Lupo mannaro


Serpenti schiavi di un’energia terrestre si muovono dalla terra madre alla prima donna per dare all’uomo il frutto del sesso. Proibito. Da Dio. Ma che si muove fumandosi uno spinello al ritmo di un motore di formula uno. Prendi da me il frutto della conoscenza e mordilo soprattutto sul capezzolo, rosso di rabbia e godi della mia lascività. Metti un dito nell’occhio di Dio per fargli spargere gli umori di gas di scarico e che il benzene sia il contorno della tua lingua fino a farla bruciare. Prenderò il tuo seme e lo seminerò in una discarica di ovuli freschi di fabbrica per berne l’azzurro colore di fogna.
Amore mio. Sei al centro dei miei pensieri e della mia saliva. Il sesso orale si giudica in un pezzo di plexiglass che ci porta lontano dai nostri problemi e digiuna insieme a noi in un pezzo di garza sterile che ha il sapore di bava di corvo epilettico. Api anarchiche e formiche spendaccione si spendono sul corpo senza vita di un’anima in pena che forma una Q quadrata da tanto che è ripiegata su se stessa dal dolore delle risate che l’hanno uccisa nel fiore dei propri anni di vita da sposa.
Ti amo e ti sventro nelle mutande di una vagina liquida che posa in attesa del fotografo di corte per una parata militare di giovani lupi e prede dei gladiatori del Colosseo per una folla di animali assetati di sangue giovane che lava i peccati del mondo in un coro che inneggia lodi al Signore. E tutto scorre in un fiume di lava al limone che scende insieme alla mia saliva alla marijuana e al tuo seme amore mio nel mio stomaco per sempre finché sarai digerito ed espulso. Per un seminario tra gli amici della parrocchia sul discepolo più amato e scopato. O Gesù era frocio o Giovanni era una donna.

Spara sorcio


Un’eiaculazione onirica spara al sedicente ferrarista al culmine della gara di lacrime. Lo scroto della vita è un gioco di odio assassino che si esprime tramite la felicità di una lucertola che recita nella commedia dell’arte la parte di Pinocchio. Rettili gioiosi cantano una lirica di Rossini mentre l’orgasmo di un prete circonda la sala Messe e una parrocchia prende il volo per risorgere il terzo giorno. Quando lo spirito santo ricadrà sul midollo spinale della lucertola invertebrata che gioca col tempo pensando che sia un verme di terra che la ama come fosse la sua sposa. O la sua spesa.
Tra i banconi del supermercato vedo un barbone che piange e si dispera e chiede a Dio di farla finita prima possibile ma non c’è verso e deve resistere fino alla fine del mondo.
Un gas sconosciuto attraversa le regioni remote della vestaglia del datore di lavoro che mangia finocchi per scoreggiare meno gas. Il letame della sua anima incrocia gli occhi di un manovale di basso gradimento e il risultato si legge sulla mezzaluna di un cimitero copto 3.0 e via così.
Lo scontro di amicizie si risolve tramite il rituale islamico in un’area di calcio sufi che danzano i danzatori nella paura di una scheggia di morte sotto forma di pantofola sorridente come una cagna assatanata di sangue di giovani vergini. L’odio di una mezzanina contempla il periodo di un pendolo asfissiato di ragù nel torsolo di un tappo di sughero su una bottiglia di stronzi macerati nell’olio piccante. Sempre sia lodato il pendolo di Aladino, sotto forma di jet e sotto forma di siluro di livello Alpha.
Mi addormento in una siesta elettronica dopo aver mangiato spezzatino di pollo alla milanese. E mi inietto una dose di curaro per non sentire più la sofferenza di un topo che si fa la lampada abbronzante. Lo stomaco vuoto reclama il sangue. E la saliva di un vampiro condanna uomini, donne e bambini alla ghigliottina di un severo padre nostro.
Ora andrò a confessarmi con l’animo puro e con le gengive sanguinanti.


