Tredici moschettieri si rendono conto che la cavalcata delle Walkirie non avrà la meglio sulle orde dei Nibelunghi che in realtà sono un po’ corti dato che sono dei nani che vivono sottoterra, ma comunque, magari qualcosa di lungo ce l’avevano. Il fatto è che mi annoio e non vedo un purosangue da cui estrarre pepite d’oro. In fondo le stelle ce li avevano gli occhi? Sì. E allora usiamole come assi del gabinetto per quelle diarree fulminanti che si fermano con un po’ di limone. Ieri ho visto come si pesca nel mar dei Sargassi dove le pinne di leone depositano le loro uova per diventare anguille e tornare nei fiumi. Prima o poi si picchieranno le pinne sul tavolo per decidere quali bastioni rimescolano il brodo di triglia.
Nel vento della lupa però trovo la felicità di un bambino che piange lacrime vere come i minuti di tim. E corre felice per i prati di debiti disseminati dalla FAO che aiuta l’agricoltura sostenibile della Monsanto. In quanti pidocchi potremmo salvarci dalla temuta invasione delle cavallette di Blade Runner? L’importante non è morire, ma morire contenti. Questo diceva mio nonno, il saggio Tlin Tlan Tiè che si è schiacciato un dito sotto un bulldozer per dimostrare le proprietà curative di una crema che ha inventato lui. Potete trovarla sul suo blog. Insieme col suo dito.
Una risata a denti stretti. Una zolla di zucchero velato. Il fiume Stige sul quale trascorrono le ultime ore i condannati a morte insieme al sommo poeta se non sviene. Anguille di zucchero filato discendono dal cielo riempiendo le gole di ebrei affamati di manna. Da questo si evince come la storia dell’umanità sia fasulla e di come gli alieni ci abbiano modificati su un altro pianeta prima di impiantarci in questo.
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Mi stiracchio in una giungla disabitata
Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.
Un dio guardone
Una gamba di pezza solletica il mio spirito in fondo a un lago d’argento dove celebro il mio matrimonio tra i fedeli di una chiesa offuscata dal travaso di bile.
Un’operazione costosa per succhiare il liquido giallo dai pori dei muri ha portato all’ustione degli organi interni di un sacerdote dell’urina di Satana. Si è masturbato davanti ad un pubblico di carciofi adoranti mentre cantavano e si toccavano le natiche. Il lato N.
Mitisoara dice che non gli vanno bene i tortellini in salsa di chiesa mentre si tira su i pantaloni dopo aver cagato sulla turca di un effluvio di sodomia affumicata. Con un rutto si libera di anni di frustrazioni matrimoniali e paga un serpente per mangiare la foglia di fico con la quale Adamo ed Eva si sono coperti da un guardone satellitare.
Trema il demiurgo di patatine fritte che mangia in insalata di stronzi che piovono insieme alla manna sugli ebrei in fuga dalla capitale incendiata da un fulmine di sale disceso su Sodoma e gonorrea che emette effluvi di lasciva quando si solletica la sottana. Ma il guardone non demorde e lava l’onta subita con un effluvio universale, una lacrima dall’occhio di Polifemo
Uno splendido sole marcio schizza sperma rosso sangue
Dentro un miraggio californiano esploro la strada che mi porta alle isole del santo bevitore. M’immergo in una ruota cristiana mentre il vento sfracella un materasso sifilitico.
Reggo una chiesa intorno a me, mentre croci danzano la polka e partoriscono mostri policronici.
E la torre di Babele beve Coca Cola Light in un variopinto muro di Berlino dove ebrei e coleotteri danzano succhiandosi il pollice, lì dove una sirena della polizia seduce pescatori ignari dell’amore di una bambina che ride.
E danza.
Suonando una chitarra elettrica in un volo Ryanair.
Preghiamo insieme e diciamo “Vai e buttati in una mensola d’oro e caga otri di vino rosso affinché noi possiamo bere la sorgente della verginità.
Noi ti preghiamo.
Amico nostro e fratello di mille vergini che come fiori neri aspettano su fichi d’India e spine di rosa tremula.
Dacci oggi la nostra carne celtica e pisciaci addosso dicendoci che piove, e amen”.
Ebrei e negri si fondono insieme mentre la lingua si scioglie nelle bocche appassionate di figli della dea Alluce.
Sapienza divina che presta il sesso al dio per benedire ogni fedele del santo bevitore.
