Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.
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Tredici morti camminan sul tetto
La gravità scinde il mattone e decide di riportare in vita una granata della prima guerra mondiale a occhi chiusi. Ciecamente si spoglia delle sue vittime e si unisce in matrimonio con il mattone piantato su un cimitero. Un mattone conficcato nella testa tra le labbra per non amare fino al cervello per non sentire. Il fallo matrimoniale concepisce urla di passione mentre la folla acclama in festa la verginità perduta ai giochi della felicità. Evochiamo solennemente le giunche che scorrono sull’acqua della voluttà per perderci grassamente tra fili d’erba della foresta amazzonica e mangiare festosi pranzi natalizi tra la pubblicità del samsung tre e dell’i-phone cinque.
Perdiamoci e regrediamo allo stato di giunchi paludosi tra serpenti che sobillano le folle per portare il veleno alle loro bocche e cantare di gioia per il dolore confuso con l’orgasmo.
Armiamoci popolo per una classe dirigente sadomaso che mangia dalla bocca e mangia dal culo. Scoppiano di sangue succhiato dai morti che camminano e urlano la loro rabbia per non poter succhiare di più. Giochi della fame alle olimpiadi del Golgota si sfiorano la mano per assicurarsi la vittoria. La vittoria non lecca il culo.