Il corvo


Una vita di spesa costante in crescita efficiente si mescola con il fumo di una marmotta fatiscente che dorme su un ghiro di cartapesta. Il libro aperto di una Messa scontata mi accarezza i timpani di una melodia feroce e pungola la mente con stuzzicadenti nel calcagno ateo. Una masturbazione costante s’interseca con la pipa che non è una pipa ma una pippa che mostra il lato x come fosse una torta decadente mi parla e mi dice “Ungiti il capo di pizza condita con mosche e topi d’appartamento che il tempo dura poco, ma è eterno” questo mi dice dall’aldilà. E sento urla di diavoli e politici e rissa di stormi corvini che mangiano patate fritte alla festa dell’Unità.
Boia ci molla, in un bacio affettato di prosciutto e mortadella. Conchiglie di pane consumano la mollica dei miei denti allertando il dinosauro che prende i piedi in contropiede l’avversità dell’esistenza. Mi ricordo un tempo che fu in cui le mutande scendevano dal cielo, ma oggi chi osa suonare la chitarra?

Croc’n’go


Un coniglio pesca dalla subasside della cripta peschereccia e pesca un tonno liquido. Si erge esterrefatto dall’alto delle sue zampe alte circa un metronotte e fissa una sostanza gelatinosa che continua ad urlargli “SONO UN TONNO” “VA BENE SEI UN TONNO, MA ALLORA USERO’ UN APRISCATOLE LIQUIDO”. Non è facile, infatti, giocare con le flatulenze veneree.
Lo getta quindi in mezzo alle mosche affumicate da trasformare in chips alla paprika e cipolla per bambini allergici alla patata. Era un business che aveva aperto tre anni prima quando si era sognato di essere un disco volante e si era messo di traverso a un ponte sospeso che era entrato in risonanza ed esplose.
Miliardi di dollari in frantumi, si disse mentre assaporava gli umori di una vagina in calore e il grasso di una fetta di mortadella. Poi si svegliò dal sogno con in bocca il sapore di mortadella e l’uccello che stava per esplodere come il ponte. Fu lì che si disse “Il mondo si divide in due, i conigli e i pazzi e visto che coniglio non sono…”.
Cosi fu, e iniziò a delirare che anche i matti lo presero per pazzo, ma è così che si ha successo e così fu perché fu votato dal 51% degli aventi diritto e diventò eurodeputato. Da lì tutti cercarono di diventare conigli e delirare sempre di più.
Finché non s’innamorò di Vaccaboia. Vaccaboia non era una santa come le altre, no.
Lei ne aveva due. Di vagine.
Una al solito posto, l’altra sotto l’ascella.
Non riusciva più a lavorare dato che non faceva che pensare a lei e scopare e quando cominciò a fare sesso durante i comizi elettorali lo cacciarono a pedate e si diede alla pesca di salmoni. Da lì alle chips per bambini il salto è stato breve, dato che quasi non c’è differenza.
Gli è bastato saltare dal muretto della scuola di suo figlio e atterrare in un formicaio per associare le mosche alle chips e via.
All’inizio aveva pensato di ricavarne una crema spalmabile da far concorrenza alla Nutella, ma poi pensò che, dato che le mosche affumicate erano leggermente croccanti meglio le “Pisichips”.
Sì perché lui si chiama Piside.

Ho riscaldato il mio cervello al microonde


Scoppio nell’ambito di un fantasma. Mi lascio andare alla follia che alberga sempre più padrona della mia mente e lo spazio mi sembra un grande vallata di fumo e alcol. Un grande buco dove il niente diventa e basta. M’abbandono alla lanterna dell’amore che scivola dolcemente su uno zucchero a velo di alito positivo. Un ambiente diverso. Fatto di gruppi elettrogeni e allucinogeni. Dove il sonno non alberga più. La notte è un immenso soffitto bianco mentre faccio l’amore con una chitarra elettrica e fondo i miei testicoli nell’assolo di una canzone che spacca i timpani ridondando come una campana a morto. La televisione continua a trasmettere mentre chiudo gli occhi e il telecomando cade dalla mia mano sinistra. Gli occhi finalmente si chiudono sul sipario dello sbarco di Normandia. Che ha trasformato un’Europa nel cinquantaduesimo stato degli Stati Uniti. Vedo un dentista che opera una bambina. Vedo il sangue schizzargli negli occhi. Vedo Che il sangue è il suo. Vedo che il dentista muore e la bambina scende e se ne va.

E il silenzio scende sulla mia notte insonne.

Gruppi di mosche s’insinuano intorno alla mia cena scaldata al microonde.

Onde radio si mescolano alle pustole d’alloro che circondano il pazzo che si aggira nella mia stanza mentre dormo e mi guarda e mi osserva e mi seziona come se mi conoscesse, come se fosse una parte di me.

Mi bacia e mi risveglio. M’illumino e vedo. Sciami di luci in una’arcobaleno di suoni color della cenere. Insieme ripuliamo i morti del cimitero. Finché la morte non viene a seppellire il bambino e la trinità divina.

Buon Natale toilette mia cara. Che ogni mattino accogli il putrido fiele che alberga il corpo di un pazzo.

Buon Natale a te, orifizio da cui scende un’ira molle color cenere.

Buon Natale a tutti voi, pazzi. Che sciogliete una mela nella bocca del demonio e fate sesso con un’aranciata di birra semovente.

Mi agito e scopro che il mio sonno altro non è che un insieme d’incubi e sogni agitati dalle note sgangherate di una sedia elettrica. Mi chiudo e mi rinchiudo nel caldo abbraccio delle mie lacrime che pensano a una seconda vita cullate dall’atmosfera di Marte e Venere.

Esco da una passerella fatta di angeli e plano su nuvole di smog al contrario e passo da una nuvola all’altra con le liane come tarzan e urlo un urlo agghiacciante che spezza il mio cuore e mi fa passare dal sonno alla morte.

E mentre osservo il mio funerale penso e ricordo a un tempo in chi non dormivo e sognavo di morire. E sciami di amare mosche lacrimavano in mia compagnia e di una toilette natalizia, forse un regalo di un parente pazzo.

Ora sento che la mia pazzia ride e piange e ama e lotta e siede alla destra del padre e della madre. Prego che la nonna si masturbi sul ventre di una balena rotta.

Solo così troveremo la pace nei sensi di una chitarra rock.

Sciarada di spine


Un fruscio di mosche agita il mio cuore.

Mentre decido se mettermi un dito su per il naso o su per il culo mi trastullo il pene con la fantasia di una sciarada di leggiadre femmine d’arabia. Sono immerso in una piscina quando vedo una tempesta di sabbia e mille sparvieri all’orizzonte.

Sparvieri che piangono si prostrano davanti alla statua di un filosofo greco di nome akariokostoulos cibromante. E pregano il fato di liberarli dal coma serpeggiante nelle loro scimitarre che non bevono più il nettare del fuoco lento. Decido allora di dirottarmi su Arkaba e nuoto dove gli avvoltoi contano i morti di un bombardamento rivoluzionario con armi così intelligenti che hannno fatto esplodere menti fertili durante una partita a scacchi.

In questo parossismo di centimetri non mi gira la testa e non chiamo aiuto e non corro urlando nel deserto.

Là dove nasce la pioggia mi distendo e aspetto di bruciare al sole cocente ripetendo passi della bibbia infame davanti ai miei occhi.

Mi guardo allo specchio e mi spavento.