Un bell’andazzo


Uno sparo nella saliva della coguara delimita il moto delle maree e trichechi affamati si gettano su tafani addormentati per fare l’amore e salvare la prostata dal tumore sorridente che si mette in posa per una foto. Una tattica da dimenticare come Balotelli tra graffiti paleolitici e donne da tradire per un pallone fatto di oro bianco e zanne di elefante con peli da bassotto.
Mi ricordo “Amarcord” una nostalgia fatta per dimenticare. Nella profondità del mare, un tunnel di ricordi che non si ricordano più cosa c’era da ricordare, ma è sulla punta della linguistica italiana e si troveranno in qualche vocabolario tra puttane che fumano e astanti che dimenticano un’eiaculazione di seno e sangue.
Una rabbia di peto si sparge su ellissi di blob e il nuovo ministro degli esteri incontra gli alieni dell’Area 51 per una partita a bridge con la moglie di Barack e una cassetta di vino Moschino della cantina della Novara. Tra fumi di Marijuana e banchi di sabbia un fumo cresce e si fa uomo. Figlio di Dio, o figlio di puttana?

Ma in fondo…?


Cara Ninina morire d’inverno non è un gran che. Una misura di tè che non calza al mio piede. Uno zoccolo duro d’elefante che struscia la vagina contro un albero del tè. Per sacralizzare una cerimonia che dista mille chilometri di asia e inferno. Una castagna circoncisa mi sposta da una parete all’altra per assaporare la ghisa che pende dalle mie labbra sensuali di pantegana suadente. Così voglio essere ricordata ai posteri, come un’ardua sentenza. Forse sbaglio?
Un protocollo di pagine di frusta scende dal cielo con la manna degli ebrei e rotola verso fiumi d’inchiostro per mostrare la retta via al dio della pagina bianca. Che in fondo non si scompone e mostra il fianco a diverse interpretazioni. Una coccinella si innamora di un bue e spara fuori il minitauro, un toro con le ali di farfalla, ma che quando si fa una sega fa piovere per una settimana. La chiamano “manna dal cielo” e se la mangiano tutti quando fanno un crociera nel mar rosso.
Un atavico senso della paura pervade la schiena di un topo di appartamento finché non si trova faccia a faccia con uno squalo tigre che gli chiede una penna per disegnarsi un paio di baffi come dio comanda. È così che diventano amici per le palle e partoriscono conigli di serra bonsai che ridono a ogni barzelletta che gli racconta berlusconi. Una tragedia greca si abbatte su questo mare di salmoni che piangono dalla gioia di un impatto con la topa morta di salsa ketchup e pantegane puttane.
Ma in fondo quale può essere il trend ascendente di un morto?

Dardi e ritardi


Ieri ho visto un uomo che mi diceva che mi voleva e gli ho detto fottiti tu. Ballo davanti a uno specchio che mi dice che sono viva. Prego uno Spirito Santo con cui voglio fare l’amore. Nel sangue e nel letto insieme a tarantole addormentate che si sciolgono nel nostro calore. Pustole di sperma divino si levano in fiumi di vapore acqueo e ci portano a quel paese. Ora che sento il calore di un castoro pallido capisco perché lo amo così tanto.
Sento la passione di rose violente con le quali il mio amore mi uccide la pelle di dardi avvelenati e il pesce nuota nella mia vagina spalmata di burro e cenere di cuore. Pezzi di merda che scivolano freneticamente intorno ad un orgasmo di color carne al sangue. Essi parlano a due amanti che ballano il flamenco in una terra di Mezzo portando i colori di un circo equestre in mezzo a circoncisi con gli occhi a mandragola che applaudono in un silenzio sacro.
Santo Buddha che sei circonciso con lo Spirito santo e preghi il Santo padre di trovarti qualche santo in Paradiso che possa santificare il nostro nome in nome di una tarantella tzigana e preghi. Perché preghi e non scuoi un bue tra tante puttane con le quali hai passato la notte? Mi agito nella notte tra buio e silenzio facendomi masturbare dalla solitudine che sola, mi fa compagnia. Un’amica discreta che suona il violino e non chiede niente in cambio, solo di essere amata, almeno da qualcuno.

