Unplagged


Un plug in nel capobardo mi sostiene nelle zone intime
Perciò guardo alla televisione il midollo di Enrico Spina. Spina è un giudice che si diverte a sentenziare condanne al prosciutto e pomodoro per gente che non ha più niente da perdere.
Nella buca di un insetto cado. E mi spezzo un pelo. Un cavillo legale che recide le corna a politici e avvocati. Tra occhi che non vedono e scarpe che non grattugiano il formaggio la politica è assente. Ma Renzi ci protegge. E ritiene opportuno il cordoglio dei pensionati salvo quelli falsi che non valgono tanto quanto una scarica elettrica.
Ti amo Veronica. Trascendi le misure di carbonio 14 e nessuno riesce a datare il tuo seno che riflette la luce del sole anche col bikini di lana. Forse te l’hanno iniettato i rettiliani nell’astronave del sole azzurro zenzero.
Un succo di liquido estense scivola nella mia bocca voluttuoso e prende possesso del mio stomaco mentre respiro rivoli di sperma annacquato

Barba di rabarbaro


In una casa di zenzero un ragazzo si sbarba dalle acque sporche di rabarbaro e punta a una sega elettrica per mangiare una lucertola di colori sgargianti in minigonna. Tra ninnoli d’oro e psicoterapisti definisco il quadro del big bang.
Tra quadri di Dali’ e spolverini di Miro’ mi masturbo venendo a patti col diavolo.
Gargantua è un amico caro, alto e nevrotico, simpatico e schizoide. Ha ucciso tutta la famiglia durante una partita a carte. È un bravo ragazzo, ma non sa perdere. Bisogna capirlo, da piccolo non vinceva mai le gare di corsa con il suo cane. Anche perché è zoppo. Lui, non il cane. Sì è azzoppato durante una caduta dal fornello di sua nonna quando aveva un anno e mezzo e si è messo a ridere perché non sapeva ancora se quando ti fai male devi ridere o piangere.
La madre è la dodicesima figlia di sette sorelle incrociatesi con i rettiliani della seconda generazione. Insomma ha la pelle un po’ giallognola e i capelli verderame. Ma è una bella gnocca per alcuni. Un calcio allo stomaco per altri. Per esempio per il marito che si chiama Rado ed è sintonizzato su un’altra frequenza quella dell’elettrocardiogramma e si nutre di aria fritta con ketchup a parte e un po’ di maionese, ma non è anoressico, no, mangia un casino. Per lui masticare aria è una specie di obesità. Già al mattino comincia facendo bolle nel caffè latte. E finisce facendo la stessa cosa con la zuppa alla sera.
Insomma Gargantua, da quando li ha ammazzati, si sente quella sensazione come di assorbimento quantico e gioca con zerbini e amazzoni da palcoscenico e ride senza sforzo quando si trova sulla tazza e più ride e più esce e più esce e più ride. Ogni cagata rischia di restarci secco.
Ma questa è un’altra storia
Smack!

Una palude lombare


Una colomba precipita facilmente su una torta nuziale. Per cui si disincentiva il personale a calibrare gli interventi dei pompieri su fuliggini di fuoco intenso. Una bestia si dimena la coda e mostra le ballerine ai piedi fetosi per pubblicare un manifesto del pubblico pudore tra sguardi sgomenti e peli pubici pietosi. Il male della gravità è che un magazzino merci può chiudere i battenti mentre si festeggia la Capodistria di un magnate della birra e della puleggia.
Brindiamo per un vespasiano incontinente che puzza più della selvaggina putrida in una palude uggiosa nella savana continentale londinese. E masturbiamoci in coro in onore di valchirie con l’acne recidiva per una pietanza scotta che sa di pesce marcio fritto con patatine callose.
Desidero saltare da una cometa di Hallowen ed atterrare in mezzo ad un campo da calcio dove si gioca la scapoli contro ammogliati di trentasette cornuti imbarazzati che si sciolgono come neve fritta. Un pazzo ride a fondocampo, ride a crepapelle, ride e la pelle si crepa. Ride e le crepe si riempiono di vermi. Ma ride lo stesso. Ride e muore. Ridendo.
La partita finisce sullo zero a zero mentre affondiamo lentamente nelle sabbie mobili della schiavitù strisciante. Là dove la mente tocca lo zenith e noi ci abbracciamo lentamente dato che oramai non ci resta altro che l’amore.

