Cara Ninina morire d’inverno non è un gran che. Una misura di tè che non calza al mio piede. Uno zoccolo duro d’elefante che struscia la vagina contro un albero del tè. Per sacralizzare una cerimonia che dista mille chilometri di asia e inferno. Una castagna circoncisa mi sposta da una parete all’altra per assaporare la ghisa che pende dalle mie labbra sensuali di pantegana suadente. Così voglio essere ricordata ai posteri, come un’ardua sentenza. Forse sbaglio?
Un protocollo di pagine di frusta scende dal cielo con la manna degli ebrei e rotola verso fiumi d’inchiostro per mostrare la retta via al dio della pagina bianca. Che in fondo non si scompone e mostra il fianco a diverse interpretazioni. Una coccinella si innamora di un bue e spara fuori il minitauro, un toro con le ali di farfalla, ma che quando si fa una sega fa piovere per una settimana. La chiamano “manna dal cielo” e se la mangiano tutti quando fanno un crociera nel mar rosso.
Un atavico senso della paura pervade la schiena di un topo di appartamento finché non si trova faccia a faccia con uno squalo tigre che gli chiede una penna per disegnarsi un paio di baffi come dio comanda. È così che diventano amici per le palle e partoriscono conigli di serra bonsai che ridono a ogni barzelletta che gli racconta berlusconi. Una tragedia greca si abbatte su questo mare di salmoni che piangono dalla gioia di un impatto con la topa morta di salsa ketchup e pantegane puttane.
Ma in fondo quale può essere il trend ascendente di un morto?