Cretino


Una follia mi guarda dallo specchio di un treno in corsa e piange. I suoi riccioli d’oro compaiono al cospetto della tristezza che, sovrana, li scompiglia senza rispetto. Nel possente turgido camaleonte che si solletica i baffi per avere un aspetto di mandarino cinese si accende un camino sul suo naso per fumarsi una sigaretta ululando alla luna piena di succo di carote.
Una casta diva suona l’arpa in mezzo al deserto per un gruppo di proci frochi che banchettano al suono della lira e di un gettone di presenza.
Mi affliggo delle pene dell’inferno per la croce di una vita passata a sognare l’altro mondo in una gioia vivace e degna di amore finalizzato al piacere e porto prima del primo vagito.
Piango al suono di una lacrima e una cornamusa scorreggia alle prime luci dell’alba boreale. Aurora. Ride e scappa in un altro pianeta.
Piove la pioggia di stelle. Su un altare di legno.
Pinocchio si tinge il naso color legno di pino mentre un salice piangente colora di nero il lago di montagna incantato. Guarda come guardi. E guardati nello specchio di una gallina soffritta.
Guardo il soffitto e mi chiedo se mai avro’ una Cadillac per nuotare in piscina tra gli squali e le rane impalmate che giocano a tressette col morto.
Mostrami il paradiso, cretino.

Spara sorcio


Un’eiaculazione onirica spara al sedicente ferrarista al culmine della gara di lacrime. Lo scroto della vita è un gioco di odio assassino che si esprime tramite la felicità di una lucertola che recita nella commedia dell’arte la parte di Pinocchio. Rettili gioiosi cantano una lirica di Rossini mentre l’orgasmo di un prete circonda la sala Messe e una parrocchia prende il volo per risorgere il terzo giorno. Quando lo spirito santo ricadrà sul midollo spinale della lucertola invertebrata che gioca col tempo pensando che sia un verme di terra che la ama come fosse la sua sposa. O la sua spesa.
Tra i banconi del supermercato vedo un barbone che piange e si dispera e chiede a Dio di farla finita prima possibile ma non c’è verso e deve resistere fino alla fine del mondo.
Un gas sconosciuto attraversa le regioni remote della vestaglia del datore di lavoro che mangia finocchi per scoreggiare meno gas. Il letame della sua anima incrocia gli occhi di un manovale di basso gradimento e il risultato si legge sulla mezzaluna di un cimitero copto 3.0 e via così.
Lo scontro di amicizie si risolve tramite il rituale islamico in un’area di calcio sufi che danzano i danzatori nella paura di una scheggia di morte sotto forma di pantofola sorridente come una cagna assatanata di sangue di giovani vergini. L’odio di una mezzanina contempla il periodo di un pendolo asfissiato di ragù nel torsolo di un tappo di sughero su una bottiglia di stronzi macerati nell’olio piccante. Sempre sia lodato il pendolo di Aladino, sotto forma di jet e sotto forma di siluro di livello Alpha.
Mi addormento in una siesta elettronica dopo aver mangiato spezzatino di pollo alla milanese. E mi inietto una dose di curaro per non sentire più la sofferenza di un topo che si fa la lampada abbronzante. Lo stomaco vuoto reclama il sangue. E la saliva di un vampiro condanna uomini, donne e bambini alla ghigliottina di un severo padre nostro.
Ora andrò a confessarmi con l’animo puro e con le gengive sanguinanti.

Gola profonda


A piedi nudi in centro città. Piange una capinera d’agosto. Tra trote selvagge che si urlano dietro rimpiange il tempo di una cantante lirica che dominava gli spalti di uno stadio gremito di giraffe e tacchini mentre gli uccelli divoravano le sue note e si nutrivano di radioattività genitale.
Prega Ira di un Dio a forma di pioggia che lavi questa fogna di color satellite e irradia il pane dei giusti. Arlecchino ride e salta da una tetta all’altra pieno di rane gravide che da un momento all’altro erutteranno una volontà di pietra dalle lucciole del suo cervello.
Bevono gli dei una coca a forma di cola liquida perché cola dal lavandino un liquido appiccicoso e verdastro che assomiglia allo sperma di rana ruvida e insaziabile.
Vogo una gondola attraverso l’oceano indiano. Mi sono perso. Ma finché il mare è calmo non mi preoccupo. Questione di fortuna. In rotta per l’Australia. In effetti British Airways mi costava un po’ troppo. Meglio un oceano d’ippocampi per ascoltare la musica del cuore di un delfino zoppo. E occorre camminare sulle acque di tanto in tanto per mantenere l’esercizio e allora amen agli dei dell’Olimpico.

I piedi tristi


Ho i piedi malinconici. Ho gli unici piedi malinconici dell’umanità.

Nessun piede è più malinconico del mio.

È un piede carino, giovane, soffice e vellutato come quello di un bambino, e come un bambino è triste e piange e quando piange tutto il mio corpo piange: fegato, cistifellea, stomaco, bile, succhi gastrici, intestino, ossa, gola, capelli, naso e unghie, eccetera, tutti inconsolabili, come una ridarella al contrario. E in più sono in due E non so cosa fare per convincerli e non è che posso picchiarli, pure peggio.

Ho provato a massaggiarli, e proprio così si sono rattristiti; potrei andare in negozio e lamentarmi, ma oramai sono fuori garanzia e poi mi ci sono affezionato tanto che oramai li considero parte di me. Nel manuale delle istruzioni c’è scritto di accarezzarli con affetto. Forse non ci so fare tanto con i piedi, come con le piante d’altronde. Ora li ho lavati e sanno di mandarino sovietico, ma fanno il solletico e li gratto con foglie di rosmarino e lavanda, forse sarebbe meglio un po’ di orticaria tremens.

Chiedo ad un alieno di passaggio se per caso sa come risolvere il problema ma mi risponde balbettando che lui i piedi non ce li ha mica mai avuti e se per caso posso prestargli i miei. Io gli dico che posso prestarglieli ma solo se li tratta bene e me li restituisce domani mattina. Lui mi promette che sicuramente. Io allora cammino sulle mani e aspetto che mi restituisca i piedi.

Glieli ho dati perché era un povero barbone e mi faceva pena e per un giorno l’avrei reso felice anche se i piedi sono un po’ tristi. Il giorno dopo non si fa vedere e io penso che verrà il giorno dopo. Invece viene effettivamente e mi restituisce i piedi piangendo e mi dice che non è mai stato così triste in tutta la sua vita e che mi li tenga io per sempre. E allora me li rimetto, ma a questo punto ridono e sorridono e sono contenti di avermi ritrovato e anch’io e non pensavamo di essere così contenti di ritrovarci e da allora viviamo per sempre felici e contenti.