Una canzone per Dolly


Cara Tilla ti mando un elogio funebre dal tavolo operatorio di un salice argentato in questa porta dell’inferno che sibilla attentamente alle mie orecchiette al ragù. Un batuffolo di cotone ci unisce in questa sedia che troneggia in un mazzo di rose rosse e vola in una nuvola di pidocchi blu seduti su un mazzo di carte argentine che ballano il tango con barbablù e la Canalis. Preghiamo insieme tra un piatto di sigarette affumicate e il paiolo di due seppie triturate di fresco che si sono fatte operare all’anca da un chirurgo con la scogliosi deformante che ora canta con una giacca rossa e il cranio pelato.
Sai che una cosa bella è guardare i film senza il sonoro mentre tuo marito ti spacca la testa a martellate? Ecco la bestia che si è risvegliata dai meandri dell’Apocalisse e evapora al ricordo del miglio d’oro tra una riunione di dirigenti color dell’acciaio fuso e una colata di burro di cacao che ammanta di cacao fuso le nostre membra semoventi.
Lecco l’odore della vagina di una pentola a pressione distesa sul tavolo dell’ufficio davanti alla finestra che dà sui santi uffizi di Firenze e si droga con le vene di una coca cola e ne parla in un gruppo di alcolisti anonimi.
Mi friggo una pizza e ti mando un saluto col becco e colbacco.