Il delirio del manzo


Metto il piede su un delirio di Alfonso che urla la propria pazzia in un deserto di formiche morte. Si chiama cimitero, mi fa con aria di monello e occhi iniettati di ketchup. È un odore che fende l’aria con un sapore di piede tumefatto dal pongo marrone scuro, molto scuro come se fosse stato soffritto per dieci lunghi anni. Sa di aglio. E pesa. Il tumore inserito nell’ugola di un soprano da circo si rivela una ricetrasmittente di Dio che ascolta i meandri del diavolo alla radio mentre si sofferma nel perenne orgasmo che libera agenzie di viaggio per trip di eroina.
Scimmie danzano nel mio cervello per battere una discoteca di monete d’oro in fondo al pisello di un pulcino adiacente. Mi sparo attorno a un quadro che si assopisce alla vista del sangue di un toro deforme mentre la poolvere di corna si sparge nella sala del museo di marionette veneziane che singolarmente profumano di api punk. Gli uffici colorati si riempiono di tacchi a spillo che corrono tra mazzi di fiori blu da un giardino di cemento all’altro togliendosi occhiali e inginocchiandosi davanti a pannolini sporchi di sesso e potere. Giovenche si pesano le mammelle di terracotta per liberarsi l’anima da secoli di vestigia dorate.
Durante feste di mausolei anemici porgo le mie scuse a maggiordomi in livrea argentata che schiude funamboli omosessuali tra le viscere di un drago a due teste e due croci. Palandrane di manzo in scatola si muovono tra feroci puttane in calore che violano il segreto del piacere tra un’ottava di godimento e una sinfonia di Sciubert.
Ciaikovschi era gay, ma questo si sa.

Il salto del ruscello


Un pasto di ieri si stempera contro la follia di oggi che mi tocca gli artisti neuronici in modo dittongo. Vedo la mania sulla Terra scopare un pentolone di birra a secco. Un lupante cretino mi provoca l’epistocentro per farne una mucosa intestinale. E allora ridiamo insieme in quella che è la pasta al sugo della terra.
Nel buio mi sfracello contro il pavimento e dissocio la mutanda intestinale dalla ghiandola surrenale di Egisto. Il trisavolo si succhia una canna da zucchero mentre il pleistocene arriva in ritardo. Vogliamo su un’era glaciale mentre pattiniamo nel deserto di luce radiosferica. Un pallone da kinesista si stampa sui quotidiani del mezzogiorno d’italia. Enunciamo le vittime della grande guerra gastrica tra fiori e libellule. Grassi vermi si dividono i resti di mammelle di mucca tra dotte discussioni sulla sfericità dell’universo e teosofie distorte della realtà multidimensionale.
Percio’ cambio canale e guardo il grande pratello in un urlo di angoscia che scorreggia cipolle e chips alla paprika uccidendo una mosca che si trova vicino al culo. Stamattina mi sono alzato e ho mangiato briciole di quella mosca leggendo il giornale su google. Esperti di ogni parte del monto interstellare si danno appuntamento a rimini per una tre giorni di bancherelle e puttane. I nuovi barbari scendono dalle scale di un precipizio che porta nei petali di una violetta affumicata. Oggi mi mangio il salmone che sta tornando a nuova vita in frigo.

Non ho l’età


Una pecora triste. È questo che mi passa sotto al naso colorato di violetto. Sotto voci di fighe ridenti del Texas durante un rodeo alla Scala di Milano. Mentre si fanno la doccia vedono la stella polare con la quale si spazzolano i capelli. Il rodeo inizia e la puzza di capra selvatica si sparge nel pube di Jessica mentre le sue amiche le spazzolano i peli e i capelli. Un dolce odore di sottomarino le solletica le gengive e spinge la spazzola sotto al pube insieme alla faccia di Johanna che la unge di lucido da scarpe prima di leccarla con un lussureggiante “occhio di triglia: la marca più indicata di attrezzi texani per sole donne. “Chi di capra ferisce di cavolo perisce” dice loro Anastasy che sostiene a malapena due tette che potrebbero fare da pista da sci.
Jessica e Johanna vengono insieme e ridono dei loro vagiti come bambine che guardano orsi polari nel cielo stellato di pesci e argento.
Nella notte del 14 agosto le nostre membra si smembrarono nell’angusto scantinato della zia Pina. E le mischiammo al mosto facendone del buon nettare degli dei greci.
Fu così che Santana si fece sparare alle palle durante un agguato all’OK Corrado, il famoso gioco a premi dove se vinci puoi uccidere chi ti pare e la vittima andrà in Paradiso o all’inferno secondo quello che dice Dante Spatozzi di ritorno da uno dei suoi famosi “Viaggi dell’estasi”. Comunque, dicevamo, Santana si fece sparare alle spalle, o alle palle, non ricordo più bene. Comunque ci restò secco lo stesso. È questo che volevo dire caro Coglionazzo.
Sì proprio tu che leggi. Sei un Coglionazzo. È bello insultarti perché so che tu ci godi fisicamente ad essere insultato. E lo sai che la cosa ti fa bene perché mamma ti ha insegnato che bisogna sempre dire la verità. Ma che la devi smettere di andare a puttane. Magari a trans sì, ma a puttane no. È ora di diventare persone civili prima di rimetterti il pannolone. Vecchio stronzo. E ignorante. Lo sai chi ha scoperto l’America? Frank Sinatra ecco chi. Ma tu non lo sapevi. Quindi sei stronzo. Ma ti perdono perché non è colpa tua ma di quell’imbecille che ti ha fatto. Ma questo è un altro discorso.