In una gioia rido. In una risata cago. In una cagata muoio. Felice come in un orgasmo eterovaginale.
“Ti ringraziamo per questo bicchiere di ambrosia che sa di liquido riproduttivo. Sorgente di vita e di coca cola. Fonte di happy hour e spregevole seno a coppa di champagne che sprizzi nettare degli dei”.
Mi sparo in bocca davanti al mio sintetizzatore cantando Alleluia Ryanair hare hare hare…
Pus di sogliola verginale in calore liquido.
Sigola partoriente di uno sperma inflitto da secoli di barba ispida che si scontra con occhi azzurri che scendono dal cielo. Forma di stelle. E di marzapane. Godi puttana essenza di un’esca torbida e vogliosa. Tradisci la tua anima e mieti vittime di polvere da speranza. Un’anima in pena. Un’anima di panna.
Voglio l’erba voglio. Una farina bianca che si aspira come un palloncino.
Vedo e non vedo. Una foglia rossa di sangue. E di sperma liquido. Evapora in mille pezzi. Davanti al fiume rosa. Di petali cadenti dalle stelle di letame appariscente. A-E-I-O-U.
E ficcano le dita su per il naso.
E I O U.
E Fondono il retto decadente in sordide minchiate. Di roba sparsa in mezzo ad un garage. Martelli pneumatici.
Pneumi e aneurismi sono sdraiati su un pezzo di sciopero. Mano tagliata che disturbi il sonno dei cadaveri. Buoni per la zuppa. Elettroshock che si scioglie come amianto liquido. Un’alchimia inseguo. Una foglia verde rame che si trasformi nel mio oro elegantemente acceso a tavola.
Aristocraticamente. Balla il rock. E impazzisce di tagliatelle in grasso d’oca e sperma di cavallo.
Un cammello insegue una tartaruga e si accoppia con lei.
Una suora esigua si masturba con un righetto e una penna a sfera a forma di croce uncinata.
Una zingara piange sulla pioggia di una finanziaria che decapita persone e miete sanguesu ebrei e zingari.
Zingari ripieni di libertà verde pisello.
Sì, certo, mi ricordo Amir, ricordo che sparavi cannonate ai nemici, da piccolo, ma ora sei grande e ora devi sparare i missili. Ora sei un uomo. Un vero soldato agli ordini del grande Godzilla. Godzilla di guarda.
Godzilla ti vuole. Prendere con sé. E tu obbedisci e lanci i missili di mais e matate. E ridi a crepapelle, mentre coinvolgi seguiti di sciami di zanzare che si muovono come ballerine drogate di sperma liquido e vaginale.
Non pensare. Non uccidere. Abbraccia una monaca fuggente. E fuggitiva.
Schioda la fantasia dalla realtà e trucida le sette capinere.
Assali il sesso di un Dio demiurgo.
E quello di un Dio bestiale che sente di appartenere ad una setta di credenti impazziti.
La tastiera si muove e sa di bomba ad orologeria. Lo sento con la lingua. Lo amo con la milza. Amami amore mio e il mio cuore di mamma si tufferà nel profondo della primavera. In mezzo a stagni liquidi. E danzerà mietendo vittime di realtà multidimensionali che non guardano il satellite dal buco di una serratura ma bensì da una cioccolata a forma di sfera arrugginita. Fu così che finì il mondo, mio caro. Dietro al sole.
I pianeti si mettono il rossetto. E adocchiano il sole dietro una cortina di stalle che sta mangiando il crack per flippare di energia cosmica e soddisfare la propria lussuria plateale. Il tutto davanti ad un pubblico gaudente che applaude e ride. Tira pomodori al sole e si scioglie in un’orgia di tuberi e patate pericolose che esplodono ad una certa ora schizzando il sangue tra piatti di pasta e uccelli del pleistocene.
Un periodo d’oro per il ragù. Fiori esplodono d’amore e tirano le funi tra miseri soldi e attrezzi da lavoro di contadini liquidi. Dosando accuratamente la fonduta al formaggio mio accorgo della difficile missione del decano della spiritualità che accondiscende alla contraddittoria allusione di Platone sulla meritocrazia delle pillole di Aragosta. Liquida. E rock. E tardo. E plop. Un plot che non ruggisce. Una stronza strada di stradivari.
Esco e non esco.
Un piatto di lupini. Liquidi.
Una grande volta storta si riempie di pus.
Al rimpianto di una storia d’amore mi reggo e mi aggrappo ad una liceale in minigonna.