Libero


Veglio sul principe azzurro e mi ficco in ammollo severando una pigna colada di traverso al collo di un dattero butterato. In realtà tutto questo per dire che il giorno prima del fine settimana, ti ricorda la schiavitù perché sta per finire e per un paio di giorni sarai umano.
Poi tornerai soldato, robot, ingranaggio e poi altri due giorni di umanità, poi anche un po’ in ferie e poi tieni duro così per qualche decennio.
Se non ti va sei libero di morire di fame e non riprodurti. Oppure di riprodurti e morire di fame. O di riprodurti e far morire tutti di fame. Insomma sei un uomo libero perché puoi scegliere. Ma non solo.
Sei anche libero di diventare sempre più povero per costringere altri a diventare sempre più ricchi.
E questa è la cosa più bella, più generosa, più cristiana.
E di questo bisogna essere contenti. Contenti di dare, col sacrificio di sé, il meglio della vita ad altri. Perdonandoli, come Cristo, perché non sanno quello che fanno. Non sanno quanto è bello dare senza aspettarsi di ricevere altro che un calcio in culo e qualche psicofarmaco che ti permetta di robotizzarti meglio.
Come usavano a Cuba al tempo degli zombie. Schiavi trattati con droghe che annullavano la loro volontà. In fondo la storia si ripete.
Sempre diversa, sempre uguale, perché come dice qualcuno “in fondo è sempre la nostra storia”.
E allora andiamo a casa, ma prima fermiamoci a ubriacarci con uno Spritz e fumare un po’ di nicotina per uccidere quella disciplina robotica e ridiventare un po’ quell’animale ingabbiato. Poi andiamo a casa, ma prima andiamo a puttane per scendere giù nel fondo dell’oceano animale e ritrovare le nostre pinne che ci permettano di nuotare in un’umanità che ci fa quasi più paura della grande macchina ardente. Che ci porterà un giorno a conoscere altre specie aliene. Chissà se a loro piacerà la coca cola? Chissà se anche loro aspettano il fine settimana per diventare un po’ più alieni? Chissà se anche loro hanno le puttane. E i gay. E i terroristi islamici. E la mafia. Ma mettiamo che non abbiano o non gli piaccia la pizza. Come la mettiamo?
Che ci ficchiamo in ammollo un sardo in scatola e civettiamo nei pantaloni col bisturi in mano e ci grattiamo contro una transenna mentre il cibo elettronico squilla nelle nostre tasche per avvisarci che altri zombie ci stanno raggiungendo per diventare esseri umani, ma solo per poco e il meno possibile, altrimenti il lunedì finisce che è da suicidio e allora ci prenderemo un altro prozac.

Aglio, prezzemolo e…cipolla.