Cosimo ergo sum
Un vomito blu mi parla su un sottofondo di sitar indiano. Sfrappole fritte piovono da ogni dove su una città di campagna dove si tirano ancora i carri coi buoi. Un elmo da guarra si stira insieme a voci rauche che cantano in un coro di bambini di chiesa. Gloria nell’alto dei cieli e pace nelle fogne di Calcutta ai topi e alle gazze ladre di palle di piombo. Cerruti è un marchio da sballo. Ma Cosimo Pietraguerra è altrettanto sborrone. E io vesto Cosimo.
Bacio il bacio della fortuna affinché vesta le vesti di seta e copra le menti dementi di un capo branco a cui l’alcol ha dato alla testa di cazzo. Cazzo, un pene, una poesia, del cazzo, appunto.
Suor Cecilia era una ragazza alta e magra che non riusciva mai a dire la cosa giusta al momento giusto e allora dava l’informazione al gruppo. Trovava un ruolo, quello di gazza ladra, o di corvo dato che era alta e vestiva di nero. Le amiche si rivolgevano a lei come fosse google, ma era l’unico modo di avere la loro attenzione. Poi siccome in parrocchia le davano tanta più attenzione quanto più lavoro faceva e che le suore erano più simpatiche delle sue amiche, le venne naturale farsi suora. A 50 anni s’innamorò di un chierichetto. Cugino di un’altra suora.
Un’urna funeraria raccoglie le sue ceneri portate in processione da tutto il paese nell’attesa di essere presto dichiarata santa. Miracoli piovevano dal cielo come Parmigiano sui topi a ogni orgasmo nel quale chiedeva perdono con tanta forza da far accendere tutte le luci del paese. E anche gli elettrodomestici.
Scivolando giù per il tubo del gladiatore il redentore ripuliva i pollici inondati di sesso e celebrava una messa nello sfintere gassoso d’incenso e metano liquido.

Occhio di lince


Ismael e Caterina non vanno più molto d’accordo. Ismael è irritabile facilmente, basta che lei gli dica di lasciare in ordine i pantaloni che lui scatta.
Caterina va sempre più spesso in chiesa, oramai tutti i giorni e il fine settimana sembra una missionaria, tra lavorare e organizzare come un’ape. Sette anni sono passati da quando avevano deciso di restare insieme dopo il tradimento di lei, ce l’avevano anche messa tutta, ma alla fine dei conti non era stata una buona idea. Ismael pensava spesso che si fa prima a comprare che ad aggiustare anche perché una cosa aggiustata, in fondo, è sempre mezza rotta.
Caterina è asmatica e spesso resta a casa che sembra che non riesca più a respirare. Proprio ieri ha avuto un attacco d’asma guarda caso proprio il giorno prima della festa della parrocchia in cui lei è ovviamente la responsabile principale. Più lavora in parrocchia e più le vengono gli attacchi d’asma e più prega e più lavora in parrocchia e più le vengono gli attacchi. Lavora di più adesso in pensione che prima.
Divorziare a dopo i cinquanta fa un po’ strano, ma perché no? Ma lei l’ha già capito prima che si andava in quella direzione, ed è per quello che s’è messa nella situazione “madre teresa”. Quando lui chiederà il divorzio, lei potrà smuovere la forza immensa della comunità nella quale anche lui è immerso, sia per il prestigio che ha accumulato, sia per il suo stato di salute che impone. Essendo i figli lontani e con famiglia rimane solo lui a farle da bastone della vecchiaia. Ismael lo capisce ora e capisce anche un’altra cosa: che più il tempo passa e più la gabbia si farà stretta e robusta. E no, non le interessa che lui stia con Elena che non vede l’ora di portarglielo via, l’importante è che resti sposato con lei.
Lui questa storia non la manda giù. Ismael vuole la vita chiara e semplice perché lui è così.
O sta con una o sta con un’altra. E alla luce del sole.
Questi sistemi lo disgustano a pelle. A questo punto non resta che una cosa da fare.
Prende il telefono “Giuseppe?” “Ciao Ismael, come stai? Allora? Ci stai o no?” “Sì, ci sto”.

