Mi sono iscritto all’Università della fede. È un progetto divino. Si tratta di immaginare un mondo diverso. Quello di domani mattina. Il mondo migliore. Prego ardentemente. Nel senso che prego sulle braci accese. E ardo. Prendo fuoco sul serio. Mistero della fede. Domani ci sveglieremo cotti a puntino. Avremo bruciato il vecchio e acceso un cero al nuovo. Io mi sono attrezzato con arco e frecce incendiarie. E di preservativi bucati.
Il grande capitolino ci farà il discorso di fine anno. Oramai lo fanno tutti il discorso di fine anno. Per la gioia di milioni di telespettatori. Io propongo che tutti facciano il discorso di fine anno. Un discorso delirante per tutti. E mettiamo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra.
Cari fratelli, elettori, cittadini. Cari pantaloni dalle tasche vuote. Siamo molto soddisfatti del vostro comportamento, pacifico e pagatore. Siamo contenti che la vostra principale preoccupazione sia pagare le tasse alle giuste scadenze. Da buoni cristiani dovete pensare al benessere dell’altro e porgere l’altra guancia e non il forcone. Noi vi ringraziamo dal profondo del nostro pancione. E mangeremo e berremo champagne alla vostra salute. Perché finché sarete in salute potrete lavorare e pagarci le ferie. Rendiamo anche grazie a Dio per la fortuna che ci ha dato di avere qualcuno che paga i nostri debiti al posto nostro e ci dà la nostra escort quotidiana. Affinché il futuro sia sempre così noi ti preghiamo e ti rendiamo grazie. Amen.
Archivio mensile:dicembre 2013
Polpette trans
Un emiro vermifugo mi solletica i funghi dei piedi prima che diventino buoni da mangiare trifolati. Metto un punto sotto l’ascella per limitare le antenne del grattacielo di bava alla bocca mentre una chitarra elettrica tira le corde dei miei timpani tra una transenna di gomma da masticare e una botte di vin santo.
Erica si mangia la foglia di petalo d’autunno. Un autunno omosessuale. In cui le spire del serpente dell’albero della vita muggiscono allegramente tra le risate di bambine che fanno il bagno al fiume.
Ora è capodanno, ora si festeggia. Si festeggia un anno migliore del passato. Più è grande la disperazione più aumenta la voglia di festeggiare. Farina, feste e frusta. Una polpetta di carne transessuale si agita alla festa dell’equinozio del solstizio della paura della fame. E promette sfracelli. Mentre la carne si agita e festeggia viene fritta all’aria aperta e mangiata dalle fauci del Dio del bene che si ciba di sangue liquido al posto della coca cola.
Il dio di un veliero uniforme ci parla e ci dice. Ci parla e si sfoga che non lo hanno mai lasciato governare. Un dio sincero. Che vuole il nostro bene. Che non vuole tasse né spese. Che vuole festeggiare con noi e con i nostri figli. E la chitarra elettrica si scioglie nelle mie orecchie lasciando una elettricità statica nell’equinozio del solstizio. E brucia la carne trans. E inaugura l’anno, l’ultimo, della paura.
Incendio di gelatina rosa
Un gorilla si scinde in sedici portelloni da caravan e sorride grattandosi le ascelle depilate. Mi accendo una lampadina tra le porte di una storia d’amore che solleva pesi con i denti e mi fischiano le orecchie al pensiero di una marcia forzata tra le gambe della protagonista. Lucilla piange tra le lacrime di bisonte e si masturba in cima alle corna di un salame semovente. Si toglie il vestito nuziale e si denuda davanti alla televisione per proiettarsi in tutta la casa.
Si muove urlando e si graffia godendo e un incendio si sparge lentamente tra le spire floreali di un appartamento in calore urbano. I medici senza frontiere accorrono in gruppo per dirigere i lavori in corso e farsi una pera fumando una sigaretta elettronica alla vaniglia. Io guardo divertito lo spettacolo e m’inebrio pensando alla tavoletta a colori che ho lasciato nelle cronache di Narnia che ora galleggeranno amichevolmente tra le terre dei mondi emersi e di quelli non emersi.
