Prendo una testa di cioccolato


Prendo un flusso di energia con una mano tesa verso un futuro che non gioca più e mi lascia cadere verso una falla nel sistema di pidocchi che sanno di carne di maiale e frattaglie di Loriana. Il tutto impastato in una cascata di petali di cioccolato. Gli occhi si chiudono e il sonno eterno prende possesso dei giunchi stanchi di un fiore di loro che fa un pompino a una proboscide elicoidale. È per questo che ti dico ciao. E addio caro Ciao.
Piegati una gamba in direzione nord e rendi l’Australia un paese vivibile per dieci secondi lunghi qualche chilometro. Serpenti.
Volo. E mi rigiro nel letto. Telegrafo. Possente. Veloce. Ghiro. Perché non scendi giù dal tetto? Una voglia di seno sottende alla mia gonna di farfalla adiacente. Un flusso di cioccolato amaro ma dolce e sedicente scende le scale della mia faringe e lubrifica gli strati più. Più. Addio allora senza rimpianti ma con molto pollo arrosto per una vita lubrificata e sciolta ma dopo mi raccomando tira l’acqua. Perché in fondo in fondo si finisce tutti lì. Da qui viene l’energia eolica degli strati più fortunati. Un dolce equilibrio tra Gina e Farina Doc. Forza Italia a Cinque Stelle con molti Valori che valgono bene una Messa.

L’immagine di una lacrima


Il genocidio della poesia s’ingegna sulla misura della primavera per capire la guerra delle api. Si’, davvero arriva alla giustizia della politica Andreotti s’immolo’ sulla Costituzione perché aveva bisogno di una regola per masturbarla fino a ridere a crepapelle. E’ cosi’ che ha amato l’Italia. Ho paura. Ho paura della fine. Forse vivro’, ma la fine arriverà prima della morte. Perché la fine è antecedente. Anche il divo Giulio era antecedente. E cosi’ vinse la fine, morendo dopo. Ma diventando Papa. Divento una custodia dell’arte per essere prigioniero del sesso giocando a calcio in una comunità di maestre che uccidono la poesia guardandosi allo specchio. Una lacrima scende da un nesso che collega il rumore dei bambini e il corpo dei pompieri che fa un pompino alla pompa dell’anima, dall’interno. Pensiamoci. Perché la poesia abbraccia il papa come un handicappato. Ed è cosi’ che io la ricordo, pregando alla fine di una chiesa.
Non è vero che non c’entra. C’entra. Per chi crede tutto c’entra, c’entra ed è cieco, questo è il re. Questo è il re dei non vedenti che non vede perché è lui che non vede. Io mi concentro, ma non capisco. E allora applaudiamo. Perché non siamo ciechi. Ridiamo e vediamo l’immagine di noi stessi riflessi nelle labbra di una lacrima che scende senza fede. Ora è mezzanotte. Testimonio che ho visto uno che osserva un tempo che non c’è in un’isola che non ha alibi per non esistere, ma c’è. Io no. Non ancora. E ci saro’ quando esistero’. Ma prendo decisioni. Collegando i nessi tra i cani e i ciechi.

Una gonnella in calore osmotico


Prude l’orecchio del presidente. In una folla folle che lo abbraccia e ride si tritura le spalle di formaggio intergalattico ed esplode in una scorreggia salata che uccide alcuni bambini troppo vicini alla fonte di calore. Morti per osmosi tecnica, questo il referto medico che chiuderà l’inchiesta sul culo del presidente.
Una lirica commerciale si sposta nel soffio di un tornado di noia mortale tra thè e barbiturici di un’attrice col raffreddore. Immortalata su pepe verde in abito da sera si pavoneggia nell’auto di calamari sotto un sole caprino. Salta lucciola della folla per una folle folla di applausi che significano gloria e microonde per un caldo calore della tua sottana.
Il bianco e il nero trasformano le sottane in un unguento di mille coriandoli appiccicosi e s’intersecano baciandosi caldamente lungo il tracciato di una montagna russa in cima alle montagne tempestose. Un’unghia si brucia lentamente friggendosi le ali tra un bombardamento e l’altro di aglio piccante che condisce e odora di spezie due amanti che amoreggiano in cucina finché lei non gli fa un pompino mentre lui mescola il pasto della sera.

Cazzo!


