Delirami o Musa per le branche della tua pelle umana che mi accarezza i brandelli di cervice. Delirami col tuo muso a faccia di pesce per ispirarmi la poesia del cane e vortici di salsa maionese che mi attorniano il cervello tra salti di zenzero e sesso alla bucaiola. Ecco, mi guardo in giro e pretendo la luna, Marte e un paio di galassie, sì, le vorrei ben cotte, grazie, e con due dita di corna di toro macellato di fresco.
Amo il becco di una tortora. E allora perché mi pone domande filosofiche. No preferisco una zirudela raccontata al suono di una fisarmonica e canti di paesi. Mi perdo in ponti e pontefici e cardinali scardinati da catenacci sadomaso. Perché il Vaticano ispira sempre il sadomaso? E il nazismo la pedofilia? No forse il contrario. Ma comunque ciascuno aspira l’aria che gli arriva dal culo degli altri, questo è il punto. E la fonte dell’inquinamento acustico. Troppi sordi e troppi ciechi circolano davanti a semafori indecisi e arbitri corrugati e corrosi. Tutti saltano dall’Expo e si tuffano nella Mosa tutti ciechi e tutti sordi, tutti incoscienti e ignari. Messi da Dante nel circolo degli ignavi. Davanti a Madonne che alloggiano all’Olgettina. Davanti a putti che fanno pipì ammirati dai turisti.
Marcio silenzioso in un mare di mele marce e mi sturo il naso. È così che Galina gode. Un Reggiseno adattato ad Alice nel paese delle meraviglie. Saffo moltiplica poesie per femmine che ridono e piangono. Con aglio alla mano e parmigiano al piede. Che cade insieme a Ulisse da una Cistercense all’altra.
Estraiamo un estratto di sogliole e beviamo il succo del peccato originale. Non sa di mela ma di arancia meccanica. Un sapore di pazzia latente che rende il cervello antisettico, antistaminico e pieno di patate. No, non friggere. Mangia le domande che escono dalla finestra.
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Black block di tungsteno blu
Pongo si trastulla con l’umanità reggendo un reggiseno con il moccolo di una candela asmatica. Il senso di una trasmissione serale dedicata agli scrittori morde il freno di un gallo redentore di fronte al terzo occhio di un Buddha che pratica sci estremo.
Il mallo elicoidale di una passera cinguettante si stacca provocando uragani sulla Sardegna dove i superstiti si guardano in cagnesco mostrando i segni del tempo che passa e gli affligge col collo di una damigiana con la sottana.
Belando e ridendo Iura Estasi si masturba davanti alla statua di una sega per metallo arrugginito e si passa una lima tra le cosce per provocare più attrito a causa dei calli fosforescenti che le fuoriescono dalle ovaie tentacolari che hanno stritolato più di un pene.
Decomito e Gabbanella si intrecciano i loro rituali amorosi per imputridire gioiosamente nel corso di una manifestazione funebre in piazza Navona insieme a due black block omosessuali che praticano il sadomaso spinto per le scale di una scala antincendio
Non oso vituperare una vecchia assassina di orche e balene mentre parla da un peschereccio di gommapiuma e solca gli oceani bevendo l’acqua del mare come fosse coca cola spremuta da una patatina fritta
Il gallo canta sempre troppe volte
Diversamente sexy
Una troika di salami al formaggio s’imbizzarrisce al richiamo di una sottana sfuggente. Un microscopico anello latente s’intrufola nell’orifizio sacro e masturba un ganglio intestinale. Mario s’incendia in un atto di sodomia fecale seduto sul gabinetto del suo monolocale decadente in cui la toilette si trova tra il forno e il frigorifero. Deve girare un film come attore principale. Quando si presenta sul set è eccitatissimo e non vede l’ora di girare la scena di sesso omosessuale. Chiede al regista il massimo del realismo. E ottiene soddisfazione. Solo che l’altro attore non è gay. Mario esce ancora più eccitato e va in bagno e si fa la scopa.
Anais gira in mutande e senza reggiseno per casa. Da una stanza all’altra e semina feromoni tra le formiche che cominciano a girare vorticosamente tra le crepe dei muri di un appartamento bohèmien che dà sul parvis de St Gilles dove circolano struzzi mutanti che fumano sigari elettronici marcati Coca Cola. Un siero di latte viene spruzzato mentre fa l’amore con una coppia di coniugi che cercano giovani studentesse a pagamento per colmare il vuoto matrimoniale.
Un giro dell’oca si appropria delle mie emozioni che girano a velocità stroboscopica lasciando che un maiale su due zampe paghi il conto del ristorante lasciando una mancia miliardaria. Chiamo il racconto della spirale del minotauro ma nessuno risponde e vaneggio per la strada deserta alla ricerca del sacro Graal. Metto il piede nell’unico tombino senza coperchio e scendo nelle immensità degli inferi inseguito da una barzelletta su S. Pietro. Il cavallo non ci sta Flamenco. Il cavallo è sparito Flamenco caro. Il cavallo è morto nell’ombra di un ulivo senza lasciare tracce di sperma ma ha pisciato sulla Croce e ora vuole governare il mondo dall’alto di una cruna dell’ago diversamente abile.
