contento.
Allegramente il pazzo ride e va al cine Se va al cine guadagna un pollo spennato e arrostito, che ride. Non ha voglia di andare al cine. Ha la febbre alta, ma ha voglia di pollo che ride. Si alza e si trascina al cine. Ma davanti alla cassa scopre che s’è scordato i soldi. Torna a casa per prendere i soldi. Torna al cine ma il film è già iniziato, allora ne cerca un altro ma non ce n’è più. Piove e si bagna. Prende una polmonite. Torna a casa e cerca almeno di guardare la tele ma si addormenta e sogna un film. È la storia di una vacca che si chiama Vittoria che vuole rompere il muro del suono. Prende la rincorsa e si scorna contro il muro dove sopra c’è scritto “suono”. Ma si rompe testa e corna. E il muro le mostra il ditino. E ride. E anche il pazzo si sveglia ridendo alla grandissima. Tutto passato, polmonite eccetera. Allora va al mercato e si compra un pollo arrosto e la risata se la fa lui. Ora vado a lavarmi i capelli. Che puzzano. E anche tu faresti meglio a lavarteli. E anche a lavarti il culo.
Va beh.

Crampo alle dita


Il trillo azzurro di una vacca che si muove con fatica, zoppa e guercia, mi solleticano l’intestino e ruoto su me stesso per chiamare una storia che mi gratti e dopo mi dica bravo. Audino si masturba in volo, mentre pilota un aereo tra Shangai e Hong Kong. Sorride Audino e parla con la hostess che lo guarda pensando se si è ricordata o no il regalo di compleanno di un’amica a Livorno. Una volta finita l’eiaculazione durante un vuoto d’aria Audino riprende i comandi ed evita di schiantarsi mentre i passeggeri stanno urlando canti della resistenza polacca. Il divin bambino s’insinua nella tana di una volpe e la cavalca per ore e giorni. Mentre un orologio scandisce la sequenza delle nuvole che passano io mi domando cosa ci fanno gli aquiloni radunati a coprire il sole di mezzogiorno a forma di rombo blu. Ma gli aquiloni sparano. Pallotole di zucchero e lecca lecca. E tutto finisce in vacca.
Diciamo che una forma di caffè si trasforma in pappa per neonati e il neonato in questione pensi alla risoluzione del problema di fondo della meccanica quantistica, ma muore prima di poterlo rivelare al mondo per una semplice influenza convertita in polmonite e poi ciao. E allora? Dove sarebbero i muri d’acciaio? Gli verrebbe un crampo alle dita? Ma se così fosse allora il pianoforte di mia figlia non suonerebbe più le musiche di Beethoven. E allora mi rifarei con le formule di Einstein. Dov’eravamo? Ah, alle palle del pilota. Che messo su il pilota automatico mette le mani addosso alla hostess che si lascia fare sempre pensando al regalo di compleanno dell’amica. Quando si accorge di quel che sta succedendo è troppo tardi. Questo è il prezzo da pagare per una cattiva memoria. Un pazzo a cavallo ride per il troppo galoppo ma scuote il cervello per ricavarne una zuppa già pronta.