Una scarica di urina per fissare il tempo nell’orologio


Mi si secca la lingua a forza di sbavare tra angoli di rifiuti del tempo. Medico le ferite dei cerotti di carne arrostita che tornano da una guerra di capre comuniste e draghi di cartone di pacchetti di amazon. Mi sforzo di capire le loro ragioni e i loro pianti ma tendo piuttosto ad ammanettarmi al letto e farmi frustare da gatti a nove code per urlare le loro pene e scaricare l’elettricità tramite fiotti di urina al pesto genovese.
Però sono triste perché penso a Tristano e Risotta persi nei meandri di una Matrix che non li lasciava respirare. Mentre qui balliamo con i bubboni di peste e cantiamo tra barili di vino e pesce moltiplicato dalle ultime cene.
Anche qui crocifiggiamo i panettoni di Natale e pestiamo le corna a San Michele e ai tori della corrida, ma non ci permettiamo mai di dire che Dio è un palo di una banda di ladri. È per quello che mi scoppia una bomba nel cervello e devo dire addio al mio pubblico di santi urlanti mentre mi si strozza l’ultima sillaba tra gemiti e singulti dodecafonici.
Ma a te fa male l’occhio?

Mangio Valchirie e desidero un bicchiere di sesso al lime.


Un’epigrafe al cimitero legge una poesia di Montero e recita a voce stridula la propria ignoranza. Nel mentre un elicottero dolcemente atterra al centro di una libellula in calore e le chiede se può profumarle la schiena con il miele di leopardo. Certo fa lei, accomodati sulla punta delle dita. Così si esprime un maestro. Per far fermentare il mosto del mostro in gonnella su sedicenti pulzelle che giocano con cavalli agitati in un prato fiorito di margherite e rododendri.

Così, guardandosi lo spettacolo, Manuela si getta tra le braccia del tempo e pensa che forse suo marito non le vuole bene perché non glielo dice tutti i giorni. Tutti i santi giorni. Preghiamo insieme e diciamo Rendiamo grazie a Dio per avercelo disegnato così bene. Cosa, non si sa. Ma è bello pensare che lo sia.

Non deliriamo fratelli, ma pace e pane. Sotto l’albero di Natale piove tutti i giorni, ma dentro al prosciutto crudo la festa continua e tutti saltano in aria durante la legge finanziaria.
Renzi mi ha chiamato e mi ha detto che vuole scherzarci su perché tanto anche la legge non sa più leggerla nessuno e allora farà cantare in coro tutti i deputati e questa sarà l’ultima riforma poi tornerà nella giungla a giocare con scimmie clonate di puttane tristi.

È o non è così? Sì, per tutta la vita.

Cadaveri in lotta per la sopravvivenza stappano una bottiglia di champagne


In una serie di alterchi una testa mozzata si smarca dalle isole del Madagascar e sposa una turckmena in nozze coniugali per lettera epistolare. Una voce dal nulla canta una musica country lounge e mi racconta le sue esperienze di sesso nella prateria danese tra chitarra e mandolino, birra e pisellino. Ma è in Botswana che sono nati i Watussi? Così. Mi suona. Ma magari non c’entra un Kenya.
Scrosciano gli applausi tra spire di libidini biforcute e la voce suona e intona una marcia nuziale per cadaveri smartphonizzati che comunicano ma non comunicano, parlano e ascoltano il suono del silenzio rimbombare a campana in echi vuoti e spazi siderali senza ritorno né alla vita né alla morte e senza sapere se l’aldilà è ora o tra un mese e in fondo chi se ne frega.
Quindi balliamo la salsa di pera tra siringhe di pace e spruzzi di liquidi riproduttivi e lecchiamoci le orecchie mormorando parole d’amore bastardo per ritornare alle origini di un baccalà beccamorto che dipinge volti sereni prima di seppellirli e non riesce a dipingere quelli viventi che si muovono troppo s’innamora di una in coma. Una passione che dura una vita. E una morte.
Ma, in fondo, piango?

Le efemeridi giallo pus


Una vecchia gallina sifilitica si monta un gallo adolescente tra coperte untuose e quadri pedofili. Un secondino s’infila un manganello rugoso tra le gengive infiammate e sputa quadricipiti arrosto secondo un ordine deciso da una Madonna lasciva e sanguinolenta incisa su tele variopinte.
Bestemmia Osvaldo in presenza della principessa della costola di cane cotta al vapore. E non si degna di zappare su un plasma trasfuso in occhi anemici durante un’operazione di spending review del governo di Birkenstock con le trapunte ai piedi. Mi limo le unghie su felici montagne russo ucraine tra flotte sul mar nero e coperto di latte e caffè.
Speriamo nelle fauci del governo renziano e preghiamo san checco che ci porti l’aldilà nell’aldiqua e desideriamo fortemente i nostri chicchi di mais quotidiano tra cerbiatte in calore e fili di spago che riempiono i diletti di mango e liriche d’altri tempi dove Mozart provava un requiem facendo sesso con una ragazzina altezzosa figlia di una vecchia gallina.
Che il vapore sia con voi

