Cascano i migranti come cacche di piccioni. Come gli italiani d’america. O d’Australia. Valigia e maccheroni.
E gli unni costruiscono la grande muraglia. Io mi ci ficco
dentro
fumando marijuana e
inneggiando
Laudato Sii O Mio Signore
mentre
sotto di me passano
le orde musulmane.
Mamma li Turchini.
In una grande mensa di cioccolato l’Unione Europea si stuzzica i denti e decide come macellare carne. Vacche in cerca di pascoli. Praterie infinite dove rendere grande l’Islam al servizio del Grande Fratello. Io vedo mozziconi di sigarette invadere la savana, la steppa e riversarsi ad Arcore in masse di ossibuchi.
Là dove un uovo alla cocque spiaccica il proprio tuorlo in una stuoia di pane e farina, mozziconi di carne umana strappata al sole africano camminano e camminano forti della loro debolezza. Se si trattasse di soldati li avremmo già sterminati, ma i civili no. Ma quant’è grande l’esercito del Papa? Chiese Stalin. E quello dell’islam? Chiedo io.
Tutti amici o anche mujahidin mandati dall’uomo nero in una casa bianca?
L’invincibile armata si sciolse al sole davanti all’Inghilterra, sole, si fa per dire. Noi ci friggiamo le patatine davanti al sole di Bruxelles che quando c’è una grana è colpa sua.
Noi facciamo le riforme e le diamo da mangiare ai pesci
Pesci che pisciano su
pesci che pescano
altri pesci e insieme
scappano
fuori dalla prigione
Dormono
insieme alle mogli dei poeti
e dei preti.
Scopano
e finiscono tutti in una rete tesa dalla
diarrea
di dichiarazioni di cordoglio per i maro’ che ridono al sole dell’India e corrono felici per i prati cantando “Loacker che bontà”. Oggi salta fuori che le pallottole che hanno ammazzato gl’indiani sono diverse da quelle dei maro’. Guarda un po’. E tre anni fa invece erano uguali?
Mi è cascato l’immigrato in testa. Non mi ha fatto male. Ma si è chiuso nel gabinetto proprio la mattina quando devo andare in ufficio.
E allora sempre sia lodato Magdi Cristiano Allam che sarà il prossimo Papa
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Mah!
Una follia di gabinetti esposti al sole deride la cervicale che scende dai miei testicoli verso cardigan rivoluzionari che sfilano in manifestazioni di nudisti nudi davanti alle telecamere vogliose di corpi da processare e servire con il piatto della pastasciutta tra quisquilie arricchite da manzo e ragù alla bolognese.
Tutta la famiglia è radunata intorno alla stanza del Papa e resta religiosamente in silenzio e in posizione caprina battendo le mani al ritmo della croce di Cristo. Mentre si masturba psicologicamente i genitali. Una croce matematica si staglia nel cielo e un’aquila osserva la preda con potere cardinale. Una vespa senza pungiglione vaga nella tenebra della peste bubbonica vestita di nero e con una voce stridula avverte uomini e donne, di cosa? Non si sa, ma avverte.
Rotolo nel fango dopo un’esperienza stagnante. Il fontaniere ha aperto una falla nel buco del culo ma non l’ha mai riparata e soffro d’incontinenza. Pago la fattura e mi sturo il lavandino con uno spazzolino che si masturba le orecchie. Mi dolgo col cuore del fango che cola dalle mie gengive infette di pus che sa di rabarbaro omosex e mi sdraio consensualmente durante il gay pride in un carro carnevalesco di suore puritane per adornarmi di anelli spaziali che giocano con i miei genitali colorati.
Esco e prendo un po’ d’aria inquinata per fumare il polmone d’acciaio e riderci sopra finché morte non ci separi.
Il matrimonio di un papa
Un crogiolo di strofili s’innalza nel buio di una sinfonia d’autore sifilitico. Estraniamente si gode lo spettacolo di zombie che orgiano ecletticamente in una discoteca di provincia e fornicano in maniera cattolica per un’evangelizzazione universale. La terza guerra mondiale si gioca in camera da letto. Ma non mi ricordo più l’ultima volta. Non mi muovo ma mi rallentano i riflessi che pietrificano le corna represse. In ogni coppia c’è un terzo incomodo che a volte fa comodo, ma che anche lui fa parte dell’amore.
Sciogliamoci in quest’anello di congiunzione astrale e riflettiamo sulle comuni. Case di villeggiatura anni settanta. Oggi meta attrattiva di turismo sessuale o amore turistico. Una favola in un meandro della fantasia che risiede in ogni famiglia e santifica il gestore di un fondo comune. Non nego la difficoltà di essere Papa, ma molto superiore è quella di essere papà anche se si scrive, non so perché, con la minuscola. In fondo di papà ce n’è uno solo. Mentre, morto un Papa, se ne fa un altro.