Libero


Veglio sul principe azzurro e mi ficco in ammollo severando una pigna colada di traverso al collo di un dattero butterato. In realtà tutto questo per dire che il giorno prima del fine settimana, ti ricorda la schiavitù perché sta per finire e per un paio di giorni sarai umano.
Poi tornerai soldato, robot, ingranaggio e poi altri due giorni di umanità, poi anche un po’ in ferie e poi tieni duro così per qualche decennio.
Se non ti va sei libero di morire di fame e non riprodurti. Oppure di riprodurti e morire di fame. O di riprodurti e far morire tutti di fame. Insomma sei un uomo libero perché puoi scegliere. Ma non solo.
Sei anche libero di diventare sempre più povero per costringere altri a diventare sempre più ricchi.
E questa è la cosa più bella, più generosa, più cristiana.
E di questo bisogna essere contenti. Contenti di dare, col sacrificio di sé, il meglio della vita ad altri. Perdonandoli, come Cristo, perché non sanno quello che fanno. Non sanno quanto è bello dare senza aspettarsi di ricevere altro che un calcio in culo e qualche psicofarmaco che ti permetta di robotizzarti meglio.
Come usavano a Cuba al tempo degli zombie. Schiavi trattati con droghe che annullavano la loro volontà. In fondo la storia si ripete.
Sempre diversa, sempre uguale, perché come dice qualcuno “in fondo è sempre la nostra storia”.
E allora andiamo a casa, ma prima fermiamoci a ubriacarci con uno Spritz e fumare un po’ di nicotina per uccidere quella disciplina robotica e ridiventare un po’ quell’animale ingabbiato. Poi andiamo a casa, ma prima andiamo a puttane per scendere giù nel fondo dell’oceano animale e ritrovare le nostre pinne che ci permettano di nuotare in un’umanità che ci fa quasi più paura della grande macchina ardente. Che ci porterà un giorno a conoscere altre specie aliene. Chissà se a loro piacerà la coca cola? Chissà se anche loro aspettano il fine settimana per diventare un po’ più alieni? Chissà se anche loro hanno le puttane. E i gay. E i terroristi islamici. E la mafia. Ma mettiamo che non abbiano o non gli piaccia la pizza. Come la mettiamo?
Che ci ficchiamo in ammollo un sardo in scatola e civettiamo nei pantaloni col bisturi in mano e ci grattiamo contro una transenna mentre il cibo elettronico squilla nelle nostre tasche per avvisarci che altri zombie ci stanno raggiungendo per diventare esseri umani, ma solo per poco e il meno possibile, altrimenti il lunedì finisce che è da suicidio e allora ci prenderemo un altro prozac.

Attenzione al buio marrone


Diciotto mila fanti si mescolano in una foresta d’oppio e nutrono il fardello di una cena a dispetto di un occhio di riguardo alla tubercolosi in paziente attesa da tempo immemorabbbile.
Noé scende dalla barca e accosta sul molo dove tutti ammirano la qualità delle rifiniture del suo motoscafo ultimo modello. Scende con due puttane che lo accompagnano in giro per il mondo e una serie di schiavi importati dagli altri pianeti. Osanna nell’alto dei peti. E pace in terra alle giraffe di Bogotà.
Un prete sensuale si masturba nello sfintere della chiesa ortodossa. E si masturba in maniera poco ortodossa.
Giovanna si masturba in un lavandino dell’esercito italiano e viene a seconda dell’intensità dell’odore animale che circola nei suoi polmoni.
Una messa solenne muore asfissiata in un soffritto di cipolle mentre la prima comunione accompagna Libera in un bordello per fare un tirocinio post laurea.