Un bonzo d’oro mi parla dalle similitudini dello spazio e prega affinché la specie umana si perpetui nel tempo e si diffonda nello spazio. Una pace profonda regna nelle profondità dell’animo e s’impegna affinché l’ibrido risalente alla notte dei tempi maturi la coscienza di sé in una botte di vino. Una luce accompagna il bonzo mentre si allontana dal viscido reame di seta gialla. Nella scrofa di lupo che si rotola in un turgido rosa pallido, Alonso gioca a rubamazzo col morto e indovina la crosta terrestre tra un grillo pasquale e l’altro e si tuffa in un lago di midollo spinale.
Nevica. Nelle sale cinematografiche un batuffolo di cotone esige la tangente dai nuovi primi ministri dalle bretelle larghe. Charlie Chaplin governa un gruppo di burattini senza fili e si fa il bagno in una tinozza nella capanna natalizia insieme a galline dalle uova d’oro e frattali universali.
Le gonadi pesano fluttuanti in episodi di terrore alieno per scovare il buco del culo dell’universo nella cantina sotto casa insieme a un pozzo di petrolio che parla di penisole infuriate e repubbliche cisalpine che si masturbano insieme a regine asburgiche e pere cotte.
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Cacofonia
Gestite il suono del silenzio con una patata in una manto e un mantello nell’altra. Il silenzio ascolta e perdona. Il silenzio è tuo amico e fratello. Fratello di sangue perché sei nato nel silenzio e dal silenzio provieni. La tua carne non parla né il tuo sangue. Il silenzio dello spazio è eterno ma parla un linguaggio che solo il silenzio è in grado d’interpretare. Ascolta il silenzio e scoprirai quello che cerchi. Per ascoltare devi stare zitto. Il silenzio è tutto quello che sei e che hai paura di essere. Se scorreggi fallo silenziosamente. Se scopi piangi in silenzio. Non scoprire la coperta del silenzio. Perché quando sarai pronto si scoprirà da sola e ti apparirà vergine ed immacolata pronta per essere tua. Perché sei tu.
Anche uno sputo può fare troppo casino. La cacofonia di un villaggio turistico mi sussurra all’orecchio il suono della madre terra. La cacofonia di una musica rock stende un velo di catarro sui miei neuroni affaticati da una notte di marijuana da leoni. E panzer di sintetizzatore uccidono le zanzare a colpi di fulmini e caramelle.
Mi chiedo a che scopo viviamo e uccidiamo e moriamo e risorgiamo e dipingiamo e moriamo e scriviamo la nostra biografia su una croce di salnitro piantata ad eterna memoria. Ma me lo chiedo perché la risposta non esiste e la domanda resta là come una bella donna che ti guarda dal bordo di una miniera abbandonata mentre tu cerchi te stesso e scappi da un’esplosione di grisou prima che ti esploda in faccia.
Ed è lì che prima di morire ascolti il suono del silenzio che cala prima sui timpani sfracellati dall’esplosione e poi ti addormenta in un sonno profondo finché non incontri angeli e porci che ti hanno accompagnato e l’unica cosa che ti chiedi è se hai mangiato abbastanza cioccolato dato che non lo ritroverai più in nessun’altra dimensione o pianeta dell’universo.
Oggi piove e l’acqua è l’unica essenza che può disturbare il silenzio, perché ne fa parte. Anch’essa è silenziosa e anche la terra. E quando un silenzio incontra un altro silenzio fa un suono sordo anche se forte che ti aiuta a prender sonno e a calarti nel silenzio prima che diventi eterno.
Sto immaginando come cantare in maniera silenziosa per fare un coro degli spiriti della terra che volino sbattendo le ali di farfalle agitate dallo stress informatico. Anche il computer fa poco casino. Lui ti guarda come il genio della lampada e ti chiede quale desiderio vuoi che esaudisca.
E prego.
In silenzio.
Gli spiriti.
E ci faccio l’amore.
In silenzio.
Vacca boia!
Una battaglia nello spazio aereo di una ballata triste con trombetta mi falcia il viso con una frusta di titanio sgonfio. Parole libere che sfrecciano nel cuore di un’anima in pace con l’aria che tira e svolgono la loro funzione di verbo creatore che manda luce e materia nelle vene dei giganti che si moltiplicarono come topi alla faccia dei serpenti.
Paperopoli è una città piena di seghe mentali, ma che al momento giusto mette da parte la filosofia del pollo per caricare la bombetta di Paperone e partire alla ricerca del tesoro. Galli panti si cercano e beccano le parole come chicchi di mais che piovono dalla luce venerea.
