Un bacio a tressette col porto


Un bacio al giorno toglie le braghe di torno e suggerisce un capotondo sporco a una valletta impunita che vuole essere picchiata per eccitarsi. Nuove tecniche di analisi virtuale si affacciano nel mondo del sesso dove la produttività è costante. Nella neve di Natali fruttiferi di emozioni ingessate che vogliono amarsi in un mondo notturno ma alla luce del sole. Aliene speranze di un mondo lontano. Animali ogm che migrano da un tumulo di rocce scoscese vi augurano buon anno e tante lacrime, sangue e rock crocifisso in un tubo in muratura armata. In fondo è per questo che i droni non sognano pecore elettriche. Hanno nostalgia della mamma.
Perifrasi che non aiutano la comprensione del testo di Dio. Morali che fanno seghe ai paradisi fiscali dove giacciono i tesori dei pirati. Un’economia basata sull’armonia di cielo e terra e biscotti al gianduia che solleticano il pisello di un castoro sfigato.
Mi riverso la saliva in un fiume di sangue che cola e sprizza desideri dalla lampada di un genio rammollito. Isidoro mi chiama dal fondo di una pizza alla mozzarella di bufala e mi sfregia un occhio per insegnarmi ad amare il mio nemico e soprattutto il mio amico. “Così taglierai una fetta di prosciutto per l’aria che tira in un concetto sopraffino di feci che piovono dal cielo in burrasca”. Ci baciamo in bocca perché l’amore oltrepassa i confini di un corpo frocio. E ci auguriamo buon natale.

Merluzzi improvvisati


Un sapore acido di giallo limone mi attraversa le vene e parla di Dio a un’Elettra confusa per la morte del padre. Le Erinni danzano in coro e vogliono sangue per placare la loro sete di vendetta in mezzo a tori scatenati. Mi ricordo delle canzoni psicadeliche che ci iniettavamo in vena ai concerti rock. Un rock di passaggio che ha marcato a fuoco mezzo secolo di umanità così  come si marcano i buoi. Truppe di spazzatura che si muove agli ordini di atomi di merda dagli effluvi che fanno cadere i denti di un lupo che cerca il suo cibo in mezzo all’artico.

Nel brodo galattico nuoto in mezzo a grani di uva passa per odorare un circuito di formula uno e piangere solo perché hai cercato di scalare una partita di poker. Vuoi giocare alle mie regole. È un bel gioco. Quando si perde si cambia dimensione. Quando si vince si diventa sempre più simili a minerali. Desideriamo crogiolarci sulla sabbia di una spiaggia di un atollo nel pacifico e amarci senza granchi o meduse. Ma soprattutto in un mappamondo di diamanti che risplende e riflette la nostra saliva orgasmica.

Il fratello di Pinocchio mi parla e mi chiede uno stuzzicadenti in inox. Trovo che dovrebbe radersi ogni tanto che sembra un terrorista islamico. Gli cucio una giacca di pelle di asina e la imbottisco di piume di struzzo e sterco secco di pavone. “È la giacca più impermeabile che abbia mai avuto, grazie” mi fa mangiandosi un biscotto di marijuana insanguinato nella tazza che contiene le gengive di uno che è morto ieri di dissenteria acuta. Pesava centosei chili quando ha smesso di respirare ed è morto sulla tazza del bagno. Solo che ha continuato a defecare e l’hanno trovato solo per il tanfo che emanava il bagno. Una volta nella bara ne pesava quarantasei. “Ciao, alla prossima” mi fa il fratello di Pinocchio e si dimentica lo stuzzicadenti che nel frattempo è diventato d’oro.

 

Venti agitati di un pasto vecchio.


Il minimo comune denominatore della vacca possidente genera una radice cubica un po’ amara che va mangiata col miele di pelo pubico di passero femmina. Ho la voce metallica ed è per questo che suono il rock come una padella smarrita nei transistor di un bidé di marmo blu elettrico.

Chiedo a Gurlo perché sforna i tricipiti insieme ad una torta alla panna preparata da sua nonna quando era un allievo della scuola islamica dei combattenti di Allah. Lui fa “Perché è così che posso mangiare liberamente un po’ di carne di maiale, se no ti fanno fare un clistere di pungiglione d’ape e allora passi un mese a pregare di morire incatenato ad un toro che sprizza sangue e piscio effervescente naturale” “Capisco faccio io, allora meglio essere cristiani così puoi mangiare caccole di vacca senza offendere né dio né Stalin col suo occhio antropomorfo e mangiare un brodo butterato con vaniglia”. Gurlo mi guarda con occhio pescivero si gira verso la scarpata dov’è aggrappata la sua navicella spaziale e si butta spensierato in questa lavatrice che centrifuga letti di spine. “Un coniglio in meno” penso tirandomi fuori una pizza margherita con salsiccia piccante.