Fiori e cascamorti


Intreccio le dita di file di fiori su catene spezzate e una voce da bambina mostra il suo corpo nudo sulla catena appesa da una prigione di cacca.
Novecento si immerge nell’ultima onda d’acqua e nuota con i folli presagi di un pianoforte che lo insegue e lo suona alla velocità di una sciarada di vespe che cantano una lirica di parrucchiere.
Intreccio peni e salami in un salumificio giapponese dove scorrono le rotaie dei sensi sottoforma di peli pubici attaccati a manette che pendono dal soffitto e fruste che accompagnano dolcemente le fusa di una gatta strabica che non riesce a leggere i promessi sposi senza piangere di gioia durante la peste bubbonica e spera che muoiano tutti i personaggi tra urla e spasmi notturni.
E urlo svegliandomi all’imprevisto in mezzo a saggi urlanti che urlano in coro un Amen alla prateria notturna e vagano lentamente con la coda a forma di cactus tra porcospini e iettature di zenzero a pomice atomica
Funghi si spargono in tutto il mio corpo e prendono possesso dello Stargate del senso, ma no, non cercare di trovarne uno, no, non farti venire il mal di testa, no, non uno, ma centomila, centomila lire, ti ricordi? Quando eravamo ricchi con centomila lire? E un ghiacciolo enorme ne costava cinquanta? Medioevo dice Felice e ora siamo costretti a comprare lo smartphone per risparmiare sul computer, e lecchiamo l’i-pod al limone e scarichiamo una app per farci avere un orgasmo così risparmiamo sui ristoranti di S Valentino. Sbattiti una lacrima amore mio.

Una troika batte le spade di lana sulla faccia del morto


Una Madonna grigia sputa sentenze in questo giorno di letizia. Silvia butta l’ancora al di fuori di una saetta mobile di batman per svenire e farsi soccorrere dal pirata della strada. All’attacco miei prodi e mostrate tatuaggi con l’insegna della cocacola. Anche tu beone da strapazzo. Un’arpa di gioia mi strappa dai miei sogni. Incubi di piacere scorrono tra le tue braccia mentre ti distendi su di me per penetrare le molli carni di un sospiro d’amore.
Un’ansia che origina da Saturno gode della tua verginità e desidera il tuo timore di essere giudicato per rifarsi una dormita tra le braccia della luna incostante e lunatica. Dormi bambina mia tra le braccia di una suora vergine e di quante come lei decidono di vivere una vita tra le braccia della morte abbandonate su prati e toilette da madri drogate e batuffoli di cotone.
Piango per la morte della mia anima e soffoco in uno spazio tempo che non è il mio ma dell’imprinting ricevuto finora in una marcia funebre che esplode nei piedi di un gallo d’oro senza incidenti spaziali. Woody Allen abbraccia una pecora per fottersela ancora in piedi davanti alle bianche scogliere di Dover. Insieme camminano mano nella mano per non pestarsi i piedi in un tango argentino che mangia la polenta.
Buona notte amore mio.

Cinquanta sfumature di peli pubici


Una ruota capovolta rinfresca la mia testa rotta e danza correndo nella Terra pruriginosa senza arrotare coltelli per tagliare salami in una schiena nuda e sensuale di donna.
Cinquanta sfumature, non si può più dire, come forza italia. Ci rubano le parole e con esse i concetti. E con essi le emozioni. Ma noi balleremo finché non sarà notte. Finché non sparirà il sole. Aspettami e balleremo insieme finché il mondo non berrà il calice dell’Apocalisse.
Dammi la tua schiena. Dammi la tua bocca. Andremo nel mondo del verme verde e giocheremo a dadi con Dio. Sorrido pensando alla teoria della relatività del cioccolato. Per giustificare la nostalgia dei tori e dei cavolfiori. Ma perché? Le domande sono più belle delle risposte. E il delirio altro non è che una grande domanda che rimbomba in una campana che suona a morto per vivere tutto in questo momento. Perché non può essere altrimenti? Perché corro in un’autostrada di sole bruciante sudando e bevendo rospi e falene con la diarrea.
Vado in bagno a vomitare pezzi di anima e canto un canto celtico per giorni pazzi come un bambino che si chiede come invecchierà quando sarà nonno di bambini come lui. Facce che mi girano intorno e ridono come pazzi che ridono come pazzi. Mi amerai ancora ? onestamente non me ne importa molto. Ma non prendertela in fondo dobbiamo ancora fare l’amore. Dammi la tua bocca per farmi uno spinello di farina di frumento biologico.