Spengo la tele e mi scolo una pinta di varichina per rinfrescarmi l’alito e ricomincio una maratona di sberle che vince lo spazzacamino cheyenne figlio di un cretino seduto.
Tiro un sospiro di sollievo nero e sotterro la neve fresca in un pozzo di risate alcoliche.
Un dio guardone
Una gamba di pezza solletica il mio spirito in fondo a un lago d’argento dove celebro il mio matrimonio tra i fedeli di una chiesa offuscata dal travaso di bile.
Un’operazione costosa per succhiare il liquido giallo dai pori dei muri ha portato all’ustione degli organi interni di un sacerdote dell’urina di Satana. Si è masturbato davanti ad un pubblico di carciofi adoranti mentre cantavano e si toccavano le natiche. Il lato N.
Mitisoara dice che non gli vanno bene i tortellini in salsa di chiesa mentre si tira su i pantaloni dopo aver cagato sulla turca di un effluvio di sodomia affumicata. Con un rutto si libera di anni di frustrazioni matrimoniali e paga un serpente per mangiare la foglia di fico con la quale Adamo ed Eva si sono coperti da un guardone satellitare.
Trema il demiurgo di patatine fritte che mangia in insalata di stronzi che piovono insieme alla manna sugli ebrei in fuga dalla capitale incendiata da un fulmine di sale disceso su Sodoma e gonorrea che emette effluvi di lasciva quando si solletica la sottana. Ma il guardone non demorde e lava l’onta subita con un effluvio universale, una lacrima dall’occhio di Polifemo
Un dollaro di vita
Un ingegno si scava la tomba con le proprie mani e prega sistematiche azioni di guerra in mezzo alle foreste di piombo in una salsa americana che lega le mani e inghiotte canyon di camion di spazzatura. Ingaggio una squadra di scarafaggi per giocare alla merla cinese.
Cerco una scarpa in mezzo alla metro. Mi scordo del collo a cui è attaccata una cintura di castità.
Dò un taglio al sistema nervoso per non sentire più i tunnel della memoria di uno studente intellettualoide che parla del destino. Una foresta di sentimenti lenti, un mortorio di accendisigari spenti e siringhe con residui di eroine come Giovanna d’Arco.
Una villa si riempie di fango. Mentre i vigili del fuoco riempiono le loro anime di Nutella.
Suviana si riempie il girocollo di pasticcini per mangiarli durante il calo di zuccheri quotidiano e un coro gregoriano si espande a ritmo di allori. Baciamoci sotto la barba di Babbo Natale che porta fortuna ad un bombolone alla crema che ritorna dal lavoro in aeroporto. I nababbi brindano al sole della festa del dollaro e una cucina fatta per affettare mani e piedi
Il compagno di scuola
Bomba o non bomba mi travesto da vello dorato dopo aver sconfitto gli arcangeli che scendono e salgono nelle scale di marmellata alle prugne. In un sottofondo di urla da baccanti, Valentina si sfiora leggera e solletica la propria voglia di cantare le lodi del Signore con un orgasmo in suo onore.
Respira in una damigiana di petali di rosa nera per trasformare il mare in libellula sofferta. Quell’attimo di dolore e sapore di spremuta la porta a dipingere la faccia di una maschera veneziana in cima al monte degli dei bevendo un caffè.
Dipinge il giorno dopo un compagno di merende che mangia con la bocca dentro alla pasta ed emerge solo quando il sugo gli ha dipinto tutta la faccia fino ai capelli e non si accorge che quello è il suo sangue e che da lì a poco morirà. Ricorda quella scena e pensa che la venderà a caro prezzo.
Poi studia per il proprio esame di diritto che è domani. Si legge le domande che le ha passato stanotte il professore. Ieri le aveva allungato una mano in ufficio mentre lei pensava che non c’è ragione di fare le cose difficili quando si possono fare facili.
