Mi sveglio dalle quindici mani che mi toccano durante la notte e sogno palle di spiedini arrostini che mi imbavagliano i piedi e impediscono loro di urlare intanto la sveglia grida e gracchia come un corvo stupido. Melenso si iscrive a un corso di scrittura e veleggia verso lidi incantati da lucciole a pagamento. Per forza mi siedo ai piedi di un tronco di senzatetto e raschio la mostarda dalle ghiandole salivari di una pantegana zoppa. Grido nel buio di un deserto delle salse tartare e guardo le bolle di pus scoppiare nel silenzio dello spazio di una tempesta solare.
Leggendo l’odissea galleggio nella flottiglia di asparagi che trasmettono alfabeti Morse agli egiziani in guerra con la patatina fritta che li ingloba in un tubo di cemento che misura ventisette once di farina all’uovo. M’infilo quindi in una doccia dissacrante e controllo il capostipite delle lettere dell’alfabeto sotto vuoto spinto. Un Eros saltellante e una Psiche sull’orlo di una crisi di nervi ma saldamente.
E tu amico mio. E tu e noi. E voi che ci guardate giocare con le carte da tressette. Un movimento assurdo ma contento. Che si crogiola di sedicenti avvenimenti che portano a reggersi sulla punta di una sedia. Che un rivolo di cacca scivoli dalle tue labbra mentre porti sulle spalle i peccati del mondo, ma non capisco perché perdonarli, solo perché non sanno quello che fanno all’interno di un codice binario. Solo gli idrovolanti sanno quello che fanno. Allora perdonami sempre.
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Un batuffolo di cotone spegne l’aglio.
Mentre catini di neve suonano l’adunata mi crogiolo nella radura scolastica di un uovo sbagliato rispetto all’equazione di una stagione da tressette. Mi volto a guardare una pittura mentre cago su un forno a microonde che scola un lattice a forma di preservativo eretto e gli uccelli cinguettano forsennati al ritmo di una musica tecno. Una Ferrari arriva e parcheggia in nero.
Mi rigiro nell’aglio scorretto con uno stomaco pieno di maionese e un cane pazzo mi osserva con sospetto.
Assorbo l’atmosfera di ketchup con una minigonna e un paio di stivali da cowboy mentre una lucertola piange e si masturba insieme a un cavallo a pois.
In fondo perché non ridi? hai una faccia comica che fa paura e tutti ti chiamano Franchestin. E allora attacchiamo il Ruanda, ma prima trucchiamoci bene per non avere sorprese.
In questo modo ci ricolleghiamo alla presa di corrente e al grande spirito spiritoso e spiritato. A 90 gradi.
Che brucia un po’ e poi fa digerire. Coca cola. È così che si apre il cielo sopra Berlino e le tigri piangono mostrando un culo attillato pieno di jeans.
Il cavallo ci aspetta.
I canti Eloisi
Una marmellata di prugne mi stimola lo sfintere d’amore collettivo e ruota la caramella di una pruriginosa colata di cemento liquido. Mi riempio di azoto e me lo passo sull’uccello nell’attesa di sputarci sopra per una gara di formula uno ripresa dalla televisione. Mi chiedo perché la vita è così normale. Una caduca tela di picasso mi dà la risposta sottovoce, così piano che non ci capisco un cazzo e la prendo a calci.
Prego un vaso di gerani in fiore di fare la festa alla tragedia del senso mentre una malinconia soffrigge dentro di me. Vedo caleidoscopi arcobalenanti sopra di me e dentro le mie parti veneree. Scopo una sifilide operaia grattandomi l’orecchio da dentro il casco. In quel momento le piramidi smettono di girare e provocano un terremoto tra i gabbiani della spiaggia reale. Un moto perpetuo si riempie la bocca di vaniglia sky.
Una vecchia centenaria si gratta il clitoride ferocemente per un ultimo orgasmo sul letto di morte.
Una gatta guarda seraficamente il proprio uomo cullare i gattini e giocare a tressette. Si eccita e incomincia a leccarsela
Mario si inghiotte dodici dosi di proteine per una sessione di brainstorming in palestra con i colleghi scienziati nucleari. Mentre sua moglie si fa un pompino nella cucina di un monolocale di periferia.
Fumo un sigaro di mortadella scaduta. Augusto gioca in un’altalena di cerbiatte vive. Colt si diverte a masturbarsi davanti alle signore che si appartano dietro un albero a fare pipì nel parco.
Cannibal
Una nuvola di fumo. Un mazzo di tressette. Una girandola di problemi. Ballano nel mio stomaco che cerca di digerirli. La flora intestinale si riassetta i capelli.
Un diavolo povero si aggira per le strade della capitale dell’impero e fuma un sigaro ucraino. Il suo soprannome è Cannibal, ma ultimamente è diventato vegetariano, anche la carne umana dà la gotta. Deve arrivare sul luogo del delitto prima della polizia per spargere un po’ d’indizi su qualcun altro. Ma sta discutendo con la fidanzata inviperita per non so quali questioni di lavoro che mai cercare di darle una soluzione quando vuole solo essere ascoltata e approvata. Quando arriva la polizia è già dentro. Allora corrompe uno dei poliziotti all’uscita per mettere un po’ di oggetti con impronte digitali di qua e di là e se ne va all’appuntamento con la sua amante, vegetariana anche lei. Si accende un pollice e si fuma un altro sigaro pensando che è più difficile gestire le donne che la polizia.
I flussi infausti delle cimici allegre
Mi alzo e vado a zonzo nei deliri dei miei pensieri e trovo Gioplano. Un biplano giocattolo dell’epoca dei nonni aviatori allo sbaraglio. Tra i giocattoli del solaio. Pulito e perfettamente pronto a volare.
Non vola finché non ci sono montato sopra. È un simpaticone. Non occorre neanche il telecomando. Basta parlargli e non raccontargli barzellette altrimenti perde quota come un sasso. Diventiamo amici planando tra le farfalle e i pollini striati di fiori che cantano inni in cori gregoriani.
Un’atmosfera natalizia ci circonda e i pinguini ci salutano. Sono venuti a cercare Madagascar ma nel frattempo si godono la vacanza marina e pescano sardine al supermercato. C’immergiamo in oceano e scopriamo una città piena di smog e piante tropicali.
Mi violento. Sì da solo. Su un letto d’alghe. È stato bellissimo. Ma come faccio a denunciarmi?
Un gettito d’aria calda mi riporta allo sviluppo costernato di pacchetti aerei che sto stampando fuliggine in un corriere postale. Una foto di biplano mi avviluppa nelle sue spire dato che mi era cascato addosso il poster gigante attaccato a una parete.
Scrivo a occhi chiusi tra il sotto e la morte, mentre le parole sgocciolano dal mio rubinetto scintillante di perle colorate e i miei piedi battono sul costume dei pirati una scopa e tressette ululati in piena prateria.
Ecco il grande Morfeo che viene a prendesi ciò che gli appartiene e mi porta con lui, una volta per tutta, spero.