Ismael ripensa a Caterina. Da quando lui l’ha lasciata e per evitare la trappola della colpa che lei aveva pazientemente tessuto in sette anni, ha anche cambiato casa e città. E lavoro.
Vive con Elena che a trentacinque anni gli ha dato un paio di pargoletti che l’hanno fatto rinascere in una via di mezzo tra padre e nonno.
Ora si sente e dimostra dieci anni in meno e ha anche un’azienda avvitata con Giuseppe e altri soci nel campo della cioccolata. E viaggia spesso per trovare i produttori ai quattro angoli della terra. Una vera seconda vita. Pensa a Caterina, appunto, come si può pensare ad una dermatite che dopo vent’anni è stata finalmente debellata.

Ma quando?


Manolo ride di gusto. Manolo si siede sul fusto. Manolo prega di petto col busto eretto e congiunge le dita dei piedi. Stringe il culo e schiaccia un peto che fa il giro del mondo. Manolo è tornato in sé e martella il piede del santo spirito per riceverne un barattolo di Nutella nella fetta di formaggio Emmental.
Poi decide di andare dal padre che muore per rendergli l’ultima visita. C’è un oceano di lattine da affrontare, ma sente che se le può bere tutte senza problemi e comincia, uno, due, tre, tutte di sprite. Beve e piscia piscia e beve.
A metà strada, Manolo viene intervistato dalla Rai, poi dalla BBC e quando approda all’altro continente scopre che ha sbagliato emisfero, ma poco male. Basta fare una corsettina in mezzo alle vacche al pascolo e digerire le ultime diecimila lattine.
La cosa carina è che fa amicizia con le vacche e prega con loro, ne monta alcune, poi una volta ingelosito il toro se la dà a gambe, giusto in tempo per finire in un’arena dove il capo della sprite decide di farlo fustigare da cima a fondo, ma un reggimento di mucche innamorate lo salva in extremis e gli permette di ripartire alla ricerca del padre morente.
Quando arriva in Turkebostan lo trova e lo abbraccia e gli chiede “ma non stavi morendo” “ma no: stavo be-vendo, non capisci mai quello che dico” “ah beh, allora senti ho un paio di sprite con me”.
Questa è la saga di Manolo, così come venne redatta dagli antichi Belgushi e ritrovata dodicimila anni dopo da mio suocero durante un ritiro spirituale con gli scout della parrocchia. Fu così nominato talpa onoraria.
Questo ci disse.
Chissà che s’era fumato.

Il gatto con gli stivali?


Un gatto siamese si stende tra le stelle e si liscia i lunghi capelli da hippy.

Era Ontario: il gatto OGM di miei vicini che l’avevano raccolto dal porto dei Servi dell’Ancora Galleggiante.

S’era perso dopo che l’avevano scaricato in mare insieme ai rifiuti di noci di cocco. Arrivato a riva a forza di zampe, il prete della Parrocchia di Cristo Lungimirante lo regalò a de poveri cristi. Ed eccolo qui. Biondo, occhi azzurri, una coda a forma di parallelepipedo e zampe che volendo, possono girare di 360 gradi e fare da elica permettendogli di gareggiare con qualsiasi barca a vela.

Riuscivo sempre a batterlo  scacchi, ma mai a poker e sapeva recitare a memoria i primi tredici canti dell’Inferno.

Eravamo diventati amici perché io lo consideravo intelligente per essere un gatto e lui mi considerava simpatico per essere un umano. Mia sorella lo trovava persino sexy e, col fatto che era un gatto, nessuno ci trovava niente da ridire sul fatto che ci dormisse insieme. Solo che nessuno aveva mai visto il cetriolo che gli veniva in mezzo alle zampe quando la guardava o parlava di lei.

Io sono uno che vive e lascia vivere e non lo raccontavo a nessuno, almeno per ora.