Era una triste giornata di sole passata sotto il bianco bosco della Russia innevata da funghi nucleotidi che spuntavano come funghi da foglie di pelle umana sparsa qua e là insieme a pupille Stradivari che fissavano attonite un luogo di magia macabra per farne un rave party che celebrasse la voce del silenzio.
Battiamo le mani e balliamo al ritmo di un tamburo che risuoni nella savana e nella steppa e nella tundra fino alla foresta nera egiziana passando per un deserto libico e per un cuore a rischio d’infarto che non smette di battere ballando al ritmo di uno spazio cosmico. Erigiamo salive di castello. Che venga ripulito dall’onda del mare non appena un comico si erga a rappresentante dell’Unione Europea che vaga, isola nell’oceano del suffragio universale.
Tutti in fila per tre legittimiamo l’oligarchia ed esportiamola con lo sforzo di un rutto rettale. Dolore intestinale che soggiace alla lingua di un bacio in bocca. Tutti in fila per tre a obbedire ciecamente e ad esprimere il nostro languore con la forza del cerume che soffrigge in profondità nella alte sfere che temono l’attacco alla cittadella che non è mai stato così lontano, o così vicino.
Se non hanno pane, date loro brio.
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Il freddo solare della tundra
Allodole borghesi scendono dalle nocciole per masturbarsi le gengive di rucola e stracchino. Un genio della lampada si abbronza al vento del mistral tra beduini e focacce che scendono dal polo per una vacanza al solare freddo dell’inverno padano.
Una nebbiolina scende mentre mi stuzzico le narici di ricotta pescarese e mi liscio la libido di una libellula in calore tra le mutande e l’arrosto di un governo di burattinai liquidi.
Arista si gratta lo stomaco dopo una messinscena con i suoi genitori per mettere su Internet il suo show porno con il ragazzo e con le amiche di facebook. Originariamente si solleticava da sola sotto le lenzuola della nonna, ma poi la vita urbana di Milano le ha sciolto le emorroidi come burro in padella e ora si chiede se l’Australia non sia un posto per villeggianti della costa romagnola. Mentre balla la Zambia sfoga le sue mirabili conoscenze di ausiliare dell’esercito della salvezza delle scimmie ingravidate da Fantozzi.
Il bagno del toporagno
Nella tundra di un semi pazzo urlante mi libero della vulva capillare e rintuzzo gli attacchi di un sedicente gigolo. Cotasti mio caro, cotasti e calmati da quella bava altisonante che fruga negli artigli di un corvo le tempeste di colla che si attaccano alle mascelle di un conte della montagna incantata per fare magie ricurvo su un ramo secco nella notte dei tempi. Mi masturbo nella segola di una pianta argentata ricca di gemme e di escrementi di toporagno con l’alito fetido. Un rombo di aeroplano stellare distrugge le emozioni di un orgasmo a cinque stelle per portare in parlamento un barboncino seguito da mille sgombri.
È così che fumo una sigaretta di cavolfiore: per immaginarmi la protuberanza di un bosone sanguinario in mezzo a genti in mezzo al traffico che pensa a come fare sesso con la diga di un frutto di bosco balsamico in padella. È così che ritiro l’arrosto dal forno. Con barbabietole ridenti e giocose che gli danzano intorno per sedurlo e canzonarlo. Il salvagente di un popolo non si misura in monete di bisonte polare. Ma con la luce degli occhi che sprizzano sperma in mezzo alla folla vetusta.
Ecco come fare la rivoluzione. Basta che la non violenza diventi una forma di pazzia e liberi le corde del cemento armato che lega le fronti insieme a una vocale e una consonante. Nel muto silenzio ascoltiamo il suono di Dio in amore. Che ingravida anime di fumo in forno a preghiere che si levano alte e poi cadono tra gridolini soddisfatti.