Metalomé lavora alla catena di montaggio e grida. Enoch canta inni al Signore e stira le camicie di un cherubino sdentato. Druido pulisce le scarpe al signor Artù di Reggio Calabria. Vogano così i filopanti morenti che tranquillamente si crogiolano in un mare di salsedine croata tra vampiri e balle meteoritiche. Diversi anni or sono i lupi arborescenti si erano spinti all’estremo oriente fino a lievitare e assaporare i venti trasparenti di sirene spazzine ma poi si resero conto della paga da fame che ricevevano in cambio di servizi di prima classe e vendettero i loro servigi ai manicomi criminali coreani.

Fu così che provocarono le prime esplosioni nucleari nella testa dei pazienti, mentre erano seduti sul bidé piccante al sapore di pesce.

Pus di sogliola verginale in calore liquido.


Sigola partoriente di uno sperma inflitto da secoli di barba ispida che si scontra con occhi azzurri che scendono dal cielo. Forma di stelle. E di marzapane. Godi puttana essenza di un’esca torbida e vogliosa. Tradisci la tua anima e mieti vittime di polvere da speranza. Un’anima in pena. Un’anima di panna.
Voglio l’erba voglio. Una farina bianca che si aspira come un palloncino.
Vedo e non vedo. Una foglia rossa di sangue. E di sperma liquido. Evapora in mille pezzi. Davanti al fiume rosa. Di petali cadenti dalle stelle di letame appariscente. A-E-I-O-U.
E ficcano le dita su per il naso.
E I O U.
E Fondono il retto decadente in sordide minchiate. Di roba sparsa in mezzo ad un garage. Martelli pneumatici.
Pneumi e aneurismi sono sdraiati su un pezzo di sciopero. Mano tagliata che disturbi il sonno dei cadaveri. Buoni per la zuppa. Elettroshock che si scioglie come amianto liquido. Un’alchimia inseguo. Una foglia verde rame che si trasformi nel mio oro elegantemente acceso a tavola.
Aristocraticamente. Balla il rock. E impazzisce di tagliatelle in grasso d’oca e sperma di cavallo.
Un cammello insegue una tartaruga e si accoppia con lei.
Una suora esigua si masturba con un righetto e una penna a sfera a forma di croce uncinata.
Una zingara piange sulla pioggia di una finanziaria che decapita persone e miete sanguesu ebrei e zingari.
Zingari ripieni di libertà verde pisello.
Sì, certo, mi ricordo Amir, ricordo che sparavi cannonate ai nemici, da piccolo, ma ora sei grande e ora devi sparare i missili. Ora sei un uomo. Un vero soldato agli ordini del grande Godzilla. Godzilla di guarda.
Godzilla ti vuole. Prendere con sé. E tu obbedisci e lanci i missili di mais e matate. E ridi a crepapelle, mentre coinvolgi seguiti di sciami di zanzare che si muovono come ballerine drogate di sperma liquido e vaginale.
Non pensare. Non uccidere. Abbraccia una monaca fuggente. E fuggitiva.
Schioda la fantasia dalla realtà e trucida le sette capinere.
Assali il sesso di un Dio demiurgo.
E quello di un Dio bestiale che sente di appartenere ad una setta di credenti impazziti.
La tastiera si muove e sa di bomba ad orologeria. Lo sento con la lingua. Lo amo con la milza. Amami amore mio e il mio cuore di mamma si tufferà nel profondo della primavera. In mezzo a stagni liquidi. E danzerà mietendo vittime di realtà multidimensionali che non guardano il satellite dal buco di una serratura ma bensì da una cioccolata a forma di sfera arrugginita. Fu così che finì il mondo, mio caro. Dietro al sole.
I pianeti si mettono il rossetto. E adocchiano il sole dietro una cortina di stalle che sta mangiando il crack per flippare di energia cosmica e soddisfare la propria lussuria plateale. Il tutto davanti ad un pubblico gaudente che applaude e ride. Tira pomodori al sole e si scioglie in un’orgia di tuberi e patate pericolose che esplodono ad una certa ora schizzando il sangue tra piatti di pasta e uccelli del pleistocene.
Un periodo d’oro per il ragù. Fiori esplodono d’amore e tirano le funi tra miseri soldi e attrezzi da lavoro di contadini liquidi. Dosando accuratamente la fonduta al formaggio mio accorgo della difficile missione del decano della spiritualità che accondiscende alla contraddittoria allusione di Platone sulla meritocrazia delle pillole di Aragosta. Liquida. E rock. E tardo. E plop. Un plot che non ruggisce. Una stronza strada di stradivari.
Esco e non esco.
Un piatto di lupini. Liquidi.
Una grande volta storta si riempie di pus.
Al rimpianto di una storia d’amore mi reggo e mi aggrappo ad una liceale in minigonna.

