Il kharma della pantegana di bronzo


Un ufo robot d’acciao prende una cartolina e la scrive a una pinta di birra che soffia vorace una pantegana sifilitica. E gratta la pancia a un orso di coca cola che perde la voce tra rantolii di sangue alla menta piperita. Avendo mangiato peperoncino a colazione emette polvere da sparo a forma di yeti.
Peli di donna mostruosa intersecano la violenza di un palloncino colorato di rosso cocomero nel cielo azzurro che romba i pistoni di un ginocchio artritico.
Masturba il cetriolo di metallo spugnoso i vermi giganti in un lago di cori gregoriani tra centurioni di sperma che affluisce a gocce nella cascata del mago Merlino. Rigurgiti di dinosauro si spargono in mezzo a laghi di sangue di placenta e il grande ballo delle capinere dirige il valzer delle candele tra ioni di sodio e cloruro di patata fritta e soffritto di godimento lento.
La santa messa di un anatroccolo a forma di sformato decodifica il linguaggio dell’eremita in cima alla torta di zucca vuota e mi ricordo del Messia che mi diceva che in vita non aveva mai visto una tetta al vento. E gli dispiaceva. Povero Cristo. Faceva pene.

Pane e vino


Dolce miele che scendi. Dalla finestra di una zucca gigante fotografo le tue gocce memorabili. Una pioggia di sensualità che vede Filomena sognante e appoggiata col gomito alla finestra. Capelli castani, corti con i boccoli e occhi grandi e sognanti che occupano un terzo del viso lasciando uno spaziettino al naso e un posto decente alla bocca per un bel sorriso di denti bianchi come la sua verginità. Seduta a cucire pensava a chi invitare per il pranzo di domani tra cui Roberto Ascagni il cugino di una duchessa che aveva incontrato un mese prima e con cui era già uscita diverse volte. Mandandolo regolarmente in bianco e più lo mandava in bianco più lui insisteva. Non le ci voleva un gran sforzo per dargli picche tutte le volte. Simpatico, ma più basso di lei, e con una testa ovale occhi piccoli e un riporto a forma di Girella Motta. Vestiva sempre di nero con cravatta nera su camicia bianca e parlava troppo forbito per i suoi gusti, anche se lei finiva sempre per ridere più di lui che delle sue battute. L’avrebbe invitato, e poi chi vivrà vedrà. Scese in giardino a raccogliere la pentola con il miele che era caduto dal cielo. Sì perché da quelle parti il miele pioveva sul serio. Ed era un casino perché quando spuntava il sole che verso mezzogiorno diventava cocente, finiva per caramellizzare lo zucchero e quindi tutta la casa e i tetti e le bestie in giardino e pure le piante. Insomma una tragedia.

To be continued (forse).