Delirio di Plastica


Elina si tuffa in un lago dall’acqua cristallina. Intanto un pesce fugge da un pesce più grosso. Elina nuota verso la sorgente del fiume mentre le trote si divertono a giocare a pallavolo. L’aria e fresca e le canne di bambù chiacchierano solleticandosi le ascelle con la lingua reciprocamente. Elina esce dall’acqua e va a fare pipì dietro un cespuglio e inavvertitamente la fa su una talpa che rischia di annegare nel tunne. Suo padre sta pescando dall’altra parte della riva e non la vede ma sa che si trova lì vicino dato che la sente cantare. Un rumore di jeep rompe la magia della radura. Da essa ne escono due uomini con una tuta rossa in plastica fosforescente e chiedono Vecchio cerchiamo un ospedale per nostra madre che sta morendo nel bagagliaio, sai dove ce n’è uno.
Non so dove c’è un ospedale, ma so dov’è un cimitero, che forse vi serve di più, fa lui.
Buona idea fa quello più alto, Mario, ma ora vogliamo un medico
Ne ho uno qui in tasca se vi va, fa il vecchio, diciamo che si chiami Taddeo
Ed ecco che il canto di Elina si fa più vicino. I due giovanotti si girano per cercare questo suono melodioso hce riempie le foglie degli alberi che anch’esse si sono fermate per ascoltare e anche il vento s’è fermato.
Tutto si ferma finché tra un rumore di rami spezzati e l’altro appare loro davanti una tipa abbastanza bassa, nuda con due tette enormi e i lunghi capelli bagnati e mossi e un delizioso pube di folti peli rossi. Gli occhi da tigrotta svegli e azzurri li squadrano e senza batter ciglio si avvicina senza inibizione portando i capelli sul busto ad accarezzare i seni quasi a indicare dove guardare.
Davanti a lei si ergono due tizi biondo platino, sbarbati e puliti che la guardano a bocca aperta.
Ciao sono Elina
Ciao sono Matteo, ciao sono Aldo
Silenzio
Se ne frega a qualcuno io sono Taddeo
Silenzio. No, non gliene frega a nessuno. Neanche alla madre ormai morta nel bagagliaio tra un delirio e l’altro.

Il diamante della fortuna.


Spargo nei denti dell’atmosfera rarefatta un pianto sibilante come la polvere da sparo che passa per il tuo occhio e ti friggo l’anima senza che te ne accorgi, bambino assurdo. La carica caotica degli acini di zenzero mi toglie il respiro affannoso della cyclette e apre i pori della sauna per i piaceri della nonna.

Soggetto passivo che leggi e pensi. Cosa pensi? Vaghi nel sonno ipnotico di una lettera che porta un suono che porta una luce nella tua mente che porta un’emozione nel tuo cuore sempre assetato, sempre affamato, sempre disperato. Hai paura?

Leggi il mentolo dell’arte, la pillola di fumo eufemistico che porta all’amore lesbico di due poggiacarte sodomiti creati dall’amore di Afrodite. Dea della banana in calore. Hai caldo? Non raffreddarti. Hai voglia? Coltivala. Hai sete di vita? Che scorra nelle tue vene senza farle scoppiare.

Hai stuprato una tartaruga? Succede a tutti prima o poi. Anche di trovarsi con dei mandarini nel culo, andati a male, oltretutto. Senti il rumore di Polifemo mentre mangia la Mirra nel museo dell’Odissea, mangia come una scrofa, e mastica carote, no, non le mastica, le usa come stuzzicadenti.

Sei un soggetto aulico, abulico, no abulimico. Sei quello che mia bisnonna definiva un arco pantotenico della natura, una vitamina al contrario, praticamente. Lo so che non capisci, ma fa lo stesso, se fossi qui per capire non continueresti a leggere. Sei qui per sentire i ritmi del tamburo cosmico dentro di te. Per fare l’amore con l’universo come facciamo tutti. Come con le tartarughe.

Una lacrima scorre sul divano a forma di farfalla lesbica.
E si fa una pera di lana di talpa.