Una serata in fienile


Una serata in un fienile si trasforma in un fuoco bollente di Messe esasperate che cantano odi al dio dello sperma umano. Qui viene il bue che non muore e batte le mani a ritmo di un’astronave di tacchini omosessuali. Afrodite si masturba e guarda appassita al seno di un angelo custode che effettua un cambio di sesso. Micromega si guarda allo specchio e ride di gioia al vedersi una pera crescere nel petto per una modifica di software che lo trasformerà in un’ameba color arcobaleno, ma finalmente capace di amare.
In dodici apostoli si leccano i baffi dopo un’orgia alla romana tra leccate di stomaco e predicano il verbo divino facendosi belli davanti a folle di capre cornute che aspettano la manna dal cielo e la confondono con l’urina delle sante martiri della guerra in Afghanistan. Padre pio s’immerge in una piscina di e-commerce e si mangia le mani e le stimmate e imbratta di sangue una baby squillo mentre recita l’ave maria. E i pesci si sollazzano tranquillamente in una spiaggia di patatine fritte e si passano gli spinelli insultandosi a vicenda.
Ballo la zumba. Ballo la salsa di camomilla. Ballo la tentazione di un filo di pesce che si masturba appeso in croce e perdona i morbilli perché non sanno quello che fanno. Ma dio non perdona e combatte fino alla fine del tempo. Tra valchirie scatenate si muove in una nota stonata di sinfonie che battono al ritmo del suo cuore, il ritmo del reggae.
No donna, non piangere, ho sparato allo sceriffo, ma non sapevo che fosse lui, era solo uno zoppo che mi seguiva ma facevamo la stessa strada, in discesa, verso orde di iracheni fatti duri di hashish e mele cotte. È per questo che ti auguro la buona notte in mezzo a rose e gerani biondi ossigenati.

Barba di rabarbaro


In una casa di zenzero un ragazzo si sbarba dalle acque sporche di rabarbaro e punta a una sega elettrica per mangiare una lucertola di colori sgargianti in minigonna. Tra ninnoli d’oro e psicoterapisti definisco il quadro del big bang.
Tra quadri di Dali’ e spolverini di Miro’ mi masturbo venendo a patti col diavolo.
Gargantua è un amico caro, alto e nevrotico, simpatico e schizoide. Ha ucciso tutta la famiglia durante una partita a carte. È un bravo ragazzo, ma non sa perdere. Bisogna capirlo, da piccolo non vinceva mai le gare di corsa con il suo cane. Anche perché è zoppo. Lui, non il cane. Sì è azzoppato durante una caduta dal fornello di sua nonna quando aveva un anno e mezzo e si è messo a ridere perché non sapeva ancora se quando ti fai male devi ridere o piangere.
La madre è la dodicesima figlia di sette sorelle incrociatesi con i rettiliani della seconda generazione. Insomma ha la pelle un po’ giallognola e i capelli verderame. Ma è una bella gnocca per alcuni. Un calcio allo stomaco per altri. Per esempio per il marito che si chiama Rado ed è sintonizzato su un’altra frequenza quella dell’elettrocardiogramma e si nutre di aria fritta con ketchup a parte e un po’ di maionese, ma non è anoressico, no, mangia un casino. Per lui masticare aria è una specie di obesità. Già al mattino comincia facendo bolle nel caffè latte. E finisce facendo la stessa cosa con la zuppa alla sera.
Insomma Gargantua, da quando li ha ammazzati, si sente quella sensazione come di assorbimento quantico e gioca con zerbini e amazzoni da palcoscenico e ride senza sforzo quando si trova sulla tazza e più ride e più esce e più esce e più ride. Ogni cagata rischia di restarci secco.
Ma questa è un’altra storia
Smack!