Conati? Sì, dica trentatré.


Ammazzo un cavallo e torno. Mentre mio marito si trastulla il pene con una sudafricana di cape town io posto un importante fiume congolese sul mio blog e decifro le tredici bare che volteggiano sulla mia testa per atterrare in una capanna solitaria e fare l’amore col pastore di anime. Una vulgata che si adegua al matrimonio delle cause civili non può dirsi veramente surreale se non lecca i piedi alle suole ammattite di una capinera.
Trentatré gatti si masturbano in coro sui tetti di una parrucchiera mentre prova le parrucche alle malate di troppa carità per affondare un martello sulle spalle di Batman prima che si trasformi in un vampiro e poi in un pipistrello sorridente che fa il ditino.
Una nuova Zelanda vogliamo. Che ci protegga dal massacro che si prefigge la baronessa rossa che ci guarda dall’alto del cosmo in tunica e mutande dal cui buco passa una lunga coda da lucertola marrone e nera.

Otello e il sospiro di una corrente elettrica


Mentre una lacrima scorre tra le dita di una banana liquida mi fermo a soppiantare una trombetta triste. Una caramella si fa bella per una notte di stelle cadenti e bruchi negri. Stelle filanti e filari di rose incantate scivolano via in una pazza gioia technicolor. Sfrecciano luccicanti da un cappio all’altro del collo degli impiccati della strage del sabato sera. Un libertino andante se ne andava al concerto degli Strafolk e masticava una bartelbum tra i denti. Alla mezzanotte della stessa ora si levava dal cielo un urlo di vampiro in pieno godimento fisico. Era la prima volta che Drappola veniva. Era in piena crisi adolescenziale e anche lui sarebbe finito allo stesso concerto dove sangue e stelle si sarebbero baciati in uno sfiatatoio ricolmo di grandine di neve oscura.
Il clown triste si siede allora tra le braccia di una medusa ed entrambi si scambiano carezze abbissali mentre gli dei dell’Olimpo guardano rapiti il cosmo che si tira su le coperte e si addormenta per l’ultima volta.

Bumbum sabba bumbum


Streghe al sabba dell’anniversario dell’angelo del bene e del male. Streghe che circolano nei pensieri sonnambuli di uno zombie che scrive lettere d’amore per un vampiro in gonnella. Streghe che danzano, streghe che ridono in una notte di nuvole e di stelle e stampano una scritta in cielo “Cogito album di severalici rockettari, e bumbum”. Da qui nacque la maledizione del pollo.

Feticisti selvatici si credono delle sirene del condominio che nuotano sicure di affondare nel cemento liquido. Una torre che si scioglie nel cioccolato della propria meraviglia allaga dolcemente tutto il quartiere di frutta candita (che orrore!).

Un artista mai nato si appende al filo del rasoio per dimostrare la propria creatività in un momento di lucida pazzia. La sua foto con il cartello appeso alla schiena che dice “momento creativo” viene venduta all’asta per due milioni e settecentomila euro.

Un sacco bello


Sibila il vento, infuria la bufera e mentre una rete c’insozza le menti ricorriamo al sol dell’avvenire per fare le parole crociate dei cavalieri Templari. Al galoppo miei prodi e pugnam per la vittoria del cavallo Arturo Saltimbanchi.
Cogito ergo Escogito.
Nell’attivar della pulzella m’inciampo in un granchio al passeggio con la sua bella. Shopping in riva al mar. Due granchi, una poesia in libertà. Un bacio d’amor che si striscia sulla spiaggia. E la mente si svuota. In un respiro lungo un soffio di Volta e Gabbana. Ma in fondo è un segreto di Pulcinella, no?
E allora aspettiamo che un vampiro venga a raccogliere le foglie cadute dagli alberi di betulle che circondano il nostro giardin d’amore. Prendo una licenza poetica o licenzio il poeta che scrive come un pesce? Ma no, meglio masturbarci a vicenda in una stomachevole allegria di acciughe in libertà.
Scorre il vento infuria la bufera e metti la cera e togli la cera. Sei solo un microrganismo bicellulare e ti fai già un gran viaggio. Quindi issiamo il pennacchio e immergiamolo nel calamaro. In fondo al mare riposerà in pace eterna l’eterno riposo.

Puddu


Nella selva della città di Dio s’insinuava un segugio affettato da mille azalee petulanti.

In questo contesto Puddu si aggirava bighellonando vicino ad una barricata di uomini armati.

Andava in cerca di puledre fresche cui far bere il sol dell’avvenire.

Puddu si aggirava dopo la mezzanotte avvolto in un mantello a pois giallo e nero. Entrava nei pub più alcolici della capitale dell’impero. Osservava gli esemplari di femmine. Ne puntava uno e lo ubriacava. Lo portava nella sua tana e le trattava come le pecore di casa sua. E le riportava a casa prima che potessero essere coscienti.

Ma il problema era la sua sete insaziabile di alcol e il suo pene in perenne erezione che gl’impediva di dormire più di due o tre ore. Poi doveva ricominciare. Come un vampiro.