Pop


In una sequenza di lombrichi avvelenati Irona sceglie i propri partner per una eternità di erotismo completamente sciolta in un mare di ceneri tombali. Creta nelle mani di un dio creatore fa e disfa il lungo alimento di granuli di passione arrossita di brufoli che danzano una metallica rock. Granuli di festa esplodono nelle nostre bocche assetate d’amore di carnevale. Una maschera resta distesa dopo il passaggio dei carri da fieno e lentamente si libra nel cielo.
Un aquilone di zucchero filato passa piangendo davanti al negozio di scarpe per bambini urlanti. Il suono gracchia nelle mie orecchie solleticando il timpano come una campana di vetro sorda che uccide i figli e li riduce a briciole di vetro.
Sciarada di pane imbocca il midollo spinale di una zanzara forgiata per resistere nei secoli a pesticidi e pesti bubboniche assetate di petrolchimica.
Aspetta, Cosima, aspetta lenta il passo del cane Lepido e si accolla i lacci delle scarpe con gesti posati e corretti che suonano invisibili a chi non li sa interpretare, come un mimo in calore.
Un urlo di cane si sparge insieme agli spruzzi di ketchup contro le vetrate di mosaici arrostiti alla brace. Carne di capra mescolata a fette di pene in insalata vengono sciolte in una salsa africana al peperoncino e mangiate ingozzandosi.
Canarini silenziosi si accendono una sigaretta prima di mescolare il Cristo con la santa pozzanghera.
Signori e signore vi presento la valigia rossa, raccolta nel campo di patate insieme al ragù della nonna.
Una pioggia diafana che punge le zanzare e provoca una ridarella incontenibile e la dissenteria. La cacca di zanzara è peggio delle punture, ma oramai la frittata ambientale è stata fatta e ora speriamo che non inventino anche le zanzare giganti.
Mi accendo un accendino col fuoco di tante mogli e grilli che cantano musica pop.
“Quante patate raccogli tanti occhi hai liberato dalla prigione” “Cazzo hai fumato?” una risata incontinente si sparge assetata di pomodori verdi fritti alla fermata del treno.

Carne bio


Ventiquattro zanzare mi sono entrate nell’orecchio e ronzano come dannate all’inferno dei cuori macirulenti.

Cerco un nesso permanente tra le stratificazioni di melma che si abbattono nei diaframmi del mio cervello.

Bevo cicuta per suicidare frammenti di vita che s’immergono nello stagno del perdono incrociato.

Fievole si gira e cerca una chitarra per suonare una canzone rock, un inno alla fidanzata che morì maciullata da un intercity in ritardo dopo essercisi buttata volontariamente. Dopo aver cantato una canzone che gli sarebbe valsa un premio e un sacco di soldi si mangia una banana e si chiude in sauna.

Era una bella giornata. Era una giornata. Bella. Bella come? Bella, sai tipo col sole e il cielo azzurro, con gli uccellini che cantano? E bla bla bla? Ecco, una giornata così. Nohoho, senza neve, ma ti pare? Va be’ lo so che può capitare, ma quella volta non è capitato.

Quindi ti dicevo Fievole si affaccia alla finestra e sbadiglia e se ne va a dormire ma prima di addormentarsi si schiaccia una sega in salone davanti alla porta finestra aperta perché sa che la vicina di fronte lo guarda sempre e vuole offrirle un omaggio.

Finirà che un giorno, qualche anno dopo, la vicina lo inviterà da lui, ma solo per fargli mangiare la carne del marito morto e conservato nel congelatore.
Da quando mangia quella carne non si è mai ammalata ed è pure ringiovanita e quindi pensa di fargli piacere. Fatto sta che cade svenuto e poi muore pure lui.
Al che lei non sa più che pesci pigliare e sta per chiamare l’ambulanza poi ci ripensa e lo mette nel congelatore insieme al marito.