Eccoci tra tarantole in un consesso episcopale a fare l’amore con la decisione di un’orgia papale e incularci a vicenda per un posto al sole di Marte sotto l’egida di un bravo pranoterapeuta morto in croce. Per questo mi chiedo, ma siamo fatti di cioccolato? Oppure lo zenzero ci ha dato alla testa? In fondo, per quanto filosoficamente importanti queste domande, l’importante è che abbiano dato un nome a Jack lo squartatore, il solito idraulico polacco, in pratica, ma almeno uno. Ora attendiamo il muratore italiano per l’omicidio di Yara e poi potremo finalmente dormire in pace, almeno fin quando non faranno fuori Putin. Tipo.
L’immagine di una lacrima
Il genocidio della poesia s’ingegna sulla misura della primavera per capire la guerra delle api. Si’, davvero arriva alla giustizia della politica Andreotti s’immolo’ sulla Costituzione perché aveva bisogno di una regola per masturbarla fino a ridere a crepapelle. E’ cosi’ che ha amato l’Italia. Ho paura. Ho paura della fine. Forse vivro’, ma la fine arriverà prima della morte. Perché la fine è antecedente. Anche il divo Giulio era antecedente. E cosi’ vinse la fine, morendo dopo. Ma diventando Papa. Divento una custodia dell’arte per essere prigioniero del sesso giocando a calcio in una comunità di maestre che uccidono la poesia guardandosi allo specchio. Una lacrima scende da un nesso che collega il rumore dei bambini e il corpo dei pompieri che fa un pompino alla pompa dell’anima, dall’interno. Pensiamoci. Perché la poesia abbraccia il papa come un handicappato. Ed è cosi’ che io la ricordo, pregando alla fine di una chiesa.
Non è vero che non c’entra. C’entra. Per chi crede tutto c’entra, c’entra ed è cieco, questo è il re. Questo è il re dei non vedenti che non vede perché è lui che non vede. Io mi concentro, ma non capisco. E allora applaudiamo. Perché non siamo ciechi. Ridiamo e vediamo l’immagine di noi stessi riflessi nelle labbra di una lacrima che scende senza fede. Ora è mezzanotte. Testimonio che ho visto uno che osserva un tempo che non c’è in un’isola che non ha alibi per non esistere, ma c’è. Io no. Non ancora. E ci saro’ quando esistero’. Ma prendo decisioni. Collegando i nessi tra i cani e i ciechi.
Yes we cazz
In una logica sfrenata di capitali rombanti moriamo di fame per nutrire gli emiri attaccati al tubo di scappamento di una prostituta che urla a bassa voce e vende l’ultima cosa che le rimane, l’anima.
Amiamo e non capiamo il risultato dell’equazione di una strada selvaggia che parla e canta in dialetto volgare una canzone della philips bevendosi un caffè omeopatico per dimenticare le brutture della rivoluzione di classe.
Le rigogliose monache morte prima dell’avvento dello zar nicola tredicesimo e nipoti, non prega giustamente altro di sotto di lei, o di fianco, che dir si voglia. Finanzio un gettito con la tredicesima rata del mutuo della casa togliendo il cibo dalla bocca di una bambina che amo.
Sbadiglio davanti al canyon dello Utah tra mormoni poligami e berlusconi monogami che chiedono al papa una grazia per non decomporsi prima di decadere e ruzzolare come una valanga azzurra che scia su navi di carboidrati bianco candeggina.
Occhio e malocchio di sfiga negra cadono su un occhio vigile del Montana tra una serrata di struzzi e la maledizione della Rosanna.
Tabulé di rose 5 – Il plagio
Un plagio di un pertugio incosciente. Questa è stata l’iniziazione all’amore ai tempi dell’adolescenza di una quindicenne zebrata. Ziggy come si faceva chiamare mio fratello si appropriava del mio sesso e della mia identità ricordandomi che darmi a lui era mio dovere di buona cristiana.
Tutto cominciò con una cosa che facevo con la mia grassa cugina adottiva Tatiana, di origini albanesi. Ce ne andavamo nella sua casa nella campagna di Reggio Calabro in un vecchio casolare della sua famiglia, tra l’odore di rosa muschiata e di rabarbaro. Ci mettevamo davanti allo specchio. Nude. Ci depilavamo da cima a fondo. Anche lì. Soprattutto lì. Ci facevamo il bagno nel torrente che faceva andare un mulino attaccato alla casa e tornavamo correndo sotto il sole. Poi ci mettevamo a letto e ci masturbavamo davanti allo specchio. Ma meglio dire che ci scoprivamo. Io volevo sapere quello che sentiva lei e lei quello che sentivo io. E imparavamo l’una dall’altra. Baciandoci e toccandoci i nostri seni sodi che la pelle faticava a contenere senza esplodere. Femmina con femmina. Labbra con labbra. Dolci baci e calde carezze mentre i grilli cantavano così forte che ogni tanto pensavo che volessero attirare l’attenzione delle nostre famiglie.
