Cadaveri in lotta per la sopravvivenza stappano una bottiglia di champagne


In una serie di alterchi una testa mozzata si smarca dalle isole del Madagascar e sposa una turckmena in nozze coniugali per lettera epistolare. Una voce dal nulla canta una musica country lounge e mi racconta le sue esperienze di sesso nella prateria danese tra chitarra e mandolino, birra e pisellino. Ma è in Botswana che sono nati i Watussi? Così. Mi suona. Ma magari non c’entra un Kenya.
Scrosciano gli applausi tra spire di libidini biforcute e la voce suona e intona una marcia nuziale per cadaveri smartphonizzati che comunicano ma non comunicano, parlano e ascoltano il suono del silenzio rimbombare a campana in echi vuoti e spazi siderali senza ritorno né alla vita né alla morte e senza sapere se l’aldilà è ora o tra un mese e in fondo chi se ne frega.
Quindi balliamo la salsa di pera tra siringhe di pace e spruzzi di liquidi riproduttivi e lecchiamoci le orecchie mormorando parole d’amore bastardo per ritornare alle origini di un baccalà beccamorto che dipinge volti sereni prima di seppellirli e non riesce a dipingere quelli viventi che si muovono troppo s’innamora di una in coma. Una passione che dura una vita. E una morte.
Ma, in fondo, piango?

Marmellata di prugne


In una cannonata Iago perse una gamba. Svolazzò via che sembrava un palloncino per i bambini e lui, prima di sentire il dolore, stette a guardarla volare ricordandosi quando da bambino faceva volare gli aquiloni. La sua gamba. Che roteava. Poi sentì il dolore.
Un bruciore da far fondere il cervello come marmellata e quell’imbecille (di cervello) non staccava la spina. Non lo faceva svenire, no. Fino in fondo gliela faceva godere. Quando passò la croce rossa delirava, ma i combattimenti continuavano e lui non sentiva più suoni, sentiva freddo. Si stava svuotando come una damigiana di vino rosso. Con le vene che sembravano autostrade che finiscono nel vuoto. Mentre lo rammendavano alla meno peggio sperava veramente di lasciarci la pelle dato che comunque la vita non sarebbe più stata nemmeno lontanamente decente. Diciamocela chiaro, nella guerra all’Iran c’era voluto andare di suo. Spirito patriottico e riga. E soldi. Ma non solo. Anche spirito patriottico. Volato via in una nuvole di spruzzi. Ora sì che la cosa si faceva interessante. Avrebbe giocato a poker con Dio, il premio, la morte. Ma se Dio non ci fosse stato allora sì che gli avrebbe fatto del male. Gli avrebbe sconquassato paradisi e inferni e quinte e seste dimensioni. Gli avrebbe spappolato la gamba anche a lui, così vede com’è restare senza una. Ma avrebbe vinto. Era sicuro.
Con tutto quel po’ di sangue che gli rimaneva in corpo approfittò di una distrazione dell’infermiere mentre l’ambulanza correva tra le bombe e lo sballottava di qua e di là e gli sparò. Un’ultima cartuccia. E si sparò. Cioè, forse non c’era bisogno di far fuori l’infermiere, pensò due secondi prima. Ma va beh era venuta così. Non c’era tanto da pensarci più.
Ok Dio ho barato, ma non sto certo a fidarmi di te. Poi la pallottola attraversò la scatola cranica, da tempia a tempia. Un attimo, ma una distorsione del tempo gli fece ricordare un cioccolato al limone che aveva mangiato con suo fratello Giangiacomo il giorno del matrimonio (di Giangiacomo). Quel sapore gli esplose in bocca, che se lo sapeva prima, mica ci pensava tanto a spararsi.