Festa di Nonno Strutto
La festa comincia, la festa finisce. Torniamo alla frusta e torniamo contenti. Hai passato buone feste? No hanno fatto schifo. Perché? Cazzi miei, se permetti. Ecco la risposta al bravo soldatino. Che serve il sistema e si masturba pensando ai trans di Marazzo. Dacci oggi il nostro pane ttone quotidiano. Dacci oggi il lavoro sottopagato. Dacci oggi un lavoro. E rimetti al mondo i suoi debiti fasulli affinché i forconi non si piantino in una sodoma e gomorra della civiltà greca.
Rendiamo grazie a Dio. Rendiamo grazie. Grazie. Prego. Non c’è di che.
Tu scendi dalle stelle o dio beato. E beato te che scendi dalle stelle. E che poi ci ritorni. Tre giorni e via. Una lumaca scende dalle stelle e ti benedice col sudore della sua fronte cornuta. Affinché gli lecchi il sedere per il resto dell’anno .E allora festeggiamo e bruciamo l’anno passato e benediciamo l’anno che viene che sarà migliore, sempre meglio di ieri e peggio di domani. E mangiamo. E viviamo come fosse l’ultimo giorno. Vedo uno squarcio di nubi distese all’orizzonte in un volo stellato in cui i canguri non possono starnutire. Vedo un Nonno Natale che guarda nel sacco dei giochi. E resta dentro al sacco e ci si infila, chiude il sacco e sparisce nella montagna che va nello spazio oltre le stelle. Vibro cambiando di dimensione e bevo dal Sacro Graal l’elisir della felicità e della salute che possa scendere su di voi e con voi restare per sempre. Il karma ti perseguita. Il karma è il tuo destino. Il karma ti stringe la mano prima della nascita e ti accompagna insieme a un bicchiere di vino dal sapore organolettico. E piscia contro una parete di vermi che giocano con gli scarafaggi ballando alla musica dei Beatles.
Scendi dalle stelle e impara a dipingere di bianco le pareti di casa.
È Natale sant’Iddio
Pochi minuti al via e esploderemo in un risotto ai funghi atomici che contamineranno le acque giapponesi di radiazioni al ragù. Ci scioglieremo in canditi e uvette e cioccolato e zucchero a velo e diventeremo burro nelle mani dell’agnello sacrificale.
Un grande fusto di benzina urlerà le proprie fiamme al cielo e qualcuno lassù conterà i cadaveri lasciati sul campo da un bulldozer affamato di cinghie affumicate da mettere sotto l’albero. Come Annibale si masturbò con un ramo di pino così noi ci facciamo un’orgia da qualche miliardo di gocce di sangue e libertà.
Sento i prodromi dell’Apocalisse che scenderà con la neve e riderà raccontandoci barzellette all’uranio impoverito per solleticare i nostri enzimi a produrre liquido seminale che giova alla nostra salute di insetti inermi davanti alla natura pietosa e mietitrice. Una grossa grassa risata si spande nella chiesa la notte del Santo Natale con una SS Trinità che emerge da una capra vergine e mai toccata da un pastore sardo o palestinese.
E cantiamo Tu scendi dalle stelle o Dio beeeeeato.
Urka che rutto.
Buon Natale ovo sodo
Un Osanna nell’alto dei cieli si sveste davanti al tempio delle vergini vestali e brucia in un fuoco sacro nella volta celeste. In questo santo giorno di Natale si festeggia l’agnello e si mangia il maiale. Davanti a una torta, umani urlanti si satollano lo stomaco di salsedine tipica di chi giudica e scoreggia senza divertimento davanti alla televisione che gli dice di cosa essere felice.
Buon Natale Giuseppina, Buon Natale Giuseppemariocinzia e rosalia e cavoli amari in una festa della povertà che dà gioia e tripudio a pagamento. Buon Natale e sii felice. Buon Natale e goditi farina, festa e frusta in attesa di pagare il tuo tributo a Dio. Buon Natale e auguri di buone feste alla grande commedia dell’arte. Se non paghi non festeggi.
