Strutti e ristrutti in cerca d’autore


Una bomba di cenere mi è cara in questa solitudine color arlecchino. Simpatico Arlecchino, una testa che gira e un bottone premuto sull’ombelico del mondo. Tu credi che avesse sale in zucca? Sì, perché un asfalto ben oliato richiede un condimento sano e nutriente in linea con i rendimenti finanziari. Dice lo sciamano. Saggio quanto il petrolio santo. E il vino. Dillo che anche tu alzi il gomito per sentirti uomo. È per questo che credo che alla fine soccomberai davanti alla spada di una seggiovia ipergarantista.
Mi piego davanti al falco cadente in una valle di lacrime ossigenate. Un velo di strutto migliora il sapore della povertà e il ricco stride davanti alla paura di una rivoluzione rotatoria. Ti mando un abbraccio lettore della malora affinché i tuoi baci possano accarezzare il suono di un bastardo nato nella selva amazzonica. Che dici? Possiamo sturarci il naso nascosti dallo schermo di un computer? O masturbarci in videoconferenza in sessione plenaria del parlamento europeo? Certo perché siamo pompieri della democrazia. Strutti distrutti da illusione, speranza ed evasione accompagnate da farina, festa e frusta.
L’incompetenza della democrazia legittima un’oligarchia di colabrodo missilistico che accantona i polli scatenati di un orrido occhio guercio che ti guarda da una webcam dicendoti che lo fa per prevenire i tuoi infarti. Un malato è una merce che si compra e che si vende diceva Mitterrand senza un minimo di rispetto per la menzogna di Stato e per i suoi milioni di elettori sani. Liberati dalla pastasciutta e passa alla pasta bagnata. Uccidi il padre, il figlio e lo Spirito Santo affinché la pace regni ultraterrena e ultras della curva sud.
Una nuova locanda apre nel Texas della valle del silicone.
Vero, ma falso

Parto-risco tra i fiori. Un unguento si affaccia


Una saponetta bagnata usata come proiettile di rana viscido e salivare lecca i miei timpani mentre sento una spada lacerare le mie pene d’amore fecale. Penso e parto-risco un tempio di eunuchi da frutta appassita e il drago dell’orologio si pulisce i denti con lo stuzzicadenti.
Un sapore che sa di fragola bagnata e lucida. Un fiore appassito ma selvaggio che cerca una regola del gioco per potersi installare nel sistema di videogiochi di un adolescente annoiato ma superbo. E la vita scorre nel suo tempo e nella sua banana. Un negozio di ferramente si dimentica di preparare la torta di compleanno per le vittime di Marzabotto che cantano a squarciagola dall’aldilà celebrando un passero di birra oltre i limiti del sentiero tracciato dall’umana gente.
Sento un colpo di frusta su un corpo straziato in fondo al vicolo cieco. Il corpo di un umanoide cieco che incontro tutte le mattine alla macchina del caffè dell’ufficio dove passo la pluralità delle ore dello spazio tempo allocato alla mia persona da un demiurgo disoccupato in cerca di vanagloria intessuta di melassa al carciofo.
Un aereo cade sul palazzo, un aereo pieno di sterco di bue di Corinto in viaggio per mettere il bollino del made in Italy prima di essere venduto sotto forma di yoghurt alla pesca. Una giornata di lutto viene dichiarata rutto nazionale e i bambini possono bruciare le scuole e gli adulti pisciare sugli amministratori delegati, per far sì che il debito venga condonato in un giubileo hippy davanti alla platea di woodstock. Un inno di sangue, di rosso liquido che cola dal sacrificio inutile dell’umanità in una macchina fuori controllo che perde pezzi di titoli del tesoro dei pirati della droga afgana.
Carlo si disperde in una nuvola di fumo per dimenticare se stesso e il seno che lo allatto’ come un gatto che miagola alla luce della luna.
Filippo discende dal cielo resurrendo per portare la parola divina tra umani ingabbiati dall’ignoranza. A dire che in fondo al tunnel c’è luce, quella mai vista, ma sempre raccontata.
E che ci amiamo nel sangue e nella guerra.
Perché l’amore è una patata che si coglie con una mano che sanguina e la si mangia con la buccia e quello che fa, fa. Anche se fa ridere.
Anche se non fa ridere.
Anche se fa morire dal ridere.

Rutto


Un calcolo nodale è il grande dubbio che mi stura la mente. Ora se vado a ramengo mi riempio il cetriolo di sperma? La risposta sta nei calamari congelati. E nel catarro che cola in continuazione dal vetro di un casco marziano. M’interrogo sui flussi e riflussi del mio cervello e scopro che anche lui s’interroga ma non sa su cosa esattamente. Perché se si sente triste per un rigurgito di seppia, allora dovrebbe essere anche abbastanza sveglio da grugnire in presenza del gerarca maximo: un cane chihuahua che ride a crepapelle. Mi inserisco nello smog cittadino ed erutto per le strade della grande Mela. Erutto un rutto di dimensioni dimensionali. Grande, cioè. Mi rotolo per le strade della grande Banana e riconsidero lo stato delle mie emozioni. Una blu e una nera. Un arcobaleno incomprensibile di paure e risate a piena pancia mentre il catarro scende come un Niagara inarrestabile.
Il vento. Soffia. E stride conto le ali di un uccello. Un rumore di ruggine ispira una vecchia centenaria alla masturbazione per l’ultima volta nella sua vita.
Un lupo canta una melodia che ricorda gli anni d’infanzia a un operaio metalmeccanico che decide d’impiccarsi con un fil di spada.