Una scossa elettrica si sparge nelle mie mutande di pizzo. Mi tocco un seno di senilità e amo un drago di spine e merletto all’arsenico. Un grande canyon mi guarda muto e solidale, quando uno è muto sembra sempre solidale. Un lupo si materializza per dirmi che la mia strada è libera e fiammante, di cominciare a correre e attraversarla senza guardarmi indietro e quando arrivo sul cocuzzolo della montagna guardare giù il verde abbagliante di una risata e del padre nostro di suor Cristina. Mentre mi alzo in volo guardo un ragù bollente di pomodoro e capinere che adorano l’odore di carne umana e sangue ribollire in una saliva di una lingua biforcuta. Le mie ali di serpenti leccano la barba di Odino e sturano lavandini senza un rivolo di figa.
È così che mentre le lontre oscurano le loro feci sotto la terra dell’inferno, io mi rigiro nella notte oscura e metto la testa sotto il buco del culo entrando contemporaneamente in rete e vincendo i mondiali del carrube.
È così che ricevo la medaglia al valore militare, e il mio stomaco fa le acrobazie con le frecce tricolori in mezzo al sangue dei cosacchi dell’ordine dei Santi Cavalieri Blu.
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Mi stiracchio in una giungla disabitata
Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.