La mela della vita e della morte


Una mela rivolta al passato corre su una pedana elettronica senza vedere che davanti a se sta per investire un cieco marcio. A occhi chiusi avanza nell’asfalto immenso e ride per una battuta di una rana sorella che spiegava il sogno di una pantegana in calore . Guarda in alto, le urla lei e un camion della spazzatura lanciato a tutta velocità si schianta contro il braccio bionico di un uomo col bastone che attraversa la strada e non si fa neanche un graffio. E dice Signore perdonali perché non sanno guidare. E si masturba con una mano sulla croce e l’altra per fare pipì.
Un giro di vite si scioglie nel soffritto per portare l’infinito in una tazza di tè arabeggiante che gira una danza di proci e corteggia un soffitto di suore che si spogliano in maniera verginale nell’attesa di un dio che le incarni del corpo e sangue di cristo, ma non con uno spirito. Nel frattempo le dita toccano vagine verginali e secernono liquidi oleosi che formano parte dell’acqua santa e del vin santo.
Mi diverto a mangiare tarallucci e olio d’oliva che corre e vola in una tempesta ormonale di dodici metri cubi di aria compressa e spremute di cuori di ketchup.
Mi seppellisco sotto un cipresso affinché possa piangere la storia di un subacqueo che non sapeva leggere ma sapeva fare l’amore con le suore.

Polpette trans


Un emiro vermifugo mi solletica i funghi dei piedi prima che diventino buoni da mangiare trifolati. Metto un punto sotto l’ascella per limitare le antenne del grattacielo di bava alla bocca mentre una chitarra elettrica tira le corde dei miei timpani tra una transenna di gomma da masticare e una botte di vin santo.
Erica si mangia la foglia di petalo d’autunno. Un autunno omosessuale. In cui le spire del serpente dell’albero della vita muggiscono allegramente tra le risate di bambine che fanno il bagno al fiume.
Ora è capodanno, ora si festeggia. Si festeggia un anno migliore del passato. Più è grande la disperazione più aumenta la voglia di festeggiare. Farina, feste e frusta. Una polpetta di carne transessuale si agita alla festa dell’equinozio del solstizio della paura della fame. E promette sfracelli. Mentre la carne si agita e festeggia viene fritta all’aria aperta e mangiata dalle fauci del Dio del bene che si ciba di sangue liquido al posto della coca cola.
Il dio di un veliero uniforme ci parla e ci dice. Ci parla e si sfoga che non lo hanno mai lasciato governare. Un dio sincero. Che vuole il nostro bene. Che non vuole tasse né spese. Che vuole festeggiare con noi e con i nostri figli. E la chitarra elettrica si scioglie nelle mie orecchie lasciando una elettricità statica nell’equinozio del solstizio. E brucia la carne trans. E inaugura l’anno, l’ultimo, della paura.

Un ominide di garofani rossi


Un’azalea nel giardino di un ippocampo si vede da lontano e cresce fino a bucare le nuvole. Una vecchia signora digita il codice del teletrasporto in un pianeta lontano mentre i marziani le fanno da scorta per la diretta planetaria dal Orda di Cioccolato Soffritto. E osano i volanti dire al potere di ridere e scherzare ma precipitare da una spalla di ornitorinco.
Una coppia di patatine si erge dalle macerie di una guerra con il gasolio e rifugge le proprie responsabilità nella formazione del governo di cimici ubriache.
Prima che il gallo suoni due volte la pedana dell’università si sbriciolerà in mille pezzi d’oro liquido e berremo tutti la cocacola in un vestito da sera celebrando l’Oscar del figlio dei furori.
Il vin santo spirito prega la colazione di un paio di buoi sfittici e gongola nell’attesa di un paiolo e gode il sesso della masturbazione aerea che aspira e inghiotte libidini di giovani fanciulle attirate dal miele della svastica rotante.