Buon pranzo, buona cena, ingrassa come il maiale. Anche di te faremo un cotechino, ma molto lentamente e ti mangeremo lentamente, assaporandoti. Per noi è Natale tutto l’anno. Festeggia e paga le tue gocce di sangue con le quali faremo viti e bulloni per le nostre auto e mattoni per le nostre case. E soprattutto, grazie.
Tredici morti camminan sul tetto
La gravità scinde il mattone e decide di riportare in vita una granata della prima guerra mondiale a occhi chiusi. Ciecamente si spoglia delle sue vittime e si unisce in matrimonio con il mattone piantato su un cimitero. Un mattone conficcato nella testa tra le labbra per non amare fino al cervello per non sentire. Il fallo matrimoniale concepisce urla di passione mentre la folla acclama in festa la verginità perduta ai giochi della felicità. Evochiamo solennemente le giunche che scorrono sull’acqua della voluttà per perderci grassamente tra fili d’erba della foresta amazzonica e mangiare festosi pranzi natalizi tra la pubblicità del samsung tre e dell’i-phone cinque.
Perdiamoci e regrediamo allo stato di giunchi paludosi tra serpenti che sobillano le folle per portare il veleno alle loro bocche e cantare di gioia per il dolore confuso con l’orgasmo.
Armiamoci popolo per una classe dirigente sadomaso che mangia dalla bocca e mangia dal culo. Scoppiano di sangue succhiato dai morti che camminano e urlano la loro rabbia per non poter succhiare di più. Giochi della fame alle olimpiadi del Golgota si sfiorano la mano per assicurarsi la vittoria. La vittoria non lecca il culo.
Amore mio
Scontrandomi contro un delfino lotto contro la povertà di un derelitto senza dimora appariscente. Ma con un Samsung note 3 e mi vanto del mio gsm di dodici anni fa. Mi metto un mantello di dolore e sapore di ragù che pende dalle auliche presenze olografiche dell’illusione del Paradiso di sette anni fa. Un toro cornuto si lamenta del regime di separazione dei beni che non gli conviene più. Pungolo un dirigibile in Marocco che prega il dio musulmano in ruote circolari dei maestri tibetani della vita e della morte. Un fungo arabo si è insediato nel mio naso di nascente luna piena e cerco di spurgarlo con le unghie e coi denti per assimilare un posto nel letto matrimoniale senza accendere di nuovo la televisione al plasma e fare un’altra donazione di sangue.
Sedicenti preti che lavorano come dentisti ma sono odontoiatri curano carie dell’anima tramite il sangue secco degli animali mangiati sull’altare dell’agnello che copre i peccati del mondo. Giochiamo così a carte per un ramino sbevazzato di poker di cuori e amiamo l’amore tra nuvole di peccati e colpe che non abbiamo. Ti amo Magnolia e sento per te un effluvio anale che m’inebria il cervello e voglio darti la bandiera della mia virilità affinché tu riproduca il frutto della banana in senso orizzontale.
Ti dedico una macedonia di peli di frutta fresca e coriandoli di universo per ripercorrere la strada della vittoria. Una vittoria che sa di sformato di polipo e lascia l’amaro in bocca che va giù con un bicchiere di Dom Perignon del ’54.
Una canzone per Dolly
Cara Tilla ti mando un elogio funebre dal tavolo operatorio di un salice argentato in questa porta dell’inferno che sibilla attentamente alle mie orecchiette al ragù. Un batuffolo di cotone ci unisce in questa sedia che troneggia in un mazzo di rose rosse e vola in una nuvola di pidocchi blu seduti su un mazzo di carte argentine che ballano il tango con barbablù e la Canalis. Preghiamo insieme tra un piatto di sigarette affumicate e il paiolo di due seppie triturate di fresco che si sono fatte operare all’anca da un chirurgo con la scogliosi deformante che ora canta con una giacca rossa e il cranio pelato.
