Specchio delle mie brame
Un urlo spacca i codici genetici di una squadra di capi cantiere e azzanna il marcio generale della repubblica della pera matura. Da lì nacque …
Rana, questo è il suo nome, non è stupida, anche la mattina marcia al suono delle trombe sulle uova marce, ma ha una sua intelligenza. Specie quando balla il flamenco con i suoi cento chili, rotondi, rotondi. In sottofondo una voce di donna mi dice che è pronto il pranzo.
Ma Rana mi parla di un deserto di dolore e di una vita di sopravvivenza che le hanno insegnato a fregarsene del dolore e dell’angoscia e fraternizzare con il nemico per usarlo e abusarlo.
Mi parla, Rana, con la sua facciona da pesce palla triste con gli angoli della bocca che piegano all’ingiù. Con i suoi capelli neri e grassi e grossi e corti in quello che normalmente sarebbe un “caschetto”, ma che su di lei sembra la caricatura di un maxi toys.
E sento una voce rotta come un gesso che stride sulla lavagna.
E allora sono io che piango.
Ma senza lacrime.
E allora ci scherzo su e le chiedo come va la sua bambina, sì perché diversamente da me, è anche riuscita ad averne una con qualcuno, ma chi?
In teoria io non sono così brutta, anzi, né ho una voce così stridente e non ho vissuto una dittatura militare, no, sono anche bionda, però quando i nostri occhi s’incrociano non vedo una persona tanto diversa.
Vedo la mia stessa paura farsi persona e mi spavento ancora di più.
Forse per quello che anni fa non potevo neanche sopportarne la presenza.
Ieri, bevendoci un caffè negli uffici asettici della Federazione guardavamo giù dalla finestra e ho avuto un vento gelido nella schiena dopo che ci siamo guardate sorridendo.
Avevamo guardato giù e, inutile mentirsi, avevamo pensato tutt’e due a come sarebbe stato bello farla finita. L’idea, solo l’idea di essere così intima dello Specchio di Tutte le mie Angosce mi dà l’insonnia, che già non basta quella che ho.
E mi vedo già volare nella nebbia grigio nera della notte passata a guardare il soffitto e a sentire l’amore sbocciare per lei.
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Avanti tutta!
Una terra in ginocchio mangia come una rana in calore, no? Ora mi spiego meglio, anzi no. Va bene così.
Un andamento lento di dodici prostitute minorenni si fonde meglio all’aria fetida di un incendio doloso in una boscaglia di corvi immaturi. L’innocente aria d’autunno sferza l’incosciente onda azzurra che si tinge di un rosso sangue senza gettarsi a terra in uno stato di abbandono molecolare.
I cavalieri saraceni si sarebbero indignati di fronte alla mole di lavoro necessaria alla costruzione delle piramidi di cacca necessarie alla costruzione dei grattacieli che crollano al primo soffio di vento.
Un alito di feci intestinali che travolge autopompe in sosta davanti ai macellai di persone inermi. Augusto Ride si domanda se sia giusto o meno una rivoluzione in salsa tartara che faccia tabula rasa dei conti e dei marchesi della santa alleanza. Ed Eros Ramazotti canta in sottofondo la sogliola marinara. Tutto bene.