X, Y, Z


Una molla sotende cellule impazzite, una moto si schianta contro un muro d’amore. Amebe si trastullano tra i feti di capre e pecore. I monti osservano la scena saggiamente mentre sono traforati da un treno ad alta velocità. Buchi nella luna gridano nomi altisonanti e preghiere rivolte al dio sole mentre un telegrafo trasmette l’ultimo messaggio alla terra.

E i marziani ballano il rock. Finalmente un temporale spazza via tutto. Tutta la neve. Tutte le rocce.Tutte le croste incrostate sulla pelle dei ricci riccioli che circondano le orecchie creole di Batani. Una luce si accende nel suo cervello di adolescente e la porta ad uno stato pre nascita. Nel suono immenso del cuore della madre.

Quel suono un po’ stridulo come la sua voce una volta nata. Quel suono poco sopportabile. Forse per quello che non ha mai sopportato tanto la vita. Vede la vita come un lungo fumo lacrimogeno senza maschera antigas. E davanti allo specchio le lacrime iniziano a scendere, mentre il suo stomaco vuoto le ricorda che sarà sempre così.

E il suo corpo ben proporzionato e armonico ricoperto di uno strato brillante e vellutato chiamato pelle si striava dei solchi di quelle lacrime che attraversavano il seno nudo. Non sapeva, che quattro anni dopo un fotografo l’avrebbe reso immortale sulle copertine di tutto il mondo. Il suo corpo e quegli occhi verdi che se anche ridono sembrano sempre pieni di lacrime pronte ad esplodere.

Soggetti inconsci si stagliano contro un sipario senza prendere la medicina e costruire una grande autostrada insieme alla geometria che regge il sistema edilizio. Ypsilon si lega alla gamma di incognite di seni e reggiseni mentre suggerisce la risposta giusta ad un interrogato sfigato.

Cimitero rock


Un killer della memoria si sparge come olio su una farfalla araba e a occhi chiusi spira tra le fauci di Odino. Voci di ragazzi implorano il cielo per una rivoluzione silenziosa mentre gli occhi scoppiettano come fuochi artificiali. E il pubblico osanna. Osanna nell’alto del cielo. Un concerto di voci spaccano il fondo di una bottiglia mentre io scoppio a piangere. Il dolore del mondo celebra la propria gloria. Mentre il cuore scoppia di risate allegre e si consola con una palla di chewingum.

Andiamo e vinciamo al suono di una chitarra. Ma andiamo dove? Andiamo e preghiamo una poesia rock.

Evviva Bambi e Babbo Natale.  Fluida energia che scorri dalle mie mani e purifichi la mia anima come acqua benedetta. Un suono d’amore sa di cioccolato.

Rose rosse e cioccolato sono il profumo dell’amore. Un amore rock.

Divino verme che strisci sotto la terra e ti nutri d escrementi putrefatti. Sei il suono silenzioso della natura che lacrima e vive. Tu mangi i morti e vieni mangiato dalle piante che ci nutrono. Senza di te non ci sarei io. Non posso non amarti, anche se mi fai oggettivamente schifo. Ma questo è l’amore. Sangue di lacrime riflesse sull’acqua.

Cimici che scorrono in un pozzo di petrolio che canta un inno nazionale della nazionale di calcio. Forse un giorno potremmo urlare di nuovo Forza Italia.

Al grido di un osanna che ritma una musica tecno io vi saluto vermi della terra che leggete queste divine stronzate e viaggiate con me nei meandri della pazzia.

E ridete piangete e godete e morite e vivete. Nell’immenso gioco di un verme. Col silenzio di un blues balla dentro di noi e ride. Come un pazzo che ci mangia il cervello a uso e consumo del dio dell’infinito. Bevo vino e schiaccio pesci con i piedi.

E mi curo con il ghiaccio dei sensi.

Ed ecco che la luce divina soffoca l’immensità del corno di un rinoceronte alla carica.

Mentre lo guardo mi domando come mai i programmi televisivi della fine del mondo sono finiti. In fondo, chi non si è addormentato la sera prima con quel dubbio solleticante che chissà, forse forse, non si sa mai, e se fosse vero? E se fosse per domani. Perché un giorno la morte arriverà. Ridendo come una pazza. Ma arriverà. E allora siamo, pazzi. Siamo, quello che siamo. E basta. Solo così potremo fregarla. Diventando più pazzi di lei. E di quel verme che mangia. Che ci mangia. E che ci caga. Escrementi di verme siamo. Merda di verme ritorneremo. Ridendo. Sotto la pioggia di un cimitero.

Benvenuti nel delirio.

Benvenuti nel sospiro di un alito di birra.