Mi crogiolo al chiaro di luna


In mezzo a una spiaggia di testicoli in calore Anissa si siede e mostra il pomo d’Adamo alla selvaggina carente di antibiotici ormonali. Esige una mano sul corpo da schiava. Esige un sogno e una chimera che la porti su draghi di cartone in un’isola di porcini. Esige che la scatola di froci si apra e una bomba scoppi per dirigere il traffico di risotti. Gode al caldo sapore del mare. Nella fretta di un orgasmo con altri pianeti che gravitano intorno a lei dimentica di mettersi il preservativo e rischia di mettersi incinta da sola. Potere dell’immaginazione. Un bug nella matrix. Un bug che striscia sotterraneo in una casa fatta di piole e zanzare.
Corcina 86 anni si masturba nella sua casa nella prateria australiana davanti ad una sequoia alta 180 metri immaginando che sia un fallo di toro. L’orgasmo la vede rotolare in mezzo alle radici di iguana verde.
Caterina 18 anni fa l’amore col suo ragazzo in una cascina diroccata nella pianura statunitense ascoltando shakira nell’ipod dopo aver preso medicine antidepressive e senza sapere che di lì a poco ci sarebbe stata l’esplosione di un reattore nucleare a poca distanza.
Padre Alonso si fa masturbare da una signora di mezza età nella cucina dell’asilo di St Eusebio di Catalonia nel sapore stantio della mensa. Le mani di lei erano appena affondate nelle frattaglie di pollo e coniglio. Anche lei si eccita. Ma nel bel mezzo vengono scoperti.

Api nere


Api assassine vestite di nero scendon cantando dai lobi d’orecchio per amare fottendo girandole di peli. Il calore di Armani si sparge per fonti e sorgenti e sparge zanzare onniscenti in mezzo a ragazzi biondo platino che sfilando imbarazzati sorridono a capinere in calore che si masturbano i denti con gengive soffritte e righelli di birra.
Amami Oriana, di un sonno profondo in questa valle di stronzi, papaveri e rose rosse. Che esprimono il sale espresso decaffeinato in rutti e cammelli che saltano ruscelli e merluzzi spaventati.
Anime spente che spargono urina, giocano a carte per ammazzare il tempo di una candela che cola giù per il water e piange. Asciugamani e salvagenti si calano in una concessionaria di valvole pituitarie e muoiono dal ridere

Tre stronzi


Tre stronzi si guardan negli occhi per non sprecare la voce in seni poco rigogliosi.
Annacquando la saliva mi guardo allo specchio e riattivo neuroni e intestini pigri per fumare fuori dal locale e dalla testa
Sì, sono in un locale di animali che parlano con insetti e rane in minigonna e non so se ne uscirò vivo o con il sangue succhiato integralmente da mignotte affamate di sfinteri psicodelici.
Mi uccido toccandomi il seno e scopandomi un blog di farfalle impotenti in una girandola di sperma metallico.
Sudiamo insieme e coloriamoci di santità mentre i padroni dei pollai stramazzano per la perdita delle miniere di carbone e sedano alla puttanesca.
Teodoro non trova pace nel seno della madre;
Si precipita in un tuorlo d’uovo e annega.
È espulso dai villi intestinali

Il miele disadattato


Nulla sottende alla redistribuzione del reddito e nulla parla nelle gonne di una maschera veneziana. E chiede. E risponde “Mi mordo la lingua!”, ma noi diciamo “E allora?” e quindi supercazzola a te amico e figlio dei fiori.
Ma tornando a tromba anche il miele cerca una via d’uscita dalle pecche quotidiane.
Angela mi fa una sega in cambio di una ruota di scorta usata. Ma ha delle mani da pianista e un tocco migliore della lingua di Venere. Non vedo l’ora id toglierle il succo della vecchiaia per ringiovanirla dai suoi ottantasette anni portati bene.
Figlia dei fiori di viola al forno che scrolla la ruggine di dosso da un cammello asmatico che quadruplica le forze per gestire la forza di Odino e sparare sulla croce.
Il senso del dovere evince la scoperta della caccia al tesoro per dormire su un materasso rotto il sonno del giusto. La bandiera bianca era rotta e sventolava su una prostata dolce come mele cotte.
Spizzico biscotti al rosmarino mentre l’orgasmo bagna il soffitto e ringrazio Angela.