A Mikonos leggono le leggende che richiamano la pazzia dei sordomuti cantori di una civiltà che fu. E Ulisse e Odisseo e la maga e la Circe si crogiolano nella loro vasca infernale della commedia di Dante che nel tempo dell’esilio si concesse una vendetta immortale.
Avviciniamoci al fulmine di una patata lessa e ridiamo delle coccodrille imbalsamate dagli egizi con tanta cura che paiono muoversi e danzare per noi un ballo funebre al ritmo del tamburo. Jessie James spara e buca un cappello di traverso all’uomo che si chiama nessuno e Joan Baez canta il canto dell’usignolo con l’ala spezzata. In tempo di crisi l’importante è alzarsi la mattina e rompere un vetro con una testata secca. E una camicia bucata. Fresca di lavaggio. Lavaggio del cervello. Frammenti cerebrali sono rimasti nel rotolo della carta igienica e presuppongono di poter descrivere la Maddalena piangente sotto la croce di Gesù e non si rendono conto di stare morendo e quindi continuano a vivere nella dimensione del verbo. La parola sacra suona come un violino stradivari che piange ad ogni nota circolare. E manda nel mondo falene incazzate per circoncidere il processo di amalgama virulenta del virus dell’aviatore cieco. Mi metto anche io in ammollo sperando che una cantilena assopisca i sensi di carota marcia che solleticano la pancia di coniglio bianco e nero.
Un sostegno nella vecchiaia
Divo sostieni una montagna di carta igienica e voli sottendendo la piantina asburgica di un tetto che ti casca sopra la testa e crolla in lacrime fendenti la materia che impasto come la pizza. Io narratore onnisciente mi diverto a giocare a fare il creatore e il disfare del semaforo della vita eterna.
Il polipo a mille braccia si stura il naso e si masturba il buco del culo mentre una nuvola di fumo intercetta le sue papille digestive e lo fa vomitare zucchero filato. Un vomito più dolce del miele. Ore diciassette e quarantaquattro, e mezzo. Il tempo fila come un rasoio sulla mia faccia da culo. Imberbe e scatenata.
Il rasoio scorre. Liscio come l’olio d’oliva psicodelico. Creature del pianeta marmellata si misurano i seni caducei e appendono le loro memorie a damigiane di birra che scatta fotografie di momenti d’incoscienza psicodelica. Penetra in tamburi di mente onirica e senza alcun significato. Rumore assorda le mie orecchie.
E dio disse, e dio disse, e dio emise un suono. Prima il tuono, poi, poi, poi il fulmine. E luce fu. Il senso di spazio s’impadronisce di locali notturni mentre un’identità violenta s’impossessa della mia coscienza inconscia e comunque non raggiungerà mai il nirvana. Sono solo un carnivoro puzzolente che non significa niente in un grande nero appeso alla galassia che vomita pece nera in ogni secondo che collassa in buchi neri, nero è nero ritornerà. Segmenti di bit cercano di trovare un equilibrio all’interno di televisori di transistor per cercare di raggiungere la divinità e colmare il digital divide tra nord e sud Italia. Marocchini si lisciano il pelo tra marmotte ricorrenti un piato di sugo al basilico.
Fino alla fine del tempo. Fino alla fine del tempo. Un suono di note stonate s’intrecciano ai miei neutroni e piantano chiodi nei crateri lunari formatisi tra le giovani marmotte. Mentre un cucchiaio di pasta si masturba pensando alle cozze bollite nello strutto di liposuzione. Una scia rossa di sangue scarlatto si tinge di blu pensando a quante carte da poker ha distribuito nella sia corta vita da broker. Scommesse e cavalli. Cavalli e scommesse nitriscono insieme in un coro dell’Antoniano gridando a squarciagola “la vendo per un franco”.
Una mucca bela come un tacchino spremuto a viva voce su una roccia di bromuro espanso e la toilette tira l’acqua insieme a uno stronzo cotto a spuntino. Salsiccia domestica che violi il territorio dell’acerrimo nemico joker in modo che finalmente Batman sfoghi la sua omosessualità altrimenti che su Robin. Oggetti a volo pindarico s’insinuano ridendo nello spazio tra due transenne di una manifestazione di polizia che carica se stessa a cavallo.
Esogenesi letale. Vita da Marte scende vistosamente. Alieni abbronzatissimi si distendono sulla spiaggia in attesa di formare una comitiva di asparagi body builder.
Girotondo
Il caso vuole che una soffitta ci mostri un’ondata di pipistrelli che vola in mezzo alla neve e si metta di traverso con una voce di cori celtici.
Una voce che viene dal passato che ritorna eternamente mi ricorda la fugacità della vita che muore.
Una scarpa assordante che sa di chitarra elettrica suonata in sottofondo.
