Mangio Valchirie e desidero un bicchiere di sesso al lime.


Un’epigrafe al cimitero legge una poesia di Montero e recita a voce stridula la propria ignoranza. Nel mentre un elicottero dolcemente atterra al centro di una libellula in calore e le chiede se può profumarle la schiena con il miele di leopardo. Certo fa lei, accomodati sulla punta delle dita. Così si esprime un maestro. Per far fermentare il mosto del mostro in gonnella su sedicenti pulzelle che giocano con cavalli agitati in un prato fiorito di margherite e rododendri.

Così, guardandosi lo spettacolo, Manuela si getta tra le braccia del tempo e pensa che forse suo marito non le vuole bene perché non glielo dice tutti i giorni. Tutti i santi giorni. Preghiamo insieme e diciamo Rendiamo grazie a Dio per avercelo disegnato così bene. Cosa, non si sa. Ma è bello pensare che lo sia.

Non deliriamo fratelli, ma pace e pane. Sotto l’albero di Natale piove tutti i giorni, ma dentro al prosciutto crudo la festa continua e tutti saltano in aria durante la legge finanziaria.
Renzi mi ha chiamato e mi ha detto che vuole scherzarci su perché tanto anche la legge non sa più leggerla nessuno e allora farà cantare in coro tutti i deputati e questa sarà l’ultima riforma poi tornerà nella giungla a giocare con scimmie clonate di puttane tristi.

È o non è così? Sì, per tutta la vita.

L’immagine di una lacrima


Il genocidio della poesia s’ingegna sulla misura della primavera per capire la guerra delle api. Si’, davvero arriva alla giustizia della politica Andreotti s’immolo’ sulla Costituzione perché aveva bisogno di una regola per masturbarla fino a ridere a crepapelle. E’ cosi’ che ha amato l’Italia. Ho paura. Ho paura della fine. Forse vivro’, ma la fine arriverà prima della morte. Perché la fine è antecedente. Anche il divo Giulio era antecedente. E cosi’ vinse la fine, morendo dopo. Ma diventando Papa. Divento una custodia dell’arte per essere prigioniero del sesso giocando a calcio in una comunità di maestre che uccidono la poesia guardandosi allo specchio. Una lacrima scende da un nesso che collega il rumore dei bambini e il corpo dei pompieri che fa un pompino alla pompa dell’anima, dall’interno. Pensiamoci. Perché la poesia abbraccia il papa come un handicappato. Ed è cosi’ che io la ricordo, pregando alla fine di una chiesa.
Non è vero che non c’entra. C’entra. Per chi crede tutto c’entra, c’entra ed è cieco, questo è il re. Questo è il re dei non vedenti che non vede perché è lui che non vede. Io mi concentro, ma non capisco. E allora applaudiamo. Perché non siamo ciechi. Ridiamo e vediamo l’immagine di noi stessi riflessi nelle labbra di una lacrima che scende senza fede. Ora è mezzanotte. Testimonio che ho visto uno che osserva un tempo che non c’è in un’isola che non ha alibi per non esistere, ma c’è. Io no. Non ancora. E ci saro’ quando esistero’. Ma prendo decisioni. Collegando i nessi tra i cani e i ciechi.

Pappardelle in calore


Una sirena di pappardelle al cemento si suona una corteccia nasale superando le vanità di un tempo lontano perso nella poesia dei fiori di uranio impoverito dalla crisi. Mentre l’Iran appoggia la proposta di massaggiare la schiena ad un negro che ritorna in una casa bianco lattice. Che sa di preservativo. Singulti di pianto arrivano dalla guerra in Siria mentre roghi di streghe vengono costruiti in tutto il medio oriente e ammazzano la realtà con le esplosioni di vene varicose.
Un guerriero in uniforme nera da beduino si aggira come un ninja tra le rovine di un chiostro da cui sgorgano zampilli di sangue fresco. Ha sete. Se beve un tè di rose ammazzate di fresco. E una zuppa di midolli spinali. Anime abbondanti in questo periodo, pensa. E si macera le palle masturbandosi in un campo di macerie coniugali.
Soffriggo la rosa viscosa per arrivare ad un orgasmo di pollo in mutande. L’emozione mi esplode e il divaricamento mi sovrasta. Mentre l’epicentro della cometa non tocca più il cuore della mia vita e mi fa soffrire di solitudine. Faccio il test alcolico per rendermi conto che squilla il telefono e un caffè potrebbe salvarmi dall’infarto di una macedonia in calore.

Placido, ma perché?


