Un pan di spugna si ginoflette davanti a Gino e succhia la linfa di una vita di pongo asciutto tra favole e prugne, gabinetti ed effluvi di goduria e fantasia. Ma, in fondo alla serpe cosa vogliamo cucire? Decine e decine di decine? No, perché non sarebbe corretto senza fare bene i conti della spesa. Una spesa lunga centinaia di anni luce, ma spenta. Altrimenti non si vedrebbe poi così bene. Che poi, anche così, non è che sia una gran gnocca, ma comunque.
Proprio volendo anche su un’auto il rombo di una carrozza si schiatterebbe nel canale di una giungla ripiena di mascarpone, ma anche così non ci se ne esce, anche perché la giungla è un bosco un po’ vivace e piena di formiche bianche, rosse e verdi. E quelle verdi ti fanno un culo così. Ma dal ridere eh? Che poi altrimenti mica si piscierebbero addosso. Loro e quegli elefanti dei loro genitori. Che quando rodono una quercia si chiedono se andare in vespa non li farebbe andare al cimitero più velocemente. Come una mente che si legge nel cervello. Voglio dire, mica ci vorrà molto a una mente per rodersi il cervello, no? E quindi, se anche fosse ? Avresti qualcosa da ridirci?
Io no e comunque non me ne frega perché l’unica cosa importante nella vita è uno che osa. Cosa, non importa gran che, ma osa, come una virgola che si sposta dalla parola , e sempre un po’ di più , e osano anche gli altri , dopo, anche i punti che si mettono a cavallo delle scoregge e delle virgole e le montano ; e le scopano nella posizione del missionario ;;; finché non saltano fuori da una finestra di ginestre e gli fanno una serenata di quelle vietate dalla SIAE.
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Il bagno del toporagno
Nella tundra di un semi pazzo urlante mi libero della vulva capillare e rintuzzo gli attacchi di un sedicente gigolo. Cotasti mio caro, cotasti e calmati da quella bava altisonante che fruga negli artigli di un corvo le tempeste di colla che si attaccano alle mascelle di un conte della montagna incantata per fare magie ricurvo su un ramo secco nella notte dei tempi. Mi masturbo nella segola di una pianta argentata ricca di gemme e di escrementi di toporagno con l’alito fetido. Un rombo di aeroplano stellare distrugge le emozioni di un orgasmo a cinque stelle per portare in parlamento un barboncino seguito da mille sgombri.
È così che fumo una sigaretta di cavolfiore: per immaginarmi la protuberanza di un bosone sanguinario in mezzo a genti in mezzo al traffico che pensa a come fare sesso con la diga di un frutto di bosco balsamico in padella. È così che ritiro l’arrosto dal forno. Con barbabietole ridenti e giocose che gli danzano intorno per sedurlo e canzonarlo. Il salvagente di un popolo non si misura in monete di bisonte polare. Ma con la luce degli occhi che sprizzano sperma in mezzo alla folla vetusta.
Ecco come fare la rivoluzione. Basta che la non violenza diventi una forma di pazzia e liberi le corde del cemento armato che lega le fronti insieme a una vocale e una consonante. Nel muto silenzio ascoltiamo il suono di Dio in amore. Che ingravida anime di fumo in forno a preghiere che si levano alte e poi cadono tra gridolini soddisfatti.
Una corsa nel tempo
Dodici coccodrilli hanno il batticuore in un rombo di sintetizzatore che ne fa scoppiare uno a turno. Si guardano negli occhi sbarrati ed ecco che ti salta quello lì di fronte. Occhi vitrei senza emozione, oppure no? E ne salta un altro. La mano dello scienziato non ha pietà. Vuole studiare il comportamento. Salta anche il numero quattro e il cinque contemporaneamente. Niente. È frustrato, incazzato nero. Salta il sei. Oramai pigia i bottoni annoiato mentre schizzi di squame lacerate e pezzi di occhi gli piovono dal cielo.
Qualcuno comincia a muoversi. Okkei quello non lo faccio saltare, solo quelli che stanno fermi. Salta il nr sette. E l’otto che ancora non s’è mosso, finché qualcuno capisce e si mette in moto e tutto il gruppo di quattro si mette in moto, ma l’ultimo salta dato che è stato lento. Gli ultimi nuotano anche se non sanno dove andare e salta il numero nove. Gli ultimi tre si fermano e guardano il direzione dello scienziato e s’incamminano verso di lui che pigia il bottone mentre questi hanno cominciato a correre verso di lui e si avvicinano. Lui ha voluto aspettare per vederli saltare vicino, per vedere i loro occhi.
Per capire l’emozione e li ha fotografati. Era quello lo scatto che voleva. La presa di coscienza, la rabbia, la vendetta. Ora poteva provare che i rettili hanno emozioni, primordiali, ma emozioni. Ora pigia il bottone e guarda saltare il numero dieci e gli altri due accelerano. Pigia nervosamente e il numero undici salta. Pigia in fretta stavolta e il numero dodici non salta. Pigia ancora e non salta. Pigia e tiene pigiato e si caga sotto, ma niente. Fa per alzarsi e correre via prima che il numero dodici gli sia addosso e riesce a scansarlo e si mette a correre con questo dietro.
Una scena nella savana in cui un rettile corre dietro a un uomo. Chi si salverà. Io studio questo e voglio vedere chi corre più veloce in questi casi, per quello che il bottone non ha funzionato.
Crampo alle dita
Il trillo azzurro di una vacca che si muove con fatica, zoppa e guercia, mi solleticano l’intestino e ruoto su me stesso per chiamare una storia che mi gratti e dopo mi dica bravo. Audino si masturba in volo, mentre pilota un aereo tra Shangai e Hong Kong. Sorride Audino e parla con la hostess che lo guarda pensando se si è ricordata o no il regalo di compleanno di un’amica a Livorno. Una volta finita l’eiaculazione durante un vuoto d’aria Audino riprende i comandi ed evita di schiantarsi mentre i passeggeri stanno urlando canti della resistenza polacca. Il divin bambino s’insinua nella tana di una volpe e la cavalca per ore e giorni. Mentre un orologio scandisce la sequenza delle nuvole che passano io mi domando cosa ci fanno gli aquiloni radunati a coprire il sole di mezzogiorno a forma di rombo blu. Ma gli aquiloni sparano. Pallotole di zucchero e lecca lecca. E tutto finisce in vacca.
Diciamo che una forma di caffè si trasforma in pappa per neonati e il neonato in questione pensi alla risoluzione del problema di fondo della meccanica quantistica, ma muore prima di poterlo rivelare al mondo per una semplice influenza convertita in polmonite e poi ciao. E allora? Dove sarebbero i muri d’acciaio? Gli verrebbe un crampo alle dita? Ma se così fosse allora il pianoforte di mia figlia non suonerebbe più le musiche di Beethoven. E allora mi rifarei con le formule di Einstein. Dov’eravamo? Ah, alle palle del pilota. Che messo su il pilota automatico mette le mani addosso alla hostess che si lascia fare sempre pensando al regalo di compleanno dell’amica. Quando si accorge di quel che sta succedendo è troppo tardi. Questo è il prezzo da pagare per una cattiva memoria. Un pazzo a cavallo ride per il troppo galoppo ma scuote il cervello per ricavarne una zuppa già pronta.