Un sottofondo alle mie poesie senz’autore. Porca puttana, cosa ci faccio qui? Faccio uno spezzatino di rose blu senza spine. Un tonno senza lische. Tutto ciò mi permette di sentirmi come un ragazzino al suo primo appuntamento.
Il ritmo di una batteria impazzita mi solletica i timpani e i timpani comandano braccia e gambe che non smettono di muoversi come un burattino a cui si fa il solletico a ritmo di musica.
Ballo finché la puzza di ascelle non assomiglia ad un soffritto di aglio e cipolla. Un bombardamento di costolette di maiale e ketchup, quello era il ritmo di un batterista col mal di denti. Non so perché non potevo fermarmi. Un Dio sadico mi aveva messo nelle mani del mal di denti e lui, tramite me lo sparava fuori e io, tramite lui, potevo entrare in uno spazio psicadelico di mille suoni e colori che affogano insieme in uno stagno di puzzole avvinghiate e sanguinanti.
A un certo punto avevo voglia di lavarmi i denti per sentire un po’ d’acqua e menta che mi dessero voglia di pisciare carne e sangue insieme ai denti del pazzo. Recitai un mantra buddista e dopo un po’ il batterista pazzo evaporò insieme alla batteria e alla soffitta e rimasi a ballare in una strada piena di gente.
Scaccola pelosa
Un canto peloso si erge dalla lirica delle mutande e scopre avvenenti ore che passano senza lasciare tracce nel tempo.
Una bella castana passeggia per le strade dello spazio e urina allegramente tra una nave e l’altra sollevatasi la gonna e inquinato il mare un po’ di più mentre i pesci aspirano liquidi genitali. Ella parla con un pallone aerostatico che scende pelosamente dal gatto spaziale satollo di piramidi egizie e di bruschette al basilico.
Piove. E l’aria si solleva. E la pioggia si distende sollevata da un materasso rock.
I battelli applaudono una scena fantozziana e si sbattono le vele, domani chatteranno su facebook ringraziando i polipi marinati delle loro cortesi barzellette sporche d’inchiostro simpatico.
Dodici pulegge si dilettano con pulzelle di altri tempi e inondano di bianca panna montata le montagne aderenti il sole caduco e cadente.
Divertiamoci ad impazzire, lentamente degustiamo questo piatto fusion dove il cervello fonde l’atmosfera lounge di mille zanzariere
Dottore è grave?
No si figuri, un cancrino capita a tutti. Uno starnuto e via.
Ah beh si beh. Ah beh, sì beh.
E avanti un altro cretino
Ho riscaldato il mio cervello al microonde
Scoppio nell’ambito di un fantasma. Mi lascio andare alla follia che alberga sempre più padrona della mia mente e lo spazio mi sembra un grande vallata di fumo e alcol. Un grande buco dove il niente diventa e basta. M’abbandono alla lanterna dell’amore che scivola dolcemente su uno zucchero a velo di alito positivo. Un ambiente diverso. Fatto di gruppi elettrogeni e allucinogeni. Dove il sonno non alberga più. La notte è un immenso soffitto bianco mentre faccio l’amore con una chitarra elettrica e fondo i miei testicoli nell’assolo di una canzone che spacca i timpani ridondando come una campana a morto. La televisione continua a trasmettere mentre chiudo gli occhi e il telecomando cade dalla mia mano sinistra. Gli occhi finalmente si chiudono sul sipario dello sbarco di Normandia. Che ha trasformato un’Europa nel cinquantaduesimo stato degli Stati Uniti. Vedo un dentista che opera una bambina. Vedo il sangue schizzargli negli occhi. Vedo Che il sangue è il suo. Vedo che il dentista muore e la bambina scende e se ne va.
E il silenzio scende sulla mia notte insonne.
Gruppi di mosche s’insinuano intorno alla mia cena scaldata al microonde.
Onde radio si mescolano alle pustole d’alloro che circondano il pazzo che si aggira nella mia stanza mentre dormo e mi guarda e mi osserva e mi seziona come se mi conoscesse, come se fosse una parte di me.
Mi bacia e mi risveglio. M’illumino e vedo. Sciami di luci in una’arcobaleno di suoni color della cenere. Insieme ripuliamo i morti del cimitero. Finché la morte non viene a seppellire il bambino e la trinità divina.
Buon Natale toilette mia cara. Che ogni mattino accogli il putrido fiele che alberga il corpo di un pazzo.
Buon Natale a te, orifizio da cui scende un’ira molle color cenere.
Buon Natale a tutti voi, pazzi. Che sciogliete una mela nella bocca del demonio e fate sesso con un’aranciata di birra semovente.
