Ruota


Mi rifocillo di coccodrilli melensi a passo di danza del ventre mentre mosche velate s’insinuano nella mia testa e la fanno a pezzi. Piedi cornuti si girano e applaudono per uno spettacolo da fine del mondo. Il mio. Clicco sul Galaxy per trovare pezzi di porco per ospedali che volano tra gli anelli di Saturno e amo follemente la femmina dell’arco coassiale. Giuda giudicò Cristo per un peccato carnale perché Maddalena piaceva a lui. Nella fossa dei leoni si penti prima di esser sbranato e il suo occhio fa parte della mia collana. La Sacra Sindrome.
Una maglia azzurra ho comprato per lo spettacolo del Carnevale. Per indossarla sopra mia moglie di centottanta chili di grasso stupefacente tra fumi di oppio e fritto di maiala. Incido sull’anello di fidanzamento i nostri nomi per giocarli alla ruota della fortuna e accoppiarci insieme al Berlusconi caprino in un giro di mazzette e pantegane al prosciutto. Nella notte di Natale ti amo mio amore cornuto. E prego per te affinché la neve scenda sui tuoi piedi scalzi e ti mostri la tenda di Toro Seduto nelle fresche vallate di pandoro Bauli. Perdonami sconosciuto lettore per i salti neuronici che ti fanno giocare con la panna montata e gettano fango in faccia alla stupidità di mamma tua. Sii una merda ogni giorno di più e vantatene. Siamo spazzatura divina. Urina di Dio che gioca con ellissi vagabonde. Materia oscura per scienziati quantici. Ma vino per i miei occhi. Che sanno perdere con estasi teutonica davanti alla Merkel al prosciutto e bacon.
Un gran finale. Una grande folla di nani inzuccherati e filati a fiato fino al collo. Un applauso scrosciante nella tempesta di martiri della grande chiesa. Un Bloody Mary che scende nelle mie vene. E diventa spirito santo.

Un’aperitivo stabico


Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.

Una pecora s’ingiallisce le dita scoperchiando un delirio di mango


Una mano di cartapesta si stuzzica l’orecchio di paglia e l’altra mano suona il gong. Filippo ama una chitarra alla follia erotica, la gioca al flipper per un pugno di dollari e la perde rovinosamente contro una scommessa alla palla di lardo. Non potendo vivere senza un suono a macchia di leopardo Filippo si muta in una transenna di caramello e si fonde alla prima giornata di sole azzurro. Colpisco al centro le foglie di un cumulo di letame per muover e un’anima di legno e mi chiedo se la filosofia del sale è tutta in un piatto di patatine fritte che mangerò tra poco.
Il silenzio licenzia impiegati e operai, imprenditori edilizi e prostitute e li manda in una strada che sa di spazzatura atomica. Là dove una pista di atterraggio s’informa degli ultimi diritti dei lavoratori a colpi di sciopero e pistola Filippo si distende a prendere sole e spazzatura, nel silenzio di una tomba nella quale i licenziati prendono la pensione d’oro, d’argento e di birra.
Cavoli, però quanto un cuscino farebbe comodo in questa situazione, pensa un po’ nevrotico, E quante puttane darebbero una mano per una serata all’olgettina tra champagne e arrosto di prosciutto con aceto di Viagra su panzerotti di stupro. Il partito dei giudici s’indegna e il cittadino si rompe il malleolo contro un branco di balbuzienti che fanno finta di non tartagliare, ma solo in campagna elettorale.

L’azione è nella pallottola


Stasera il sole brilla e la luna taglia un prosciutto con i denti aguzzi di una scopa piatta. Pupattola pupattola che spazzola usi per tagliarti il codino? Un Ciappo papetta cara. Un ciappo a rotazione inversa che suona come una campana a schioppo. Grazie banana per tutta la cirrosi epatica che ci tramandi da secoli di generazioni generazionali. Il fondo è chiuso con un tappo e un cilindro si spegne una sigaretta sul cilindro. Mi spiego? È tramite una fontana che il cavallo di diodi si decide a surfare sulle biciclette. Intanto un pianeta di stronfi non collige in rotta con il mare.
Per quello che il cellulare si rotola a rotoli che spengono le maglie di Giulipittola dentro al reggiseno. In carrozza signori e vedove defunte, prendiamoci per mano e tocchiamo la scatola di polvere sistemata sulle grucce.
Abalé, abale, abalé sporco giacimento sull’imene gloriosa, finché una geometria adiacente la soffoca col cuscino di dinamite.
Chiudo gli occhi e decido di mantenere per me il segreto dell’ingrediente sulfureo. Perché solo peti sono. Solo peti. Mi spengo in una bolla di cloruro di metallo. E prego nel risarcimento di un nobile interramento. Mentre guardo la luna lontano

Il canto dell’orda


Una voce rosica le mie corde polmonari e frigge l’anima di un sopracciglio esuberante. Il crocchio vola trainato da cavalli bianchi in un cielo che si apre per farli passare e sparire dalla faccia della Terra. Io sono sull’altare di una chiesa e odo la musica del mio matrimonio cantare centauri di zucchero filato sulla torta nuziale.
Vuoi tu…, sì, no, non voglio, certo che voglio sempre e per sempre, finché la morte non ce la metteremo in tasca e vivremo per sempre in questa valle di cieli oscuri. Un bacio nella fantasia riempie il pubblico di mille colori arcobaleno che affrescano una chiesa, la santa madre chiesa, di tutti gli amori e gli onori che scorrono dall’inferno ad Adamo ed Eva.
Serpenti della conoscenza piovono dal bene e dal male, mentre cori gregoriani ritmano danze orgiastiche di cardinali e concubine e mucche da latte.
Usciamo sotto una pioggia di risotto ai funghi e pizze lanciate tra i denti e arrosti di prosciutto e su un paio di sci raggiungiamo la limousine che ci porterà in volo, me e la mia bella Pazzia, fino al prossimo delirio.