Una fila di scrondi si delinea in una tenaglia di risate epilettiche.
Sono acceso in un sonno profondo e annoiato dalla realtà sensibile. Mi spaventa il turpiloquio dei pidocchi della mia vicina di sedia nella sala d’attesa dell’umanità. Mi chiedo se il peccato originale non sia una app dell’ipad di Dio.
La saliva scivola via tra le gambe della mia sposa che teme di avere un cancrino alle tette e sale l’orgasmo di un sospiro di una cavalla in calore.
Il divano della sala è adibito alla pazzia erotica di una coppia di cadaveri francesi sotterrati dalle loro paure.
Scivola un corno assoluto tra i peli di una negra che respira a ritmo di mantra. Il suono mi porta via e corregge le imperfezioni della mia pelle e sottende all’etica professionale senza gradire la folla bisbetica. Ci si ammazza per pochi spiccioli di saliva nel deserto di una sinfonia d’autore. A forma di pizza quattro stagioni.
Anche la pizza diventerà una app a pagamento.
Ho sete. Di marmo in polvere che disseta la mia anima con un segno di croce uncinata. Cetrioli in minigonna mi osservano succulenti fingendo un interesse per il mio tessuto adiposo piccante. Mi spargo una maionese di tonno e caprioli in una fetta di pane mentre osservo i ceci e le capinere volteggiare nell’aria di un capo tribù.
Vedo olive verdi che preparano la cena e un grasso pazzo che volteggia osteggiando una pancia deforme e che si chiama Enrico Melamamma. Dinovio si sputa addosso una patatina scadente per abbracciare Palmira in un abbraccio penetrante cavalcando struzzi drogati di oppio.
E croci benedicono l’umanità. E noi scendiamo dal cielo. Diamanti volteggiano con gli angeli coperti di melma oleosa che gli sbatte le ali.
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Ammazzando il tempo
Delirando si pescano pezzi di assurdità.
Delirando si posticipa l’assalto alla baraonda di una sciarpa del Milan.
Scendo i gradini dell’inferno in una casamatta di autenticità pura.
Semplicemente mi distendo nella graticola della speranza di una pozzanghera di orsi verniciati di rosso porpora.
Suggello pertanto la nostra dichiarazione d’amore e liscio il velluto grigio dei marinai contorti e targati di nero femmina. Entro nei meandri del teschio di ferro e vedo colori di merluzzo andato a male fosforescenti di una puzza che ricorda un pugno in un occhio, ma all’interno dello stomaco.
Puzza di morte. Si direbbe E un orologio scandisce il tempo restante nel conto alla rovescia di padri e figli che giocano a tressette e imparano a barare nelle regole della vita.
Un destino glorioso prende il sopravvento nelle fasce dell’adolescenza ritmata da tamburi africani che battono su teste di teschi un ritmo primordiale di musica techno che si propaga nella savana deliziosa al gusto di stambecco al forno.
Odo e godo in un’eiaculazione precocemente masturbata che le viscere della terra si lecchino i baffi e facciano godere anche un setaccio di miniere d’oro. Dubito che la forma della filosofia scoppiettante si decida ad andare di corpo in tempi brevi e il culto di pietra si spacca in una risata a crepapelle. Eliminiamo le barbabietole dal corpo e depiliamoci di questi fastidiosi insetti che cantano in coro gli inni al cielo azzurro e violetto.
Enrica guardava uno scontrino fiscale mentre un singulto del volto ne accese una parte e bruciò il supermercato senza volere. Un prurito all’interno dello stomaco. Cercava di grattarsi, ma come si fa. Si massaggiava come una forsennata nel parcheggio del supermercato sotto lo sguardo attonito dei parcheggianti di cui uno si offrì di farle passare il prurito e le tirò un cazzotto che la mandò in apnea per dieci minuti. Ma funzionò.
Lui le offrì una cena e lei all’inizio voleva rifiutare perché non si era depilata ma poi decise che nel frigo non c’era niente e non aveva soldi per il supermercato, quindi accettò. Il lupo mannaro si aggirava in quei luoghi benedetti e durante la cena ne approfitto per sventrare una vetrina e assorbire più carne cotta possibile attraverso i pori e i peli. Mise le fauci al servizio di sua maestà e servì ai tavoli dei due futuri sposi un cuoco al forno con tanto di baffi e li costrinse a mangiarlo tutto.
Il cuoco pesava ottantanove chili, ma senza scheletro, pelle, frattaglie e sangue si trattava giusto di dieci chili di carne pura. Enrica si lamentò del fatto che sapeva di fumo, ma Piergigi decise che gli dava un certo non so che valeva la pena. Anche Lupo Mannaro si sedette e tra un assaggio e l’altro fu proprio quello che se ne mangiò la maggior parte.
Enrica decise che il personaggio era sexy, forse conquistata dal fetore delle ascelle che assomigliava a quel prurito nello stomaco e in breve finì tra le braccia e le fauci di un bestione di due metri e mezzo, ma passò la notte più stupenda della sua breve vita, anche perché non sopravvisse alla devastazione e morì dissanguata in mezzo al parcheggio di un supermercato, bruciato.
Morì in una pozza di sangue blu che il lupo leccò fino all’ultima goccia e le succhiò quello che non uscì da solo. Pesava ottantanove chili, ma senza sangue e scheletro e pelle, alla fine il lupo ne mangiò giusto giusto una decina di chili.
E Dio disse “C…”.
E Dio disse “C…”.
Un occhio vede al di là della porta. La chiave è il segreto.
Un miracolo si compie nella strada in mezzo al deserto e ascende alla quinta dimensione.
Un sogno erotico si stampa nel mio corpo e ne porto i segni di fuoco.
Evito di farmi portare dal vento della passione e l’istinto procede senza ragione.
Felicemente mi siedo della radura, in una sabbia bianca di dune scoscese, dove il mio piede affonda, bruciando. Non c’è spazio nel calore. Il fuoco arde e mi consuma l’ossigeno. Il ritmo mi possiede e batte il mio timpano contro una parete sussurrandogli parole oscene, mentre i pesci mi danzano in testa.
Amami pazzo che balli il tango al suono di un sintetizzatore.
Amami e devastami il suono dell’universo. Balliamo al suono della parola diddio. Il nostro amore si nutre di sesso. Uniamoci al nostro dio in un amplesso solare. E ridiamo con lui in un rapporto a tre, in un atto d’amore divino, mentre ci perdoniamo i nostri peccati di gioventù.
Esco dalla porta dell’universo e la chiudo a chiave dopo aver bevuto la linfa degli dei da cui partorirò il figlio dell’uomo.
Chiedimi, pazzo, se l’amore ha un sesso.
Dimmi, pazzo, se il limbo è uno strato di sabbia rovente.
Dimmi, pazzo, che cazzo sei venuto a fare tra gli uomini.
Uccidimi pazzo, perché così saremo liberi di volare via dalle feci di un angelo con la diarrea.