Il gallo canta due volte (e poi rutta)


Mi rachitizzo in una rucola acida di saltimbanchi col palinsesto fuso da orecchioni vampireschi e corna fritte.
Antonia si sforuncola un abito da notte di lino pregiato e condisce la pasta di vermi froci in zuppa di lenticchie lesbiche che sognano di essere un cane pieno di pulci che si masturba davanti a uno specchio deformante. In un’orgia di pleniluni Antonia sfoggia la conturbante pelosa alla festa della civiltà che si tiene due volte l’anno alla faccia della crisi dove il vello d’oro celebra la propria sensualità davanti a una folla affamata.
Urla di avvoltoi piangono gli sfarzi dei tempi andati e rivolgono alla Madonna la preghiera di una dolce gabbana che si satolla la vagina del fuoco dell’inferno e bacia pudicamente la bocca di una vergine sifilitica.
Bravi. Complimenti vivissimi al coro di pavoni sconsiderati e allegri che raccolgono voti per contribuire a spargere la fame nel mondo e ad imbandire la propria mensa alla quale accogliere i poveri a Natale.
Antonia alleva la prole in un pollaio di sterco di bue e gioca al gratta e vinci. E canta.

Parigi ma belle


Una lirica insegna a non gareggiare in un mondo di sensualità apparente. Ridi pazzo. Ridi sberla in faccia. Piangi di lacrime calde e salate.
In un deserto di granchi e conchiglie il verme butterato beve una birra alla spina senza pensare che questa sarà l’ultima della sua vita prima di venir calpestato da una jeep di zoo safari.
Afferro il sonno con una mano e il vermiglio colore della poesia con l’altra e me li spalmo sul cuoio capelluto in una mistica unione col divino piacere di un pozzo di sale e salsedine che sa di vongole al pomodoro.
Il muro dell’ufficio si appanna e appaiono animali invertebrati alla ricerca di un flusso di tamburi che battono il ritmo del futuro con addosso una maglia della Ferrari. Il sonno prende possesso delle unghie delle mie mani e proietta ostie benedette sul sacrato di una chiesa consacrata dal papa Merlino durante la Messa di Natale.
L’ultimo Natale dell’umanità.
Poi l’ultimo viaggio nello spazio.
Là dove zanzare giganti attaccano iosfere per saccheggiare le miniere di anime latranti che vogliono abbronzarsi in una città sospesa nella mente di un nano che lavora come presidente degli Stati Rincoglioniti della Pangeria.
I duroni girano e rigirano su se stessi fino a formare centri di gravità permanenti e rallentare il tempo in diverse città dell’universo roso dalla collera di un gatto delle nevi che non trova cibo da una settimana. E azzanna un orso bruno nelle sue stesse condizioni. Se morirà che sia combattendo.

Pane e vino


Dolce miele che scendi. Dalla finestra di una zucca gigante fotografo le tue gocce memorabili. Una pioggia di sensualità che vede Filomena sognante e appoggiata col gomito alla finestra. Capelli castani, corti con i boccoli e occhi grandi e sognanti che occupano un terzo del viso lasciando uno spaziettino al naso e un posto decente alla bocca per un bel sorriso di denti bianchi come la sua verginità. Seduta a cucire pensava a chi invitare per il pranzo di domani tra cui Roberto Ascagni il cugino di una duchessa che aveva incontrato un mese prima e con cui era già uscita diverse volte. Mandandolo regolarmente in bianco e più lo mandava in bianco più lui insisteva. Non le ci voleva un gran sforzo per dargli picche tutte le volte. Simpatico, ma più basso di lei, e con una testa ovale occhi piccoli e un riporto a forma di Girella Motta. Vestiva sempre di nero con cravatta nera su camicia bianca e parlava troppo forbito per i suoi gusti, anche se lei finiva sempre per ridere più di lui che delle sue battute. L’avrebbe invitato, e poi chi vivrà vedrà. Scese in giardino a raccogliere la pentola con il miele che era caduto dal cielo. Sì perché da quelle parti il miele pioveva sul serio. Ed era un casino perché quando spuntava il sole che verso mezzogiorno diventava cocente, finiva per caramellizzare lo zucchero e quindi tutta la casa e i tetti e le bestie in giardino e pure le piante. Insomma una tragedia.

To be continued (forse).