Sai che una cosa bella è guardare i film senza il sonoro mentre tuo marito ti spacca la testa a martellate? Ecco la bestia che si è risvegliata dai meandri dell’Apocalisse e evapora al ricordo del miglio d’oro tra una riunione di dirigenti color dell’acciaio fuso e una colata di burro di cacao che ammanta di cacao fuso le nostre membra semoventi.
Lecco l’odore della vagina di una pentola a pressione distesa sul tavolo dell’ufficio davanti alla finestra che dà sui santi uffizi di Firenze e si droga con le vene di una coca cola e ne parla in un gruppo di alcolisti anonimi.
Mi friggo una pizza e ti mando un saluto col becco e colbacco.
Il riso strabico di una capirossa
Una nota positiva viene suonata in una aereo turistico per descrivere la pervasività di una campana che suona a morto mentre muore lei stessa sciogliendosi in un abbraccio funereo. Sbagliando funerale. Ma azzeccando il bersaglio di un canovaccio teatrale che culmina nell’Aida e in un’ode alla vacca sbilenca che sbava dietro a un toro azzoppato, ma ancora bello che ha affrontato la corrida e viene portato al macello con onore perché ha incornato il torero.
Muoviamoci attorno allo scranno di un perdente malleolo di un muco di cinta dipinta di nero d’Avola e scorre il sangue di dodici apostole capinere mentre scivolano attorno al bruco di una farfalla incinta di otto giorni e che sta per partorire deponendo fichi di fuoco acceso che gira attorno a un dito di un batuffolo di cotone arrugato in uno gnomo accidentale. Ma perché – mi chiedo in mezzo ad un cerino bruciato tra le unghie di una mano – perché dio ci ha voluto costruire una capanna di marzapane in mezzo al deserto di Chernobyl? Non ha lo stesso senso che oliare il pistone di una Ferrari che si è messa di traverso a una pista di formula uno
Morirò con questo dilemma? Spero di sì.
Ho sognato il naso di Cleopatra
Onestamente era spaventoso. Ma me la sono trombata lo stesso. Sogni che non ti lasciano andare, in una notte di morte senza stelle. Sogni che t’inseguono nel riposo più profondo ed evitano di farti vivere nella menzogna. Sogni che ti ricordano che sei un essere umano e non un robot. Sogni che ti fanno star male perché stai male. Sogni che sono i tuoi migliori amici perché non fanno finta di sorriderti mentre le pecore vengono scuoiate senza pietà e smettono di sognare e tu sei una pecora ma perdi i pezzi poco a poco.
Sogni che ti ricordano che forse, forse, anche tu sei una proiezione olografica di qualcuno o qualcosa o qualche punto interrogativo perso nelle varie dimensioni spaziali che giocano a nascondino con le proprie creature che ora festeggiano il Natale e festeggiano il sogno e creano l’illusione della felicità che arriva in slitta a portare felicità a buon mercato. Mica tanto a buon mercato, anzi. Pagata salata. E l’illusione che domani sarà meglio di oggi e quando lo sarà allora sarà troppo tardi.
Ho sognato il seno di Cleopatra e quello era spettacolare. Per quello non ho fatto caso al naso. Non è che il naso lo succhi o lo accarezzi. Quindi non te ne importa niente.
E l’ho baciata, la lingua di Cleopatra ed è dolce come il miele che è dolce come un sogno che poteva essere così dolce come lo sono le cose che non esistono ma per quello mi danno le emozioni più belle e in fondo è un’emozione che ci fa stringere le lacrime che soccorrono un carro di mele rovesciate in cima a un camino lento.
Ho sognato il Natale.
E mi sono svegliato urlando
Coca cola?
