Il solletico mi raggiunge nell’intimità di una pandora attinente al genuflesso. Lui o esso attiene al campo della meditazione trascendente. Trascendente il piatto barilla. E prega un quarto d’ora che lo faccia respingere i conati di vomito provocati da eccesso di zuppa di intestino di vacca.
Una ragazza sogna il princi. No. Una ragazza sogna. Ecco. Sogna e si tocca. Si tocca e mostra il ditino bagnato al principe dei suoi sogni. E il cane annusa il fiato che puzza di cagna in calore e si libera dalle catene del senso di colpa e procede all’investitura regale della bella cagnetta. Pensieri che giacciono sotto la sponda di Saturno. Pensieri che si librano in un water che sprofonda nella diarrea di uno stufato di mamma tua. Codici genetici si modificano mentre spediscono il curriculum per diventare dei buoni soldati al servizio di chi li sevizia. Ed è per questo che il lavoro rende liberi. La libertà non si compra. La libertà si soffia su un alito di vento. Quindi la morte in una nuvola di nebbia spiove dolcemente su un sito web e la scorza della casta non serve per fare una spremuta di limoni acerbi.
Guardo la pioggia e penso che non c’è niente da pensare e mi gratto i coijoni sotto quest’afa nordica che sa di puttana soffritta. Una spremuta di tette in bikini. E piove sempre di più. E non penso. E ascolto il trapano che perfora la mia mente senza fare troppo casino. Ma comunque un po’ sì.
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Freccia d’argento
Il colore porpora colora i miei denti e l’argento lo succhia senza derivare da una cometa. Il fatto è che non credo più al sacco di Roma e voglio mangiare frittelle come gli altri bambini.
E detesto il latte di capra. E anche se ho otto anni voglio farmi la Marietta che quando gioca, guarda un po’, trova sempre il modo di farmi vedere il colore delle mutandine. Stanotte ho sognato di perforarle con un trapano. Chissà che significa. In chiesa ho pregato e ho fatto la comunione. Trovo che un bambino ha sempre l’anima pura. Mentre l’odio di Satana si rivela il tappeto rosso che accoglie il principe di questo mondo. Perché io non sono di questo mondo e nemmeno tu. Stronzo.
È nella virtuosità del rituale che il prete compenetra il gregge con la magia rubata dall’inquisizione. E un toro s’impadronisce dello sbando iniziale e carica un petardo nascosto nell’altare. Da cui sboccia un vaso di rose rosse di porpora violaceo all’aids cotto al sangue. E tu che preghi davanti a una colazione di ceppi di rospo cos’aspetti a farti ungere e mungere dal sacro olio nel momento dell’estremo sussulto? Pensaci stronzetto, pensaci.
Sig Sig!
Sigfrido si taglia un dito pelando una carota, soffre come un cane sodomizzato da un trapano incandescente. Forse un po’ meno, ma il dito penzola. Decide d’impiccarsi per la sua imbecillaggine e prende un filo elettrico mentre spruzza sangue che sembra il tubo del giardino. Ma d’improvviso si ferma e piange, non vede più niente e il dolore delle lacrime sembra attenuargli il bruciore del dito che se tutto va bene glielo amputeranno. Dopo dieci minuti di pianto ininterrotto suona il telefono. È Frassica che gli chiede se gli va di andare al cinema a vedere un film un po’ pulp che danno in un cinema underground “c’è il festival dell’horror. Dai che ci facciamo due risate. Porca… ma che silenzio, cos’hai, ci sei? Dai che andiamo, ma cosa…Sig. Sig? oh, Sig, stronzone, ci sei?” no era andato in bagno, almeno lì nessuno gli rompe. Si veste alla meno peggio, con un paio di jeans che puzzano di stantio e una maglietta nera usata in palestra ieri.
Inforca la moto e si dirige verso l’ospedale più vicino. Parte in sgommata e cade dato che è appena nevicato. C’è silenzio, ma un autobus passa. Lo vede in lontananza e decide di lasciare perdere la moto e arrivare in ospedale prima possibile. Quell’autobus ce lo porta dritto in braccio. Va alla fermata lì di fianco a casa e sale. Alla fermata successiva tutto l’autobus scende. Dimenticavo. È un appassionato mangiatore d’aglio. Resta solo lui, un ex pugile mediomassimi con la sua faccia butterata e l’autista, un nero di 47 anni, che ha messo l’aria condizionata a palla e tirato giù il finestrino (c’è sempre la neve) e spera che non gli debba chiedere indicazioni. “Senti vecchio, è quello lì l’ospedale?” gli fa Sigfrido all’autista indicandogli col dito tagliato un edificio bianco lattice cinquecento metri più giù sulla sinistra. “Sì, sì, certo, è un ospedale quello? Ha un bisogno urgente vedo” “Sì dei cessi dell’ospedale. Grazie”. Quando scende fa per attraversare ma sente uno strillo di donna che viene da dietro di lui e vede un ladro di borsette più piccolo di lui che viene proprio dalla sua parte. Gli si para davanti. Questo si fionda verso di lui. Fa per placcarlo. Questo tira fuori un coltellaccio da Crocodile Dundee e glielo passa pari pari sulle altre quattro dita. Che lui ficca direttamente nella neve per non svenire. La neve si tinge di rosso tipo splatter e la donna che gli si era avvicinata per ringraziarlo gli spacca un timpano con un altro strillo al che lui le tira un cazzotto in faccia e lei sviene. Prima di dirigersi verso l’ospedale raccoglie gli altri pezzetti di dita sparse un po’ di qua e un po’ di là e se li mette in tasca.
Ci sono voluti cinque chirurghi e un’operazione di 44 ore. L’ultima volta che l’ho visto era ancora lì con un manone da Hulk ma forse con tutte le dita rimesse insieme. “Ciao Gangia, ti devo raccontare l’ultima” mi ha fatto quando sono entrato. Pensare che ero di cattivo umore per la solita lite familiare. Ma come mai che quando uno sta peggio di te tu ti senti meglio? Sarà stato l’aglio che mi ha stordito?