In una giornata di sole, Irina passeggiava col marito passeggiava per le vie del centro di Bruxelles, col marito a forma di pesce. Vagando senza meta si ritrovarono al Musée de Cinema a guardare un film a base di caramelle alla pesca vestite a festa.
Il marito le allungò una mano sulla coscia e avanzò al centro, ma lei gli rimise la mano a posto con un certo disgusto.
E videro Il film fino alla fine come due bambini che mangiano pop corn.
Il marito si fece avanti per baciarla a bocca semi aperta, ma lei si ritrasse. “Togli le tue manacce dal culo” e se ne andò via stizzita.
A casa nessuno dei due parlò e, in cucina sapevano entrambi che erano condannati a ritrovarsi nel letto.
“Perché mai due persone che non si sono parlate tutto il giorno, si devono ritrovare a dormire insieme. Voglio dire io volevo dormire insieme a qualcuno se veramente non potevo staccarmi da lui. Fondermi a lui, questo era, è la poesia del dormire insieme, non come due stoccafissi” pensava mentre tagliava le cipolle per piangere senza dare spiegazioni. False. “Siamo falsi, ecco la verità. Dieci anni e oramai siamo diventati due cartucce vuote che non hanno più polvere da sparo. Involucri. Scatole da scarpe vuoti buttati in un magazzino”.
Fu lì che le lacrime divennero talmente intense da non farle vedere più tra la cipolla e il dito e si ritrovò col dito sotto il rubinetto e un cerotto e con la voglia di ficcare il resto del coltello nella pancia di lui.
Ora che se n’era andato di sopra poteva piangere tranquillamente e odiare e uccidere.
Le emozioni si impadronirono di lei. Le emozioni, una voce dentro le disse “Obbedisci e ti farò stare bene, ma se non obbedisci non ti darò pace”. Ripensò al film, alle caramelle, ai petali di rosa che si spargevano sullo schermo di cui una volta lui le aveva ricoperto il letto e avevano fatto l’amore, veramente. Anche ora avrebbero fatto l’amore, ma il rosso non sarebbe stato quello dei petali di rosa. “Grazie, voce, m’hai dato un’idea magnifica, ti amo”. Raggiunse il marito a letto. La stanza era buia.
Sollevò le coperte. Di lino, color pesca con alcuni disegni di fantasia, comprate in India.
Lei si era innamorata della loro semplicità e della morbidezza, lui le aveva sempre odiate.
A lei faceva piacere che lui le odiasse. E ci dormisse dentro.
“Fingi di dormire, ora farò finta di svegliarti”.
Senza tanti complimenti gli prese in bocca quel piccolo verme legnoso che sapeva di piscio rancido. “Sento odore di cipolla” fece lui, “Sarà che l’ho appena tagliata”, no era il coltello che lei stringeva nella mano sinistra, mentre con la destra seguiva i movimenti avanti e indietro della bocca e gli accarezzava i testicoli “È il mio primo pompino alla cipolla” fece lui.
Non si parla con la bocca piena, pensò Irina, perché sentiva qualcosa nel tono del marito che la faceva contrarre lo stomaco di nausea.
Strinse l’impugnatura del coltello da macellaio e andò avanti.
Ci fu un lungo silenzio e lottò contro la voglia di staccarlo a morsi, mentre con la mano continuava ad accarezzargli le palle.
Sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe assaporato il suo liquido caldo e perciò non le dispiaceva tanto, anzi, mentre lo ingoiava, si sentiva come con la coscienza a posto.
Le aveva sempre detto che desiderava morire scopando. Beh, più di così non poteva fare, in fondo meglio che niente. E poi non gliene faceva uno da almeno sei mesi.
Ora.
Dopo che gli aveva succhiato fino all’ultima goccia e che il verme era ridiventato molle come una patatina piena d’olio.
Ora.
Rialzò la schiena e gli passò la mano destra sullo stomaco peloso e prominente di chi ha già mangiato abbastanza in questa vita ed è ora che restituisca tutto alla terra.
Ora.
La voce la comandava come un soldato “Stringi il pugno, solleva il braccio, abbassa il braccio sul bersaglio con tutta la forza, con tutto l’odio, con tutta la disperazione”.
“Domani è S. Valentino e …” Irina si fermò a due millimetri dall’ombelico.
S. Valentino? Non glien’è mai fregato niente di S. Valentino, cosa vuol dire?
“E…?” fece lei?
“E ho prenotato un viaggio per noi due”,
“Un viaggio? Io e te?”
“Beh, sì, non ti va?”
“D…dove?”
“A Procida”,
A Procida s’erano conosciuti sotto un temporale in una grotta dove s’erano rifugiati e avevano parlato anche dopo che il temporale era finito
“Perché?”
“Perché ti amo ed è da un po’ che mi pare che le cose vadano così così, e magari lì abbiamo voglia di parlare di nuovo, chissà, magari durante un altro temporale”
“Uccidi o non ti darò pace” le diceva la voce, ma le emozioni non erano più quelle di prima, il braccio era già appoggiato al materasso, e le lenzuola di lino color pesca le sembrarono d’un tratto troppo belle per essere inondate di sangue.
Magari con altre lenzuola, un’altra volta.