Un atto ecumenico fossilizza il rutto del topo, mentre cozza contro il colpo di tosse della Terra col raffreddore. Mi guardo allo specchio e mi si bagna la vagina nell’antro di Eolo. Ballo un ballo frenetico sul tavolo mentre m’infilo pistacchi nel culo e il bruciore di una banana si sparge nello sfintere. Spargo escrementi sullo schermo televisivo e il dolore della passione esplode le mie lacrime e continuo a ballare e continuo a girare e ululo. Mi guardo i capelli da adolescente e mi chiedo se un giorno balleranno da soli.
Angeli e paradisi sorridono ad una Terra di terra e fame e una donna chiede lavoro per mangiare finocchi all’inferno. Guardo l’orologio e penso che devo lavare il fango sceso sulla mia pelle e sui peli del pube. I miei capelli lunghi accarezzano il mio seno e eccitano l’anima sotto di essi. La mia pelle risponde con elettricità e io viaggio in carrozze alate verso monti scoscesi su mari limpidi.
Un pagliaccio che ride stura un lavandino di pongo e marmellata mi dice che sono una troia e gli dico che ha ragione ma che a lui non la darò mai. Prego in ginocchio lo Spirito Santo di godere degli ultimi giorni di Sodoma e Gomorra affinché il Paradiso sogni baccanali di zuppa di ceci e lenticchie zuccherate allo zenzero.
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Delirio di Plastica
Elina si tuffa in un lago dall’acqua cristallina. Intanto un pesce fugge da un pesce più grosso. Elina nuota verso la sorgente del fiume mentre le trote si divertono a giocare a pallavolo. L’aria e fresca e le canne di bambù chiacchierano solleticandosi le ascelle con la lingua reciprocamente. Elina esce dall’acqua e va a fare pipì dietro un cespuglio e inavvertitamente la fa su una talpa che rischia di annegare nel tunne. Suo padre sta pescando dall’altra parte della riva e non la vede ma sa che si trova lì vicino dato che la sente cantare. Un rumore di jeep rompe la magia della radura. Da essa ne escono due uomini con una tuta rossa in plastica fosforescente e chiedono Vecchio cerchiamo un ospedale per nostra madre che sta morendo nel bagagliaio, sai dove ce n’è uno.
Non so dove c’è un ospedale, ma so dov’è un cimitero, che forse vi serve di più, fa lui.
Buona idea fa quello più alto, Mario, ma ora vogliamo un medico
Ne ho uno qui in tasca se vi va, fa il vecchio, diciamo che si chiami Taddeo
Ed ecco che il canto di Elina si fa più vicino. I due giovanotti si girano per cercare questo suono melodioso hce riempie le foglie degli alberi che anch’esse si sono fermate per ascoltare e anche il vento s’è fermato.
Tutto si ferma finché tra un rumore di rami spezzati e l’altro appare loro davanti una tipa abbastanza bassa, nuda con due tette enormi e i lunghi capelli bagnati e mossi e un delizioso pube di folti peli rossi. Gli occhi da tigrotta svegli e azzurri li squadrano e senza batter ciglio si avvicina senza inibizione portando i capelli sul busto ad accarezzare i seni quasi a indicare dove guardare.
Davanti a lei si ergono due tizi biondo platino, sbarbati e puliti che la guardano a bocca aperta.
Ciao sono Elina
Ciao sono Matteo, ciao sono Aldo
Silenzio
Se ne frega a qualcuno io sono Taddeo
Silenzio. No, non gliene frega a nessuno. Neanche alla madre ormai morta nel bagagliaio tra un delirio e l’altro.
Polline
Venusa ritaglia un angolo di tempo nel telaio storto di un’icona che ride dal riquadro color prugna appeso nel corno d’Africa sotto i bombardamenti francesi alla ricerca dell’uranio per far funzionare centrali nucleari da smantellare. Ridono dietro di loro le iene che portano sangue al mulino dello sputo di una chitarra saxofonica del dio barbaro.
Non potrei sentirmi meglio dice la ragazza alzandosi dal letto di diodi elettrici dopo una notte d’amore intenso sotto i rododendri della sua casa in stile coloniale. Suono il piffero magico di Antalenio che me l’ha prestato e mieto un seguito di rosmarini abbagliati dal fetore che spargo senza pietà alcuna e rido in una latrina militare perché i gusci di noce che escono dal culo bruciano di sale al peperoncino rosso.
Le Erinni si alzano un mattino e chiamano Medusa per lisciarle il pelo del pube e rincuorarla sull’ultimo amante morto ammazzato da lei.
All’inferno queste cose succedono ogni giorno e non c’è niente di male.
È questa una delle cose belle dell’inferno, il male non esiste più.
Così come non esiste umiliazione nel mondo di Marylin Manson.
Se hai raggiunto il punto più basso dell’umanità sei libero perché non hai nulla da perdere. Se hai raggiunto la libertà allora sei pronto per andare all’inferno. E il modo migliore è quello di morire dal ridere sopra una pila di legna da ardere.
Un abbraccio a te e una carezza a me.
Frangipane di un circo equestre solletichi il biscotto umido di una mia poesia.
L’amore per l’assurdo mi consola nella creazione della vita quotidiana e cambia le sinapsi del beato stronzo che sono mentre bestemmio su un pezzo di carta galleggiante. Galleggia tra la gelatina delle mie lacrime condensate in polli bruciacchiati del barbecue in casa di Gianni. Nome del cazzo, no? Scusa Gianni.
Orfelia, sua moglie, nome del cazzo anche questo no?, si pettina i peli del pube perché a lui piacciono con la permanente.
È seria ‘sta cosa perché se no mica gli si rizza.
Perché siccome gli tocca di fare il salto della cavallina, quando atterra vuole atterrare sul morbido e su un morbido che lo stuzzica e così, sapendolo già da prima, si eccita. Gianni è fatto così.
Quando l’Orfelia si depila lì, o, ancora peggio, si rasa semplicemente, vuol dire che è incazzata. E a lui non gli andrebbe su neanche con un pompino fatto dalla Gigliola, sua amante, che se le cerca tutte con nomi così, insomma.
La Gigliola era una ex escort.
Escortava in strada.
Ma comunque adesso fa l’amante a gratis e il Gianni le piace perché la fa ridere.
Gliela dà per gratitudine. In un certo senso adesso è lei che paga il biglietto, tipo.
È persino lei, l’amante, che gli paga il ristorante perché non ha un centesimo.
È disoccupato e non fa neanche lavori in nero perché non ha voglia di fare un cazzo.
Siccome però ha fatto due bambini con l’Orfelia è a lei che le tocca di mantenerlo.
Comunque tornando a bomba per stasera a Gianni gli va bene un casino.
Permanente a bomba che promette uno di quegli atterraggi su cuscino d’aria e solletichino alla base del pene.
Lo lascio lì così Gianni, mi piace pensare che passerà bene l’ultima scopata prima di essere sbattuto fuori di casa perché durante l’amplesso gli scappa il nome sbagliato.