Tatiana non piaceva a mio fratello. A lui interessavo io.
Un giorno mi seguì e poi mi seguì di nuovo con il necessario per riprendere tutto.
Poi entro’ nella mia camera, una sera in cui m’ero addormentata mezza nuda. Era un caldo che non si respirava
“Irina svegliati – mi disse – ho una cosa da dirti” inizio’ sottovoce e poi “Lo sai che ti amo tanto” “Sì, anche io ti amo” “Ti amo e vorrei averti” “Sai che non è possibile” “Lo sarebbe se tu lo volessi” “Ma io non voglio” “Ma sei cristiana e non devi essere egoista” “Non c’entra niente lo sai” “E allora non mi lasci altra scelta” e mi mostrò le foto e i video “Se non fai tutto quello che ti dico, tutta questa roba finirà in rete” “Ma sei pazzo. Distruggerai tutta la famiglia. Papà ti ammazzerà” “No, ammazzerà solo te, lo sai, anche perché non sarò certo io a dirgli chi ha fatto le foto” “Non puoi farlo, non lo farai” “Beh allora guarda qui” e mi mostro’ un sito che aveva fatto lui e che era già in rete e nel quale c’era già la metà delle foto ma che per ora era criptato “Ora se vuoi tolgo il criptaggio e lo rendo visibile a tutti.
Poi si tratta di caricare tutto su youtube eccetera e mandare qualche mail a qualcuno qui in giro”.
I grilli cantavano ancora ma meno forte di quando io e Tatiana facevamo l’amore e sentivo piuttosto l’odore dello spezzatino di carne di mia madre.
Ero in silenzio e seduta sul letto.
Lui in piedi davanti a me e lo guardavo negli occhi “Ti prego, lascia perdere. Certe cose è meglio che restino una fantasia” “Perché?” “Perché sì, perché lo dicono i genitori e i preti” “Sì proprio loro. E comunque non m’interessa voglio te e ti avrò “Lasciami un po’ di tempo”.
Per tutta risposta mi fisso’ e si tiro’ giù la lampo dei pantaloni e mi sbatté in faccia il suo coso, tra l’altro di discrete dimensioni.
Io lo guardai. Aveva diciotto anni, io quindici. Era alto e biondo che sembrava un angelo. E quello era per me. Un angelo protettore.
Mi aveva sempre protetto. Dove non c’era mio padre, c’era lui.
Mi ero sempre confidata. Dove non c’era mia madre, c’era lui.
Deglutii.
Lui aveva sempre deciso per me. Fare quello che voleva lui era un’abitudine e un piacere. A volte pensavo che se fossimo sposati non ci sarebbe bisogno di cercarsi un uomo e che insieme saremmo stati felici per sempre. Forse lo pensava anche lui. Forse anche questa volta aveva ragione lui.
“Che Dio mi perdoni” pensai stringendo le gambe e le palpebre.
Socchiusi le labbra e feci un grosso sospiro dalla bocca.
Sarà che avevo già in bocca il sapore dello spezzatino di carne. Sarà che volevo proteggere la mia amica Tatiana. O sarà quel che sarà. Io iniziai a succhiare e lui a godere accarezzando la nuca. Accompagnando i movimenti della mia testa e bloccandola al momento dell’orgasmo.
Mentre lo facevo sentivo scendere in gola il calore del piacere e della vergogna.
Mentre lo facevo lui mi accarezzava la testa e mi diceva parole dolci tipo “Sarai sempre la mia cagnolina” che col tempo sarebbe diventato “Cagna”.
Lui si era tirato su la lampo, mi aveva dato un bacio sulle labbra e se n’era andato senza dire una parola. Lasciandomi sola col senso del peccato.
Alla fine ero stesa sul letto eccitata e sporca.
Sporca perché eccitata.
Eccitata perché sporca.
Pregavo la Madonna quasi ad appropriarmi della sua purezza. Per il momento la verginità, l’avevamo ancora in comune, ma avevo la sensazione che la cosa sarebbe durata poco.
E avevo ragione.
Durante la notte sognai e risognai quella fellazione incestuosa e sentii mio Ziggy dentro di me come un feto e sognai di essere incinta e di dargli una figlia con la coda di dinosauro che si trasformava in un monaco cistercense che organizzava orge con animali con tonaca romana su bighe romane. E arcobaleni di melassa che si scioglievano al coro di tamburi africani su cui ballavano adolescenti zebrate con un collare e un guinzaglio.
Sentivo di annegare in una pozza di sangue e sperma e sudavo. Aprii gli occhi, credo e vidi un diavolo, credo, masturbarsi sopra di me, ma continuai a dormire.
Il giorno dopo avevo i capelli incollati a ciocche.