Un genio peloso, due campari, un pollo sbucciato.


Una mela sbucciata mi appare davanti alla torta nuziale per augurarmi il peccato mortale se mi piego alla stanza del figlio crocifisso nell’unità di una croce uncinata. Melograno e melo gratto per meglio sentire il prurito di un’urna funeraria di peni e patate al forno. Mentre le farfalle ridacchiano al sole.
Ofelia si batte contro un pigiama a fiori senza chiedersi il senso delle carote finché un fulmine a ciel sereno non inchioda il padre alle sue responsabilità elettive. Un sindaco che piange è come un chiodo che caga. Entrambi hanno la puzza sotto il naso. Per cui Ofelia si ritira di buon grado col suo nuovo consorte nell’ascensore di una rolls-royce a fare un sabba di pippistrelli e marmellate marcate Ovidio.
Parloti d’amore Marilù. E ti dico e ti chiedo di darmi un pezzo del tuo stivale per pulirmi le gengive da tanta cioccolata che sfregiò la tua vagina infernale e la tua pedicure così ben attillata. Ti amo e ti proteggo dalle mille sventure di una vita piazzata in telefiga col Cristo che ti ama anche lui dall’alto di una baracca che crolla su effluvi di diluvio universale siccome anche oggi piove. E torna a battere che voglio comprarmi una WII.
Un abbraccio stretto stretto alla scopa mi riporta in una Terra focosa e gioconda dove il Carnevale del cuore equivale ad un pollo scotennato e ridente, ma sdentato.

Una palude lombare


Una colomba precipita facilmente su una torta nuziale. Per cui si disincentiva il personale a calibrare gli interventi dei pompieri su fuliggini di fuoco intenso. Una bestia si dimena la coda e mostra le ballerine ai piedi fetosi per pubblicare un manifesto del pubblico pudore tra sguardi sgomenti e peli pubici pietosi. Il male della gravità è che un magazzino merci può chiudere i battenti mentre si festeggia la Capodistria di un magnate della birra e della puleggia.
Brindiamo per un vespasiano incontinente che puzza più della selvaggina putrida in una palude uggiosa nella savana continentale londinese. E masturbiamoci in coro in onore di valchirie con l’acne recidiva per una pietanza scotta che sa di pesce marcio fritto con patatine callose.
Desidero saltare da una cometa di Hallowen ed atterrare in mezzo ad un campo da calcio dove si gioca la scapoli contro ammogliati di trentasette cornuti imbarazzati che si sciolgono come neve fritta. Un pazzo ride a fondocampo, ride a crepapelle, ride e la pelle si crepa. Ride e le crepe si riempiono di vermi. Ma ride lo stesso. Ride e muore. Ridendo.
La partita finisce sullo zero a zero mentre affondiamo lentamente nelle sabbie mobili della schiavitù strisciante. Là dove la mente tocca lo zenith e noi ci abbracciamo lentamente dato che oramai non ci resta altro che l’amore.

Il canto dell’orda


Una voce rosica le mie corde polmonari e frigge l’anima di un sopracciglio esuberante. Il crocchio vola trainato da cavalli bianchi in un cielo che si apre per farli passare e sparire dalla faccia della Terra. Io sono sull’altare di una chiesa e odo la musica del mio matrimonio cantare centauri di zucchero filato sulla torta nuziale.
Vuoi tu…, sì, no, non voglio, certo che voglio sempre e per sempre, finché la morte non ce la metteremo in tasca e vivremo per sempre in questa valle di cieli oscuri. Un bacio nella fantasia riempie il pubblico di mille colori arcobaleno che affrescano una chiesa, la santa madre chiesa, di tutti gli amori e gli onori che scorrono dall’inferno ad Adamo ed Eva.
Serpenti della conoscenza piovono dal bene e dal male, mentre cori gregoriani ritmano danze orgiastiche di cardinali e concubine e mucche da latte.
Usciamo sotto una pioggia di risotto ai funghi e pizze lanciate tra i denti e arrosti di prosciutto e su un paio di sci raggiungiamo la limousine che ci porterà in volo, me e la mia bella Pazzia, fino al prossimo delirio.