L’azione è nella pallottola
Stasera il sole brilla e la luna taglia un prosciutto con i denti aguzzi di una scopa piatta. Pupattola pupattola che spazzola usi per tagliarti il codino? Un Ciappo papetta cara. Un ciappo a rotazione inversa che suona come una campana a schioppo. Grazie banana per tutta la cirrosi epatica che ci tramandi da secoli di generazioni generazionali. Il fondo è chiuso con un tappo e un cilindro si spegne una sigaretta sul cilindro. Mi spiego? È tramite una fontana che il cavallo di diodi si decide a surfare sulle biciclette. Intanto un pianeta di stronfi non collige in rotta con il mare.
Per quello che il cellulare si rotola a rotoli che spengono le maglie di Giulipittola dentro al reggiseno. In carrozza signori e vedove defunte, prendiamoci per mano e tocchiamo la scatola di polvere sistemata sulle grucce.
Abalé, abale, abalé sporco giacimento sull’imene gloriosa, finché una geometria adiacente la soffoca col cuscino di dinamite.
Chiudo gli occhi e decido di mantenere per me il segreto dell’ingrediente sulfureo. Perché solo peti sono. Solo peti. Mi spengo in una bolla di cloruro di metallo. E prego nel risarcimento di un nobile interramento. Mentre guardo la luna lontano
Un’ostia val bene un pugno in faccia
I nervi saltano come corde di una chitarra di burro al canto di un usignolo epilettico. Ecco che vola nel cielo azzurro. Ecco che muore nel cielo azzurro. Ecco. Esplode. Di birra e vodka.
Un usignolo russo che sfreccia nella metropolitana moscovita.
Prendo in mano la musica di una felicità sconosciuta. Mi metto un naso in ammollo per un minuto quantico.
Fratello sole e sorella luna e puttana. Ti schianti contro un toro in calore senza reggiseno né peli sulla lingua. Senza brandelli di cervello infuocato di traverso a uno steccato dove si appende la biancheria di un ranch attaccato dai coyotes indiani.
Insediati in una discoteca si muovono sinuosamente in gruppi di sciacalli e saltano da una droga all’altra mentre il sole gli cuoce il cervello e la polvere di coca del deserto gli entra dalle narici e va direttamente a contatto con le feci fermentate in gola tra cancri e duodeni a forma di salsiccia.
Erotico blues ti muovi e fai muovere un opossum fumato tra un manga mal digerito da un ranger in cerca di cacciatori di taglie ritagliate da un giornale delle giovani marmotte.
Mi masturbo con un elastico e viaggio nell’universo con la facilità di un orso bianco, mentre l’insonnia mi divora la cervice e l’alcol mi nutre lo spirito santo di un vaso di vino giovane e bello come Penelope che adescava i Proci promettendosi a ciascuno di loro.
Odo la voce di un canale episcopato. Genera calore nella radice delle corna. Arturo si fida. E si butta a capofitto nel nuovo lavoro. Deve ricoprire la Nigeria di sperma di gallo nero. Ha tutta la vita davanti. Può farcela anche facendo attività di controspionaggio pregando Dio che lo benedica in un coro di angeli che non siano gay.
La nuvola
Delirando si pescano pezzi di assurdi romboidali senza fondi di caffé.
Normalmente sbattiamo contro muri di pesce che peschiamo senza farci pescare.
Inga sta passando quella linea che va dal non aver avuto uomini al pensionamento.
La pelle stava lasciandosi cadere in un vuoto pneumatico. L’occhio rotondo di un azzurro sbiadito era mal sostenuto da occhiaie di lacrime antiche. I capelli biondi e tedeschi sembravano le pagliette con le quali si tira a sorte per la più corta.
Il quadro invernale era completato dagli angoli della bocca che is lasciavano cadere verso il basso. Anche il trucco era sbiadito. Mentre la vedevo di profilo davanti a me e dopo di lei le grandi vetrate del quindicesimo piano della sala riunioni. Mentre nuvole temporalesche sfilavano come a una parata militare, espressioni della nera potenza della natura io potevo immaginarmi il peso di un inutile seno che era completamente adagiato su un reggiseno asettico, con pochi fronzoli, messo li’ senza nemmeno più l’intenzione di far vedere un seno più grosso.
Inga era un fantasma fatto persona, diafano, contro cui le nuvole si mischiavano senza percepire che la materia era più densa. Perché in fondo era già una di loro. Una nuvola in riunione. Un’effeminato fantasma senza sesso, se mai lo ha avuto o usato. M’immaginavo una vergine appassita che da giovane doveva essere stata pure carina, ma uno di quei carini senza vita. Quella morte che già adesso si porta intorno come un’aureola sbiadita.
Forse la cosa più facile è quella d’immaginarla nella sua posizione naturale nella bara. Là dove non deve più confrontarsi con la densità della vita