L’ira del delirio.


L’ira del delirio è una vacca boia che si accoppia con dodici fatiche e pesa un catetere pieno di carne e vene varicose. Il pianto del delirio è diverso. Seducente e incazzato. Ti violenta con debolezza. Ti ama e non ti succhia. Ma erode l’anima di lucida droga che penetra i capezzoli tra fumi di sperma ipocondriaco e larghe intese.

Ma non è una cosa seria. È una cosa dovizia. Una di quelle che tu pensi che sia e non è proprio. Ma fatti sentire. Che ci vediamo per una pizza. Mi faccio sentire io. Tra pesci azzurri e pescherecci targati Armani. Su cui saliamo sopra a una bicicletta sfittica per pedalare in mezzo a piogge di acidi digestivi.

Mi ritengo. Dal soffiare su una testiera di testicoli triturati con pepe e cipolla. Per una luce di lucertola che morde il freno di una Ferrari che luccica ignobile e arrogante. Con quella pelliccia che ricopre sedili e anime di locuste. Austria e Francia sedute a guardarsi nella spiaggia della costa d’Avorio in un pianeta disperso e solo nella galassia di Andromeda dove soffia un vento caldo.

E buio.

Mi gratto le palle di iodio


Un toro si dipinge l’anima con colore blu e pennello di salsa di tonno in olio d’oliva. Desidero una crosta extraterrestre per mangiarmi una chioma bionda che sorride davanti ad un nano con la barba che balla il rap in mezzo ad una piazza oscura e bagnata di sperma alieno.
Il puzzo di rettile emerge dalle gengive di un vichingo musulmano in camicia da notte. È per questo che la balena si fa la barba tutte le mattine. Se non fosse soffritta in padella non soffrirebbe tanto da farsi venire un’ernia al midollo osseo.
Per cui si tritura in padella una chiazza notturna e si fa prendere la mano ripiena di orecchini e dice al suo fidanzato che la porti a ballare in mezzo ad un alimentari arabo tra testicoli di Cosimo e campane che suonano a morto una ballata di Monna Llisa.
Un leone la guarda impietrito e brinda al generale Montgomery ridotto ad una fontana di lacrime che circonda le auto che sfrecciano notturne su una padella dentro a una balena dove Pinocchia impara l’arte del sesso orale. Percio’ declama la divina gloria nell’alto dei cieli e sparge la pece come estrema unzione agli arabi che piangono al muro del pianto buttandosi dal ponte dei sospiri con un mazzolin di fiori in mezzo alle unghie dei piedi.
Una lacrima scende nel mio stomaco e lo chiude per chiedergli la mano per un matrimonio in punta di piedi. Mi getto in una piscina di sospetti e pesci con l’occhio guercio.

Pappardelle in calore


Una sirena di pappardelle al cemento si suona una corteccia nasale superando le vanità di un tempo lontano perso nella poesia dei fiori di uranio impoverito dalla crisi. Mentre l’Iran appoggia la proposta di massaggiare la schiena ad un negro che ritorna in una casa bianco lattice. Che sa di preservativo. Singulti di pianto arrivano dalla guerra in Siria mentre roghi di streghe vengono costruiti in tutto il medio oriente e ammazzano la realtà con le esplosioni di vene varicose.
Un guerriero in uniforme nera da beduino si aggira come un ninja tra le rovine di un chiostro da cui sgorgano zampilli di sangue fresco. Ha sete. Se beve un tè di rose ammazzate di fresco. E una zuppa di midolli spinali. Anime abbondanti in questo periodo, pensa. E si macera le palle masturbandosi in un campo di macerie coniugali.
Soffriggo la rosa viscosa per arrivare ad un orgasmo di pollo in mutande. L’emozione mi esplode e il divaricamento mi sovrasta. Mentre l’epicentro della cometa non tocca più il cuore della mia vita e mi fa soffrire di solitudine. Faccio il test alcolico per rendermi conto che squilla il telefono e un caffè potrebbe salvarmi dall’infarto di una macedonia in calore.

Dammi cinque!


Ok amico oggi non scherziamo, non parliamo di dio, di amore o di porno, non parliamo di morte e di vita, sole e luna, stelle e puttanate varie. Neanche di un orgasmino. No, niente. Oggi mi sento un po’ zingaro. Mi sento folle e mi abbandono, mea culpa. Mi sento di volare e pisciare, mi sento un po’ lascivo. Non dormo bene la notte perché ti desidero e il mio corpo ha singulti sincopati, in controtempo, e urla di piacere e dolore perché vorrebbe scoparti. Il mio corpo si stacca dalla pelle e si lacera sul pavimento contorcendosi come una piovra. Oggi il mio corpo va per conto suo e ti voglio far sentire come pulsano le sue vene. Perché pulsano. Dove e quando. Pulsano che sembra che scoppino, e ogni tanto, in effetti, un po’ di sangue ci scappa, ma non è grave. L’importante è che tu lo guardi e godi nell’assaporare il tuo potere, perché tu sei Dio e lui è tuo schiavo. Puoi fargli quello che vuoi. Puoi odiarlo e baciarlo o bruciarlo lentamente con olio bollente e aglio e assaporarlo goccia a goccia mentre pizzica la tua trachea col sapore salato di una lacrima. Puoi tagliarlo per vedere come sono fatte le fibre delle sue carni e puoi penetrarlo per abbandonarti al tuo potere. E puoi passare con lui notti insonni finché morte non vi separi, a scambiarvi la pelle e il cuore, la saliva e i posti all’inferno. Canterete il silenzio, ad alta voce finché il coro delle anime perdute si commuoverà di un pianto senza lacrime e così maledetto.

Piangi, lotta e stira

In un canto consapevole

Di un airone senz’ali

Un biscotto farcito

Di niente

Al sapore di ricotta al mirtillo

Mi muoio d’amore


Una nota d’amore scheggia l’armonia degli dei. Una musica celeste si strugge all’idea del pianto. Una danza dolce che mi trascina fuori dal filo spinato mi sussurra parole di vento e di nubi, mentre la notte scende nel museo degli orrori.

Mi guardo in giro e vedo la paura di esistere che critica il giudizio universale e il pubblico applaude quando scroscia il sangue dei morti. Una nota d’amore devasta il sonno divino e fa titillare il palato al sapore di un lupo che azzanna il latte di pecora.

Odino mi parla e mi suggerisce di cambiare e di nuotare verso lidi avventati ma io gli rispondo che anche suo figlio era un po’ frocio “Non dirmi che le nubi  diventano rosse” “no, ma che il Gesù si rivolta nella tomba sì” “scopa!” “hai vinto, bastardo” “gioco da dio” “hai culo e basta” anzi ha barato ma navigare in acque tempestose non è facile per nessuno e allora andiamo a farci un giro di valzer viennese al ballo delle quindicenni. Fu lì che sua figlia baciò il tempo e fu lì che io scoppiai di pazzia e di amore.

Il resto è pioggia, solo ruggine piovuta da nuvole di letame violaceo.