Un erotico sciogliersi dei vegetali in questione mi porrebbe l’interrogativo di sottostare al placido dentista in questione. Il che è una questione da definire in quanto tale. Una preghiera all’Altissimo mi purga lo stomaco.
Un’autoipnosi intestinale che parla col colon-nello che impartisce ordini di merda a un battaglione di suocere in pacchetto regalo che abbaia come un branco di lupi impazziti. Notevole. Ma insufficiente per garantire lo svolgersi corretto delle elezioni. In una dittatura delle banane.
Sento un odore di cracker alla vaniglia. Fritta. Discorro d’ipotenuse ed ipotetiche sintesi delle grandi battaglie che hanno agevolato il fisco italiano nella preparazione del ragù alla bolognese.
Un ritmo di patate che non concede niente alla sufficienza del vento freddo che viene dal polo. Addio corrente del Golfo. Una nuova glaciazione testicolare si affaccia in un corpo affamato di energia.
Un gerbillo errante nella faccia di una vedova bambina che piange al ricordo triste della sorella morta in un tragico incidente d’acqua e freddo.
Una pantomima fredda e turgida si masturba il nasello cantando canzoni della resistenza.
Addio sirenetta che tu possa tornare nella terra della lupara bianca.
Una poesia che rutta sangue nuota nell’alveare del mio cuore e annega in un lago di petrolio condensatosi per resistere al freddo di una colica renale. Un arrosto di maiale richiede un apostrofo, il che è eccezionale ma normale nella sede centrale della banca dei peschi della monaca di Monza.
La carica di ben hur si staglia nel cielo di una balena bianca che piange e rivolge le sue spire verso un polipo marino che suggella un’ambientazione color corallo rosso sangue che ride e piange e va fuori di testa per una manica di barattoli alla ricerca della verità.
Un polo unito di prostitute e gay e mamme borghesi dell’alta società manifesta di fronte al parlamento per la liberalizzazione delle droghe pesanti, mentre il tamburo batte. E mi assorda la mente.
Mi metto il casco e muoio.
Per sempre.
Senza senso.

Lunedì signor mio


Voci incontrollate nella mistica campestre si gorgogliano sonnolentemente nella mente di una mamma mentre munge una mucca maremmana e ne monda la merda con un secchio d’acqua distillata.
Un forte sapore di cacao aggredisce la mia bocca e penetra dolcemente amaro nelle cavità sotterranee che fumano una canna di marijuana verde comunicando un cartellone pubblicitario nel quale un uomo è seduto sulla toilette di una montagna appuntita.
Diversi cacciatori di monnezza si litigano un sacco della spazzatura che contiene carne di cavallo triste.
Una focaccia alla crema di vitello si sporca di giallo il contenuto di una matita nera. Statica è l’energia di un sole freddo. Contaminato dalla stuoia bianca si muove con la lentezza di un dromedario asfittico e un falco osserva la scena in mezzo ad una poesia di catrame che non gode se non nella lacrima di ghiaccio grasso.
Rosso di sperma bel tempo s’inverna. Nel torsolo di bianco spino un’utilitaria familiare s’incendia e contamina gli alberi del bosco di Hansel e Gretel. In preda alla furia dell’orco restano in gabbia e muoiono. Felicemente, col sorriso di sperma sulla bocca.
Una Fatima fatiscente mi sussurra all’orecchio che non è tempo di Minosse che deve andare in pensione e le grandi manovre di un falco dal nome impronunciabile cozza contro gli scogli dell’isola di Creta. Un’isola affamata di sale e sapore di mare stuzzica un porcospino che cerca una compagna per riprodursi e baciarsi. E anche per farsi fare un pompino. E un po’ di poesia.
Con la borsa a tracolla mi accingo a rovistare tra i miei sentimenti. Per trovarne almeno uno che mi serva per affrontare un’intera settimana.

Un sacco bello


Sibila il vento, infuria la bufera e mentre una rete c’insozza le menti ricorriamo al sol dell’avvenire per fare le parole crociate dei cavalieri Templari. Al galoppo miei prodi e pugnam per la vittoria del cavallo Arturo Saltimbanchi.
Cogito ergo Escogito.
Nell’attivar della pulzella m’inciampo in un granchio al passeggio con la sua bella. Shopping in riva al mar. Due granchi, una poesia in libertà. Un bacio d’amor che si striscia sulla spiaggia. E la mente si svuota. In un respiro lungo un soffio di Volta e Gabbana. Ma in fondo è un segreto di Pulcinella, no?
E allora aspettiamo che un vampiro venga a raccogliere le foglie cadute dagli alberi di betulle che circondano il nostro giardin d’amore. Prendo una licenza poetica o licenzio il poeta che scrive come un pesce? Ma no, meglio masturbarci a vicenda in una stomachevole allegria di acciughe in libertà.
Scorre il vento infuria la bufera e metti la cera e togli la cera. Sei solo un microrganismo bicellulare e ti fai già un gran viaggio. Quindi issiamo il pennacchio e immergiamolo nel calamaro. In fondo al mare riposerà in pace eterna l’eterno riposo.