M’immergo in una genesi genetica dell’universo multiolografico e mi sento una proiezione del pensiero di altre civiltà che vanno in Spagna a curare i bambini malati di cancro danzando una danza strana e piena di luce. Il Poltergeist mi guarda e mi sfida a una partita a poker col morto ma non me la sento e gli regalo una coca cola scaduta da due anni. Lui la beve e mi fa “non è light?”. Eccomi fratello che arrivo a farti un favore illuminandoti la strada piena di buche fatte di prosciutto in carrozza. Dolcemente mi guardo intorno e scopro le interiora di una bufala che mi guarda attonita e si masturba alla mia visione divina. Potremmo fare una giocata insieme? Mi propone l’alieno che scopre la terra e giudica lento il processo civile italiano in modo che ci becchiamo una condanna anche dalla corte intergalattica. Procediamo a frattali, fratello frate e sorella luna. Nel cantico dei cantici cantiamo un amore candido ma non al divino. Alla sposa dell’umanità : la coca cola.
Perché noi l’amiamo a fondo e profondamente stappiamo e beviamo quell’estratto di coca che speriamo che nel nostro stomaco diventi cocaina che è più buona. La massa trucida di fedeli maomettani sfila educatamente per l’autostrada del sole e chiede ai padroni di essere più buoni, più buoni della coca cola e di un amaretto di saronno. Chiediamo scusa per essere fedeli alla parola di dio e della lucidatrice dei pavimenti e quindi ci beiamo (?) anzi beliamo come pecore davanti al buon pastore, chiunque egli sia e trinkiamo una nave pirata che spara ai saraceni in fuga dalla capitale dei buoni romani
Fior di pisello
Cado e mi auguro Buon Natale dal profondo della fogna dell’umanità, dove la melma di confonde all’orgasmo di piccoli esseri che scopano i pianeti della via lattea giocando a domino e intessendo i destini di Dio con la magia del nonno Merlino. Le sottocomiche del fior di loto mi azzannano le membra disossate da piccoli vermi multicolori che mangiano sassolini di chewingum buttati per strada da cantautori impegnati politicamente.
I corvi di re Baldovino si giocano a carte le menti sublimi di un cesso ovale che sogna di diventare un cesto da pallacanestro, un giorno non lontano. Nel frattempo inghiotte palloncini da basket senza rompersi i denti. Il nutrimento di una giovenca balla nello stomaco di un giocatore di football americano che canta una lirica il giorno del grande Bowl e fa meta in trentasette minuti dopo aver fatto il giro dello stadio inseguito dai telespettatori.
I fratelli gemelli dei siamesi di Kim Duo Fan Cal si giocano i testicoli a rosicchiarsi i piedi per una bambolina vestita da cantante rock. Tra chitarre e suoni cacofonici mi prendo una bistecca al sangue e urino sopra i milioni di gatti e di cincillà che mi stanno ascoltando e bevendo. Dopodiché tirano lo sciacquone e ci dormono su
Gli anfratti scabrosi di un olimpico Ferrero
Nero e rosso un grigio di giallo si aggira tra i vestiti delle mutande scabrose e tenta un salto nell’occhiello di un barbuto paffuto signore con la ghetta al posto degli occhiali e la tuba al posto della zanzariera. Mi precipito felicemente tra i gangli della lotta libera per sedermi tra le fauci di un caimano mentre i delfini mi salvano ridendo dalle mandibole arrosto che mi avrebbero fatto salivare. Ci baciamo e il caimano se ne va contento per la sua rotta verso gli abissi infernali e io ritorno ai paradisi celestiali di un ritorno alla fine del mondo mentre impazzisco. Durante la lotta eterna tra il bene e il male un uovo cade dal cielo e scompone il perfetto piano di Dio per redistribuire la ricchezza sempre verso l’alto tramite la creazione di debito artificiale
La ricchezza di felicità si precipita a rincuorare i poveri di spirito in questa valle di lacrime di coccodrillo mentre l’amore respinge i buoi e attacca sul costato i rododendri che si affilano i denti sul davanzale di un terzo piano che dà su un cortile dove giocano i bambini e vola.
Vola il Tiziano mentre dipinge su tela d’inchiostro simpatico e ride. A crepapelle si dipinge la faccia di pelle di pollo e squame d’oca. Mentre Dio lo guarda e mangia paté di fegato di merluzzo.