Mi agito e scopro che il mio sonno altro non è che un insieme d’incubi e sogni agitati dalle note sgangherate di una sedia elettrica. Mi chiudo e mi rinchiudo nel caldo abbraccio delle mie lacrime che pensano a una seconda vita cullate dall’atmosfera di Marte e Venere.
Esco da una passerella fatta di angeli e plano su nuvole di smog al contrario e passo da una nuvola all’altra con le liane come tarzan e urlo un urlo agghiacciante che spezza il mio cuore e mi fa passare dal sonno alla morte.
E mentre osservo il mio funerale penso e ricordo a un tempo in chi non dormivo e sognavo di morire. E sciami di amare mosche lacrimavano in mia compagnia e di una toilette natalizia, forse un regalo di un parente pazzo.
Ora sento che la mia pazzia ride e piange e ama e lotta e siede alla destra del padre e della madre. Prego che la nonna si masturbi sul ventre di una balena rotta.
Solo così troveremo la pace nei sensi di una chitarra rock.
Nell’antro d’un Dio.
Una pietra galattica si spreme di invidia e beve la limonata acida della verità. Mi chiedo se capirà il profondo senso dello scherzo, in effetti è l’unica cosa che dà senso a quella condanna a morte che è la vita. Insieme all’illusione, s’intende. Cammino lento e piango per assaporare almeno un’emozione vera, e penso che forse dovrei farla finita. C’è un ponte qui vicino, usato spesso per buttarsi giù. Mi sa che prima o poi…
Mentro cammino nello spazio, mi fermo a guardare una boutique di umori in vendita, quello che costa meno è la “totale assenza di emozioni”, la “gioia di vivere” invece ha talmente tanti zeri da diventare antipatica, poi c’è la “gioia di morire” nella quale ci sono nove zeri in più, chissà perché, magari perché quando uno è vecchio deve decidere un po’ come buttare i soldi risparmiati in una vita. Mi stupisce il “senso dell’ironia” che è scontato del 50%, già, in fondo, a che serve? Decido di entrare e chiedo alla commessa se posso provarne qualcuno. Lei mi guarda dall’alto al basso e, tirando gli angoli della bocca verso le orecchie, mi fa “Tanto non se ne può permettere neanche mezzo” “No e nemmeno lei” poi le faccio “Ma ce l’avete ‘il senso della vita’?” “No, non è un umore” “Ma si starebbe meglio, no?” mi degna di uno sguardo che potresti dare a un barbone che t’invita a cena.
Me ne vado e ritorno tra i miei sogni assaporando il piacere gratuito dell’illusione mentre mi strofino il naso con l’unguento di “violenza sanguinaria” che ho grattato alla commessa stronza mentre era china sullo smartphone per far la finta di non cagarmi.
Dieci giorni dopo.
Non mi sono mai divertito tanto nella mia vita. Ho fatto tutto l’immaginabile e l’inimmaginabile e lo rifarei ancora e ancora e ancora. Un’ebbrezza più alcolica del suicidio.
La prima vittima fu la commessa a cui ho incendiato il negozio, con lei dentro ovviamente. Poi ho scoperto che era l’unico negozio del genere in tutto l’universo e che ero l’unico ad avere ancora un po’ di prodotto che ho messo all’asta e sono diventato ricco. Così mi sono potuto comprare l’impunità per i prossimi secoli dei secoli.
Dio (padre) sarebbe orgoglioso di me, sono stato meglio dei suoi flagelli e dei suoi stermini di massa. Anche Belzebù mi ha fatto i complimenti a Porta a Porta. Ed ora penso e ascolto musica. E faccio a gara con i piraña a chi sbrana più velocemente il corpo del solito esistenzialista che s’è buttato dal ponte. Forse non pensava di morire a pezzettini piccoli piccoli, sperava di affogare prima. È uno scherzetto che ho fatto io a mettere piraña. È perché così, ‘sti stronzi di suicidi assaporano meglio quanto brucia quello che hanno lasciato, imparano cosa stanno facendo. Ma troppo tardi per tornare indietro.
Mi sento un messia. Sì perché m’è rimasto ancora un po’ di “delirio d’onnipotenza” che ho arraffato mentre il negozio prendeva fuoco davanti alla commessa legata alla sedia di cui ho ovviamente gustato lo sguardo. Ma non sono ancora soddisfatto. Tutto l’universo deve poter assaporare il senso della vita. E ho deciso che riprodurrò e spargerò questi prodotti in tutto il cosmo. È più bello fare le cose insieme.
In fondo io amo l’umanità.
Bisogna fare qualcosa per gli altri e non restare rinchiusi nel proprio egoismo. Redimere ed evangelizzare e spargere il seme del verbo del profeta. Nei secoli dei secoli.