Un pozione di urna funeraria


Urlo un urlo di pomodoro al basilico nel caos primordiale di brodo di gallina. Bonanno si fida di una marionetta lesbica per i suoi giochi di sadofrutta al dente cariato. Tra galli cedroni Bonanno sferra il suo attacco all’arma bianca e perde. Come sempre e per sempre. Sia lodato. Gesù Cristo. Ma è un perdente nato perché l’anima è fatta di frattali che guardano alla finestra un pesce africano che si butta in mare. Bonanno è un mitra, fatto di merda. Bonanno guarda la fuga delle patate fritte e si consola con un mantra cantato a squarciagola davanti ai campi Flegrei. Si ripulisce la vernice dalla faccia prima di consolarsi con una manica di spugna passata sulle lacrime di gioia per la morte di una capitale dei barbari con un occhio solo.
Bonanno si tinge la faccia di rosso e gode alla vista di una politica frangente bandiera bianca tra votanti infuriati e un generale Custer che prega per l’anima sua e quella dei suoi soldati. Bonanno si avvicina e gli si attacca alla gola e succhia. Bonanno è un cattolico e beve il sangue di un figlio di dio. E prega a squarciagola con inni imbevuti di sangue. È una minestra riscaldata, dice mentre si confessa al selvaggio cadavere di Custer e gli toglie lo scalpo, ma non è una cattiva minestra. Sa solo di rospo.
Bonanno si rimpinza e segue la galera che lo porta in sud Africa per una partita di Porto di Tamerlano, una regione della Cantabria meridionale. E lì, riposa in pace, in un’urna funeraria, tra vermi calabresi e tarantole di giada comprate dalla regina delle nevi che passava per caso a farsi una canna ebrea tra gomitoli di cioccolata calda e erotismi di piume affumicate.