Una furia di larghe vedute si ere in piedi sulle suole delle scarpe e per provare la propria sessualità si allunga le orecchie infilandosele nella vagina. Ritaglio il groppo in gola al ritmo forsennato di un sintetizzatore di musica gotica che mi fa vibrare le gengive e rivoltare lo stomaco. Desidero la pace nel mondo e lo stomaco pieno. Sorrido mentre preparo un’insalata di moscerini spremuti al limone. Una cena di oli essenziali evapora in presenza di un mistico che canta le lodi del signor Mario in un’epoca storica che sfugge al mio palato.
Olga si preoccupava della salute di suo marito e mentre gli faceva un pompino pregava la Madonna di restare incinta. In una singola orazione Olga riuscì a compiere il miracolo e ad ingravidare il marito. Comunque furono due gemelli.
Un’ultima zolla di terra sconvolge i miei neuroni e ludicamente ne proietta l’ologramma in cielo. In un ballo tecno di gabbiani acidi si sconvolge il ritmo della natura immonda di un pazzo che saltava fuori dalla finestra pregando di essere morto e dimenticandosi di essere al primo piano.
Una risata stridula accompagna Minea durante l’amplesso con il suo cuginetto che teneva in braccio da piccola.
Sulla sua testa un’aureola la santifica e ne benedice la posizione seduta.
Nell’aureola di un pompino a denti stretti Mariella si sturava il lobo di un orecchio senza mangiare la carne al sangue ma solo bevendo spruzzi di gengive liquide. Un atomo sfuggente la colpì al cervello un attimo prima del big bang e morì lasciando il povero Meo in balia di una morta. Dedico questo canto alla zolla di terra della prostituta che lo occupa durante le ore di lavoro per coltivare pomodori al dente.
Dentro questa casa si libera il fiato di una mucca sventrata da mille mosche e una porta cigola con violenza misurata cantando l’inno del vento di primavera e non castigando il seme dell’uomo.

I canti Eloisi


Una marmellata di prugne mi stimola lo sfintere d’amore collettivo e ruota la caramella di una pruriginosa colata di cemento liquido. Mi riempio di azoto e me lo passo sull’uccello nell’attesa di sputarci sopra per una gara di formula uno ripresa dalla televisione. Mi chiedo perché la vita è così normale. Una caduca tela di picasso mi dà la risposta sottovoce, così piano che non ci capisco un cazzo e la prendo a calci.
Prego un vaso di gerani in fiore di fare la festa alla tragedia del senso mentre una malinconia soffrigge dentro di me. Vedo caleidoscopi arcobalenanti sopra di me e dentro le mie parti veneree. Scopo una sifilide operaia grattandomi l’orecchio da dentro il casco. In quel momento le piramidi smettono di girare e provocano un terremoto tra i gabbiani della spiaggia reale. Un moto perpetuo si riempie la bocca di vaniglia sky.
Una vecchia centenaria si gratta il clitoride ferocemente per un ultimo orgasmo sul letto di morte.
Una gatta guarda seraficamente il proprio uomo cullare i gattini e giocare a tressette. Si eccita e incomincia a leccarsela
Mario si inghiotte dodici dosi di proteine per una sessione di brainstorming in palestra con i colleghi scienziati nucleari. Mentre sua moglie si fa un pompino nella cucina di un monolocale di periferia.
Fumo un sigaro di mortadella scaduta. Augusto gioca in un’altalena di cerbiatte vive. Colt si diverte a masturbarsi davanti alle signore che si appartano dietro un albero a fare pipì nel parco.

Toro


Un fumo avulso si erge dalla superficie del naso di un conte ombroso. Mentre i suoi capelli s’incazzano di grigio che sembra un bicchier di piombo sprizz. Devono aggiustare la strada mia cara, non ti pare una buona ragione per farmi un pompino? Via non tiriamoci i culi addosso. Non è di cattivo gusto? Il bon ton si apprezza, mentre il vino evapora dallo stomaco di una vacca alcolizzata ma felice di aver fatto la zoccola in una miniera d’oro. Meglio gli uomini dei tori. Si ripete mangiandosi un fico d’india. È la vacca del conte. Si chiama Frigidaire. Anche lui come tanti preferisce l’amore alternativo. Senza impegni. Ma per tutta la vita. Una vita che frana poco a poco addosso ad un aristocratico che conta le pecore per svegliarsi e scopa le mucche pensando di dimostrare di essere un toro.

Lunedì signor mio


Voci incontrollate nella mistica campestre si gorgogliano sonnolentemente nella mente di una mamma mentre munge una mucca maremmana e ne monda la merda con un secchio d’acqua distillata.
Un forte sapore di cacao aggredisce la mia bocca e penetra dolcemente amaro nelle cavità sotterranee che fumano una canna di marijuana verde comunicando un cartellone pubblicitario nel quale un uomo è seduto sulla toilette di una montagna appuntita.
Diversi cacciatori di monnezza si litigano un sacco della spazzatura che contiene carne di cavallo triste.
Una focaccia alla crema di vitello si sporca di giallo il contenuto di una matita nera. Statica è l’energia di un sole freddo. Contaminato dalla stuoia bianca si muove con la lentezza di un dromedario asfittico e un falco osserva la scena in mezzo ad una poesia di catrame che non gode se non nella lacrima di ghiaccio grasso.
Rosso di sperma bel tempo s’inverna. Nel torsolo di bianco spino un’utilitaria familiare s’incendia e contamina gli alberi del bosco di Hansel e Gretel. In preda alla furia dell’orco restano in gabbia e muoiono. Felicemente, col sorriso di sperma sulla bocca.
Una Fatima fatiscente mi sussurra all’orecchio che non è tempo di Minosse che deve andare in pensione e le grandi manovre di un falco dal nome impronunciabile cozza contro gli scogli dell’isola di Creta. Un’isola affamata di sale e sapore di mare stuzzica un porcospino che cerca una compagna per riprodursi e baciarsi. E anche per farsi fare un pompino. E un po’ di poesia.
Con la borsa a tracolla mi accingo a rovistare tra i miei sentimenti. Per trovarne almeno uno che mi serva per affrontare un’intera settimana.