Una novità di plastica si scinde in mille pezzi per diminuire il totale dalla spesa del supermercato e mettere in tavola gli schizzi di sperma di una balena bianca. Ignobile contratto civile che massacrano pinguini vestiti da carnevale a un cocktail di benvenuto alla sauna del centro di benessere che conta migliaia di partecipanti alla Messa del Santo Natale in un’Assunzione al cielo morta e sepolta sottoterra. Mi spiego e m’impiego tra folti salici piangenti che cadono dalle mie sopracciglia e allora voglio dire che una santa erotica puttana non vale una tangente pagata sotto il tavolo.
Una rogna pende dal tavolo dell’impiccato a un tavolo da poker che soggiace alla pizza napoletana senza mozzarella per girare intorno a un’acciuga di veleni partorienti. Perché? È una domanda che non si risponde mai da sola. Deve sempre avere un girotondo di mandolini che cantano da trogloditi in un’aureola santificata alla presenza dell’Altissimo. Un vocabolario da stronzi è maturato in Vaticano.
Passo la mia vita al computer pensando al pane quotidiano e a rimettere i nostri debiti al miglior fornitore di pastasciutta che vende mignotte sotto il tavolo di un capriolo al forno partorito al mercato del pesce. Venticinque anni di rivolte non sono bastate per comprendere l’ampiezza della rivoluzione toscana che ancora oggi semina rivoli di sangue tra vampiri e cani che pregano hallalah ma vanno a rimuginare sul cammino di una vignetta adolescenziale. Preghiamo i sufi affinché rimorchino anche loro vagine in calore e calmino il crocevia di un petrolio a poco prezzo.
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Mi stiracchio in una giungla disabitata
Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.
I flussi infausti delle cimici allegre
Mi alzo e vado a zonzo nei deliri dei miei pensieri e trovo Gioplano. Un biplano giocattolo dell’epoca dei nonni aviatori allo sbaraglio. Tra i giocattoli del solaio. Pulito e perfettamente pronto a volare.
Non vola finché non ci sono montato sopra. È un simpaticone. Non occorre neanche il telecomando. Basta parlargli e non raccontargli barzellette altrimenti perde quota come un sasso. Diventiamo amici planando tra le farfalle e i pollini striati di fiori che cantano inni in cori gregoriani.
Un’atmosfera natalizia ci circonda e i pinguini ci salutano. Sono venuti a cercare Madagascar ma nel frattempo si godono la vacanza marina e pescano sardine al supermercato. C’immergiamo in oceano e scopriamo una città piena di smog e piante tropicali.
Mi violento. Sì da solo. Su un letto d’alghe. È stato bellissimo. Ma come faccio a denunciarmi?
Un gettito d’aria calda mi riporta allo sviluppo costernato di pacchetti aerei che sto stampando fuliggine in un corriere postale. Una foto di biplano mi avviluppa nelle sue spire dato che mi era cascato addosso il poster gigante attaccato a una parete.
Scrivo a occhi chiusi tra il sotto e la morte, mentre le parole sgocciolano dal mio rubinetto scintillante di perle colorate e i miei piedi battono sul costume dei pirati una scopa e tressette ululati in piena prateria.
Ecco il grande Morfeo che viene a prendesi ciò che gli appartiene e mi porta con lui, una volta per tutta, spero.