Ho sognato il naso di Cleopatra


Onestamente era spaventoso. Ma me la sono trombata lo stesso. Sogni che non ti lasciano andare, in una notte di morte senza stelle. Sogni che t’inseguono nel riposo più profondo ed evitano di farti vivere nella menzogna. Sogni che ti ricordano che sei un essere umano e non un robot. Sogni che ti fanno star male perché stai male. Sogni che sono i tuoi migliori amici perché non fanno finta di sorriderti mentre le pecore vengono scuoiate senza pietà e smettono di sognare e tu sei una pecora ma perdi i pezzi poco a poco.
Sogni che ti ricordano che forse, forse, anche tu sei una proiezione olografica di qualcuno o qualcosa o qualche punto interrogativo perso nelle varie dimensioni spaziali che giocano a nascondino con le proprie creature che ora festeggiano il Natale e festeggiano il sogno e creano l’illusione della felicità che arriva in slitta a portare felicità a buon mercato. Mica tanto a buon mercato, anzi. Pagata salata. E l’illusione che domani sarà meglio di oggi e quando lo sarà allora sarà troppo tardi.
Ho sognato il seno di Cleopatra e quello era spettacolare. Per quello non ho fatto caso al naso. Non è che il naso lo succhi o lo accarezzi. Quindi non te ne importa niente.
E l’ho baciata, la lingua di Cleopatra ed è dolce come il miele che è dolce come un sogno che poteva essere così dolce come lo sono le cose che non esistono ma per quello mi danno le emozioni più belle e in fondo è un’emozione che ci fa stringere le lacrime che soccorrono un carro di mele rovesciate in cima a un camino lento.
Ho sognato il Natale.
E mi sono svegliato urlando

Topo


Una lunga striscia di carne percorrevo disilluso e assonnato sotto un sole cocente che mi portava verso nuovi crimini, nuovi deliri contro l’umanità.

Tiro lo sciacquone e seppellisco pelli scuoiate da cuori palpitanti di tori scatenati. Gira la lanterna dell’amore mentre un uomo solitario esce a passeggio in un circolo di nebbia che lo inghiotte e sparisce freddo come un’acciuga.

Mentre i suoi scarponi calpestano tappeti di carne e s’imbrattano di sangue come fosse fango dopo la pioggia. Una nebbia polverosa che entra nei polmoni e si deposita nei pori ricoprendoli di fuliggine melmosa.

Un vecchio cammina verso la morte. Verso la fine della nebbia, dove soltanto topi stanno in fila ad aspettarlo. Tributandogli l’ultimo saluto, con rispetto. Per l’unico umano capace di parlare con loro.

Prima di mangiarlo pezzo a pezzo per appropriarsi della sua carne e del suo potere. Per forse poter combattere gli umani. Un’antica leggenda prende vita in cui un pianeta sarà comandato da topi.